“O che bel castello”…..L’art. 25 della legge 218/95 e la sentenza del 25 aprile 2024: “liberazione” dell’Italia da ogni velleità di applicazione del diritto interno alle società con oggetto principale in Italia?
1. Questo 25 aprile la Corte di giustizia si è pronunciata, nella causa C-276/22 Edil Work 2 Srl c. STE Sàrl, affrontando per la prima volta il problema delle possibili restrizioni alla libertà di stabilimento derivanti dall’applicazione dell’art. 25 della nostra legge 218/95 alle società aventi sede negli Stati membri dell’Unione europea.
La sentenza si colloca, in realtà, sulla scia di un consistente filone giurisprudenziale della Corte di giustizia che parte con il caso Daily Mail per poi evolversi con le pronunce della CGUE nei casi Centros, Inspire Arts, Cartesio, e nei successivi Cadbury Schweppes, Vale e Polbud : sentenze tutte nelle quali la Corte ha cercato il difficile bilanciamento fra la mancata armonizzazione del diritto internazionale privato in tema societaria per parte dell’Unione europea e l’esigenza di garantire la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi da parte delle persone giuridiche ed in particolare di quelle aventi scopo di lucro (per un commento alla sentenza Polbud v. G. Dalla Valentina, Libertà di stabilimento e restrizioni alle trasformazioni internazionali “in uscita”: il caso Polbud, in Eurojus 2018). Tali pronunce, pur vertendo su profili tra loro diversi, hanno sempre dimostrato una particolare attenzione verso il tema dell’abuso del diritto (e nello specifico del diritto di stabilimento), invocato dagli Stati come un rischio inerente agli spostamenti transfrontalieri di sedi societarie, spesso correlati alla volontà di conseguire vantaggi fiscali o comunque di sottostare all’applicazione di normative più favorevoli.
La Corte di giustizia ha interpretato tale nozione di abuso in maniera restrittiva affermando che «la circostanza che la società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà» (pt. 37 della sentenza Cadbury Schweppes cit.).
2. Il nostro diritto internazionale privato, come delineato dall’art. 25 della legge 218/95, è caratterizzato da una applicazione combinata delle due fondamentali teorie esistenti in materia: la Grundungstheorie (in base alla quale la legge applicabile ad un ente dovrebbe essere quella del luogo di sua costituzione o, per dirla utilizzando il termine inglese, della sua incorporation) e la Sitztheorie (che invece privilegia l’applicazione della legge del luogo di effettivo, reale, svolgimento delle attività sociali). Al momento dell’elaborazione della riforma del diritto internazionale privato, infatti, il nostro legislatore ha ritenuto che la legge regolatrice dell’ente – che disciplina vari aspetti fra cui i poteri degli organi e la rappresentanza – dovesse essere quella “dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione” (art. 25 comma 1) applicando però un correttivo basato sulla teoria della “sede effettiva“ tutte le volte in cui l’oggetto principale o la sede dell’amministrazione dell’ente sia collocato in Italia e ciò al fine di evitare che una società possa sfuggire artificiosamente dall’applicazione della legge italiana tutte le volte in cui l’ente sia più strettamente collegato al territorio italiano. A tali regole si aggiunge il principio per cui iI trasferimento della sede in altro Stato ha efficacia soltanto se posto in essere conformemente alle leggi degli Stati interessati (art. 25 comma 3).
3. Il caso che è stato portato all’attenzione dei giudici del Kirchberg dalla Corte di Cassazione nella causa Edil Work 2 Srl c. STE Sàrl in commento è il seguente: una società costituita in Italia in forma di società a responsabilità limitata e avente ad oggetto la gestione del Castello di Tor Crescenza (posto nei dintorni di Roma) trasferisce nel 2004 la propria sede sociale in Lussemburgo, conseguentemente assumendo la forma di società lussemburghese (STE Sàrl), pur continuando ad avere quale unico oggetto la gestione del castello romano. Nel 2010 l’amministratore della società lussemburghese nomina un mandatario generale (di fatto l’originario proprietario del castello in quanto nel caso di specie le vicende societarie si vanno ad intrecciare con le vicende familiari dei soggetti coinvolti) attribuendo allo stesso tutti i poteri di gestione della società siccome consentito dalla legge di tale Stato, ma vietato ai sensi dell’art 2381 II comma c.c., dalla normativa italiana che non consente agli amministratori di delegare in toto i poteri gestori a soggetti terzi. Tale mandatario poi, in esito a dissidi interni alla compagine sociale, procede a trasferire il castello conferendolo in una società italiana (e precisamente, da ultimo, in favore appunto della Edil Work 2 Srl). E’ questo trasferimento che viene contestato dalla società lussemburghese che invoca l’applicazione dell’art. 25 della legge 218/95 per annullarlo in quanto avvenuto utilizzando il mandato generale, mandato che avrebbe dovuto essere considerato invalido alla luce dell’applicazione della legge italiana quale legge del luogo ove si trova l’oggetto principale dell’ente, ossia il castello stesso.
Prima di entrare nel merito della pronuncia della Corte vale la pena ribadire che il diritto italiano, grazie al terzo comma dell’art. 25, non prevede alcun ostacolo al trasferimento della sede sociale delle società italiane in un altro Stato membro, con conseguente “trasformazione” in società straniere, così anticipando le regole dettate dall’’Unione europea stessa da ultimo con la direttiva (UE) 2019/2121 (su trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere, attuata in Italia con d. lgs 19/2023) il cui considerando 2 afferma che «la libertà di stabilimento delle società comporta, tra l’altro, la costituzione e la gestione di tali società alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento [ e ] comprende il diritto per una società costituita in conformità con la normativa di uno Stato membro di trasformarsi in una società disciplinata dal diritto di un altro Stato membro, purché siano soddisfatte le condizioni stabilite dalla normativa di tale altro Stato membro ».
Rispetto ad alcune delle precedenti sentenze in tema di stabilimento delle società sopra citate il caso Edil Work 2 Srl si differenzia proprio in quanto l’Italia non aveva a suo tempo vietato lo spostamento di sede all’estero, nè il Lussemburgo aveva posto ostacoli a detto ingresso della società nel proprio territorio. Il quesito posto all’attenzione della Corte è quindi relativo unicamente al “correttivo “ posto dall’art. 25 alle regole generali, e finalizzato a prevenire e contrastare, nell’ottica del nostro legislatore, eventuali abusi del diritto al trasferimento della sede all’estero e costruzioni artificiose finalizzate a sottrarsi dall’applicazione del diritto interno.
Il problema è quindi correlato al tema più ampio di se e come il diritto internazionale privato si trovi a poter essere considerato un ostacolo all’esercizio delle libertà previste dal Trattato. L’art. 54 TFUE prevede una equiparazione ai fini della libertà di stabilimento fra persone fisiche cittadine dell’Unione europea e le società costituite in conformità alla legislazione di uno Stato membro e aventi sede sociale, amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’UE. Si deve quindi tenere presente che la non neutralità del diritto internazionale privato ai fini della libertà di circolazione (e quindi il suo possibile effetto di costituire un ostacolo ingiustificato alla stessa) è stato accertato dalla Corte di giustizia sin dalle pronunce Micheletti e Garcia Avello in tema di libera circolazione delle persone.
4. Nell’affrontare il tema in oggetto la Corte, dopo aver determinato l’esistenza della restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 49 TFUE – insita nell’obbligo in capo a società nella posizione della STE Sàrl di rispettare sia il diritto dello Stato di costituzione sia quello italiano creando l’applicazione cumulativa dei due ordinamenti una violazione del principio di certezza del diritto come sottolineato nelle conclusioni dell’Avvocato generale Laila Medina del 19 ottobre 2023, pt 48 – passa a verificare se tale restrizione possa ritenersi giustificata da «motivi imperativi di interesse generale» come risultanti dalla giurisprudenza della Corte, ad esempio, nel caso Überseering e nel caso Sevic e in particolare dall’obiettivo di tutela dei soci, dei creditori, dei dipendenti, siccome sostenuto dallo Stato italiano.
Bisogna però tenere presente che il rischio di lesione di tali interessi deve verificarsi nel caso concreto, circostanza che non sembra essere tenuta in considerazione dal testo dell’art. 25 della legge 218/95 che si applica a qualunque atto di gestione societaria a prescindere dal fatto che la normativa straniera del luogo di costituzione tuteli già efficacemente tali interessi, come ben potrebbe avvenire (sul punto v. le conclusioni dell’Avvocato generale, pt. 59) . Quanto all’elemento della frode/abuso del diritto, pur essendo competenza degli Stati l’adozione di misure volte appunto a prevenire o sanzionare frodi ed evasioni fiscali, la Corte conferma l’approccio restrittivo adottato sin dalla pronuncia Centros e confermato nella sentenza Polbud, sulla base del quale lo stabilimento di una sede in uno Stato membro “al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso” (vedi pt. 47 della sentenza in commento), né può quindi uno Stato creare una presunzione di abuso ricollegata alla presenza dell’oggetto principale o della sede effettiva nel proprio territorio. Secondo quanto stabilito dalla Corte già nella sentenza Commissione c. Belgio (“Limosa”) (pt. 53) “una presunzione generale di frode
non può essere sufficiente a giustificare una misura che pregiudica gli obiettivi
del Trattato”: se quindi il legislatore vuole mantenere restrizioni giustificate alla libertà di stabilimento deve effettuarlo elaborando norme ben definite e dettagliate (per un primo commento al rinvio pregiudiziale in esame in senso favorevole all’interpretazione dell’art. 25 come restrizione proporzionata alla libertà di stabilimento v. F.M. MUCCIARELLI, Il diritto societario italiano e le società estere con oggetto nel territorio nazionale, in Giur. Comm., 2023, fasc. 1, pag. 65 ss.).
5. In conclusione non si può quindi che confermare che, in assenza di armonizzazione per parte del diritto dell’Unione europea delle regole di diritto internazionale privato applicabili alle società, pur spettando agli Stati membri la definizione del criterio di collegamento che determina il diritto nazionale applicabile ad una società ed essendo “la sede sociale, l’amministrazione centrale e il centro di attività principale della società […] tutti criteri di collegamento che si trovano su un piano di parità” (v. considerando 3 della dir. 2019/2021) uno Stato non può applicare automaticamente il proprio diritto interno a fattispecie per le quali non sia provata l’esistenza di un abuso del diritto. Tale circostanza non ricorreva nel caso di specie nel quale la contestazione circa l’invalidità dell’atto posto in essere dalla società lussemburghese in Italia veniva effettuata dalla stessa società lussemburghese per trarne un vantaggio economico e non aveva alcuna attinenza con controlli posti in essere dallo Stato italiano per finalità antielusive.
Una restrizione come quella posta in essere dall’ordinamento italiano, in via automatica e senza valutazione della situazione specifica in esame, appare non proporzionata rispetto alla necessità di garantire la tutela di motivi imperativi di interesse generale, a maggior ragione in un sistema basato sulla fiducia reciproca fra Stati come è quello esistente all’interno dell’Unione europea. Questo non vuol dire che l’art. 25 della nostra legge 218/95 non possa continuare a trovare applicazione nei confronti di situazioni non correlate alla libertà di stabilimento fra Stati membri, ossia tutte le volte in cui si tratti di società costituite in conformità alla legislazione di uno Stato terzo per le quali l’ordinamento italiano ben potrebbe mantenere in essere il correttivo all’art. 25 nella sua attuale formulazione.
Nell’applicazione a situazioni rilevanti ai fini del diritto dell’Unione europea l’operatore del diritto non potrà invece non tenere conto dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia nella sentenza in esame, così trovandosi a gestire, in attesa di una eventuale modifica del testo ad opera del legislatore, il difficile ruolo di procedere all’applicazione dell’art. 25 in maniera compatibile con il diritto dell’Unione europea.
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