Verso l’adozione del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo?

  1. Il 20 dicembre è stato annunciato uno “storico successo” nel processo di riforma del sistema di asilo europeo. All’esito di un complesso negoziato, sotto l’impulso della presidenza spagnola, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sugli elementi politici fondamentali di cinque regolamenti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo (il complesso di misure presentate dalla Commissione europea nel settembre 2020 per la riforma delle politiche europee di asilo e immigrazione). L’accordo riguarda le proposte sui c.d. regolamenti procedure, gestione della migrazione, screening, Eurodac e sulle situazioni di crisi. In considerazione dell’imminente fine della legislatura, la primavera scorsa aveva segnato un’importante accelerazione del processo negoziale. Ad aprile, il Parlamento europeo aveva adottato il mandato su quattro proposte, seguito a giugno dal Consiglio. Più complesso si è rivelato il compromesso tra gli Stati membri sul regolamento sulle situazioni di crisi, tanto da indurre a fine settembre il Parlamento europeo a minacciare di bloccare i negoziati anche sulle altre proposte. L’accordo, infine, trovato ad ottobre tra gli Stati membri, anche su quest’ultima proposta, non ha smussato la posizione di Polonia e Ungheria, nettamente contrarie: il mandato è stato approvato a maggioranza, con il voto contrario di questi due Paesi e l’astensione di Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Su queste basi nei mesi scorsi erano, quindi, stati avviati i triloghi.
  1. All’avvio del processo negoziale le posizioni di Parlamento e Consiglio apparivano distanti su molti punti e il risultato era tutt’altro che scontato. Così un primo tentativo di trovare un accordo sui diversi dossiers era stato effettuato il 7 dicembre. Il 18-19 dicembre sono proseguiti ininterrottamente i colloqui, fino all’annuncio nella mattinata del 20 in merito al raggiungimento dell’accordo. Occorre sottolineare che era l’ultima possibilità in vista dell’adozione di una riforma che aveva costituito uno dei pilastri del programma politico della Presidente della Commissione europea, fin dalla sua designazione. Paventando il rischio che la riforma del sistema di asilo non vedesse la luce neppure questa volta (dopo l’infruttuoso tentativo nel corso della precedente legislatura), nel settembre 2022 la Presidente del Parlamento europeo, insieme ai rappresentanti delle successive presidenze (Repubblica Ceca, Svezia, Spagna, Belgio) e di quella francese (che aveva appena concluso il proprio semestre), avevano firmato un accordo, definendo i termini per lo svolgimento dei negoziati tra co-legislatori, con l’obiettivo di portare a termine la riforma delle norme dell’UE in materia di migrazione e asilo entro febbraio/marzo 2024. Anche la Presidenza spagnola del Consiglio (in carica fino al 31 dicembre) si è molto spesa per il raggiungimento di un accordo (“chiudere questo patto è stata una grande sfida per la Spagna, perché la presidenza è l’ultimo mandato completo di questa legislatura europea e perché la Spagna è uno dei cinque Paesi del Mediterraneo con la maggiore pressione migratoria dall’Africa, insieme a Italia, Cipro, Malta e Grecia). Per cui l’impegno da parte di tutte le istituzioni coinvolte è stata massima. Data la forte pressione per l’adozione del Patto, nonostante la distanza tra le posizioni di Parlamento e Consiglio, il compromesso appare essere stato raggiunto soprattutto con l’adesione del Parlamento ai testi faticosamente convenuti dagli Stati membri in seno al Consiglio. Un’attitudine cedevole del Parlamento che non è stata esente da accese critiche da parte soprattutto delle organizzazioni della società civile, le quali hanno denunciato la complessiva riduzione delle garanzie del diritto di asilo con una lettera formalmente indirizzata ai negoziatori, ove hanno messo in luce le criticità sotto il profilo dei diritti fondamentali (maggiormente garantiti nei mandati del Parlamento europeo).
  1. L’accordo raggiunto sulla riforma del c.d. regolamento Dublino (ora rinominato “regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione”) non ha scalfito l’impostazione attuale, incentrata sul paese di primo ingresso, laddove non trovino applicazione gli ulteriori limitati criteri previsti ai fini dell’individuazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale (la richiesta del Parlamento di includere la presenza di ulteriori familiari, in particolare i fratelli, quale criterio di collegamento, non ha incontrato sufficiente consenso in seno al Consiglio, mentre diventerebbe rilevante il diploma conseguito da non più di 6 anni presso un istituto di istruzione di uno Stato membro dell’UE e la presenza di familiari che risiedono in un paese sulla base del permesso di soggiorno di lungo periodo UE o che ne hanno acquisito la cittadinanza). Si introduce un meccanismo di solidarietà obbligatoria, ma solo in situazioni fuori dall’ordinario, che può inoltre assumere diverse forme considerate di pari valore (oltre al ricollocamento, per cui sarebbe previsto un numero minimo annuale complessivo, l’invio di fondi agli Stati membri in prima linea o ai Paesi terzi, contributi alla capacità operativa). Non è, in particolare, prevista la ridistribuzione obbligatoria per le persone sbarcate dopo le operazioni di salvataggio in mare (per le quali la responsabilità del paese di approdo cessa dopo 12 mesi). La Commissione può formulare raccomandazioni agli Stati membri su quali impegni dovrebbero offrire in termini di ricollocazione o finanziamenti, ma gli Stati membri non sono vincolati da queste raccomandazioni, che non saranno in ogni caso rese pubbliche. Il meccanismo di governance del sistema assegna un ruolo di impulso alla Commissione e decisionale al Consiglio (e quindi agli Stati membri che rivestiranno una funzione cruciale nel decidere sulla gestione), il Parlamento europeo essendo pressoché ininfluente. Il paese di primo arrivo continuerà, presumibilmente quindi, ad essere investito della maggior parte delle richieste, considerato anche che, nel proclamato intento di disincentivare i c.d. movimenti secondari, si allunga il termine per la cessazione della responsabilità (da 12 a 20 mesi, mentre è previsto un termine di 15 mesi nel caso di diniego a seguito della procedura di frontiera, qualora la domanda fosse riproposta). In aggiunta, si introduce una procedura di presa e ripresa in carico più semplice, che non impone più l’accordo del primo Stato, ma rende sufficiente una notifica.
  1. Nel complesso, il nuovo sistema sotteso al Patto mira a prevenire l’ingresso sul territorio dell’UE, rafforzando il ricorso alle c.d. procedure di frontiera e accelerate, finalizzate a valutare l’eventuale infondatezza o inammissibilità delle domande di asilo (durante lo svolgimento di queste procedure le persone non sono autorizzate ad entrare nello Stato membro, pur trovandosi sul territorio, e confermando il mantenimento della “finzione di non ingresso”, ritenuta elemento essenziale dal Consiglio). Dopo aver superato una procedura di screening iniziale (volta allidentificazione, ad effettuare controlli sanitari e di sicurezza, nonché al rilevamento delle impronte digitali e alla registrazione nella banca dati Eurodac), che dovrebbe durare al massimo 7 giorni, le persone (fermate in caso di attraversamento non autorizzato della frontiera esterna per via terrestre, marittima o aerea, sbarcate a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso in mare, che abbiano presentato domanda di protezione internazionale presso i valichi di frontiera esterni o nelle zone di transito senza soddisfare le condizioni d’ingresso) saranno infatti indirizzate verso la procedura ritenuta appropriata (rimpatrio o protezione internazionale), eventualmente tramite una procedura di frontiera o accelerata, di cui si accresce l’utilizzo. Aderendo alla richiesta del Consiglio, lo screening iniziale si applicherebbe anche alle persone fermate sul territorio dell’UE che hanno eluso i controlli alle frontiere esterne (in quest’ultimo caso gli accertamenti dovrebbero essere effettuati in tre giorni). Mentre le posizioni originarie della Commissione e del Parlamento prevedevano che le procedure di frontiera sarebbero state facoltative e non si sarebbero applicate ai minori di 12 anni e alle loro famiglie, nell’accordo finale è invece prevalso l’approccio del Consiglio volto ad espanderne l’utilizzo e le procedure di frontiera sono diventate obbligatorie in diverse situazioni (se il richiedente rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblicoha indotto in errore le autoritàpresentando informazioni false od omettendo informazioni, e se è cittadino di un paese il cui tasso di riconoscimento è inferiore al 20%). L’unica salvaguardia prevista per le famiglie con minori è costituita dalla valutazione in via prioritaria. Anche i minori non accompagnati non sono esclusi in maniera assoluta dalle procedure di frontiera, in quanto è stata introdotta un’eccezione per motivi di sicurezza, senza chiarire come tale rischio debba essere caratterizzato. In termini generali, i richiedenti non avrebbero diritto all’assistenza legale gratuita, ma solo alla consulenza. È proprio sul regolamento sulle procedure che il Parlamento ha pressoché interamente rinunciato alle proprie posizioni, cedendo alla volontà degli Stati membri.
  1. Il Consiglio e il Parlamento hanno, inoltre, convenuto di ampliare la banca dati delle impronte digitali Eurodac, che conterrà ulteriori dati biometrici, quali le immagini del volto. Oltre a conservare i dati dei richiedenti protezione, la banca dati conterrà anche i dati delle persone il cui soggiorno è irregolare, delle persone entrate nell’UE in maniera irregolare e delle persone sbarcate a seguito di operazioni di ricerca e soccorso. La raccolta dei dati biometrici diventerà obbligatoria anche per i minori a partire dai sei anni, rispetto ai 14 anni previsti dalle norme vigenti. Su richiesta del Consiglio, Eurodac dovrebbe includere anche i dati dei beneficiari di protezione temporanea (gli attuali beneficiari nel contesto della crisi ucraina ne sarebbero, però, esclusi) e le persone reinsediate nell’ambito di programmi di reinsediamento nazionali ed europei. La consultazione di Eurodac, senza necessità di controllo preventivo nelle banche dati nazionali e nei sistemi automatizzati di identificazione delle impronte digitali di altri Stati membri, sarebbe esteso anche a fini di prevenzione, accertamento o indagine di reati di terrorismo o di altri reati gravi.
  1. Anche in riferimento alla proposta rivelatasi più controversa, il Parlamento europeo sembra aver aderito quasi integralmente a quanto con difficoltà convenuto dagli Stati membri (evidentemente, dato il travagliato accordo in seno al Consiglio, sarebbe stato difficile procedere diversamente senza compromettere la riforma nel suo complesso). In una situazione di crisi o di forza maggiore, gli Stati membri possono essere autorizzati a derogare alcune normerelative alla procedura di asilo e di rimpatrio. Le deroghe possono, in particolare, riguardare la registrazione delle domande di protezione internazionale (che può essere completata entro quattro settimane, anziché entro sette giorni dalla presentazione), la modifica dei criteri per il ricorso alla procedura di frontiera (per ampliare il novero di richiedenti). Inoltre (e questo ha rappresentato l’elemento più dibattuto, con l’aperta e viva ostilità degli Stati dell’Est Europa), anche in questo caso è previsto un meccanismo di solidarietà, con il ricorso a contributi simili a quelli concordati nell’ambito del regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, ossia la ricollocazione (non obbligatoria) dei richiedenti asilo o dei beneficiari di protezione internazionale dallo Stato membro che si trova in una situazione di crisi agli Stati membri contributori, compensazioni di competenza e contributi finanziari o misure di solidarietà alternative. Il Parlamento ha accettato anche l’incorporazione della proposta sulla “strumentalizzazione” della migrazione, aderendo alla più ampia definizione proposta dal Consiglio, che include non solo le azioni riconducibili a un paese terzo, ma anche ad attori non statali, con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato membro o l’Unione. La grande maggioranza delle delegazioni ha ritenuto che l’incorporazione della proposta di regolamento sulla strumentalizzazione fosse una conditio sine qua non per un accordo. Il Parlamento europeo si è inizialmente opposto fermamente a questa inclusione, subordinandola ad eventuali ulteriori concessioni, ma alla fine ha dovuto accettarla.
  1. Le bozze dei cinque regolamenti con i punti su cui è stato raggiunto l’accordo politico non sono state per il momento pubblicate e i negoziati tecnici proseguiranno, nei primi mesi del 2024, per definire le diverse disposizioni. Il processo si concluderà solo con l’approvazione formale da parte del Consiglio e del Parlamento europeo. La riforma include anche ulteriori strumenti (la rifusione della direttiva sulle condizioni di accoglienza, un nuovo regolamento sulle qualifiche per il riconoscimento della protezione internazionale e il regolamento sul reinsediamento), che erano stati presentati dalla Commissione nel 2016 e sui quali era già stato raggiunto un accordo politico tra i co-legislatori. Il Parlamento Europeo non ha, invece, trovato un’intesa sulla rifusione della Direttiva rimpatri. Tocca adesso alla presidenza belga, in carica dal 1° gennaio 2024 e che ha indicato tra le proprie priorità la riforma del sistema europeo di asilo e immigrazione e di Schengen, raccogliere il testimone e portare il processo a compimento. Alla presidenza belga e alla successiva presidenza ungherese del Consiglio dell’UE, UNHCR ha rivolto sette raccomandazioni affinché la riforma sia attuata nel rispetto del diritto di chiedere asilo nell’UE, esprimendo le proprie preoccupazioni in merito alle rispetto delle garanzie fondamentali delle persone.

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