Obbligo di rinvio pregiudiziale: la motivazione basta o non basta per escludere la responsabilità? È questo il dilemma.

  1. Dopo la sentenza della Corte di giustizia del 7 luglio 2022, causa C- 261/21, Hoffmann-La Roche in tema di azione di revocazione e le molteplici ordinanze sempre della Corte di giustizia (ordinanza Corte giust., 15 dicembre 2022, causa C-597/21, Centro Petroli Roma, ECLI:EU:C:2022:1010; ordinanza Corte giust., 15 dicembre 2022, causa C- 144/22, Società Eredi Raimondo Bufarini, ECLI:EU:C:2022:1013 e ordinanza Corte giust., 27 aprile 2023, causa C-482/22, Associazione Raggio Verde, ECLI:EU:C:2023:404) sull’obbligo di rinvio pregiudiziale, il Consiglio di Stato, temendo il rischio di esposizione ad azioni risarcitorie, pare voler aprire un nuovo capitolo della saga “del rapporto” con la Corte di giustizia in tema di obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza (per una più ampia ricostruzione sul rinvio pregiudiziale e sul ruolo dei giudici nazionali cfr. L.S. ROSSI, “Un dialogo da giudice a giudice”. Rinvio pregiudiziale e ruolo dei giudici nazionali nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in I Post di AISDUE, IV (2022), sezione “Articoli”, n. 4, 23 maggio 2022).
  2. In particolare, il Consiglio di Stato torna di nuovo polemicamente sulla problematica del forte rischio di subire un procedimento di responsabilità civile e disciplinare. Tale rimedio, infatti, era stato oggetto di attenzione da parte della stessa Corte di giustizia nella sentenza Randstad (Corte di giustizia, 21 dicembre 2021, causa C-497/20, Randstad, ECLI:EU:C:2021:1037), nella quale era stato espressamente affermato che «i singoli che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, possono inoltre far valere la responsabilità di tale Stato membro, purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subìto dal soggetto leso (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 59; del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 58, nonché del 4 marzo 2020, Telecom Italia, C‑34/19, EU:C:2020:148, punti da 67 a 69)» (punto 80).
  3. Per il diritto dell’Unione europea, infatti, il rimedio per violazione da parte del giudice nazionale del diritto UE (nella specie per mancato rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza) è costituito dall’azione di risarcimento del danno. Infatti, come si è accennato, i singoli, che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado che si ponga in contrasto con il diritto dell’Unione europea, possono far valere la responsabilità dello Stato membro se la violazione ha carattere sufficientemente qualificato e in caso di esistenza di nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dal soggetto leso.
  4. Già in passato, con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 2545 del 6 aprile 2022, il Consiglio di Stato aveva posto la problematica del forte rischio di subire procedimenti di responsabilità civile e disciplinare.
    Tale criticità è sorta in particolare dopo l’interpretazione della Corte di giustizia sui requisiti motivazionali richiesti nella c.d. Cilfit (sentenza della Corte del 6 ottobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management, sul tema si veda L. DANIELE, Si può “migliorare” CILFIT? Sulla sentenza Consorzio Italian Management, in questa rivista, n. 2, 2022 e F. SPITALERI dell’obbligo di rinvio pregiudiziale: brevi riflessioni a margine della sentenza, Le finalità Consorzio Italian Management, in Blog DUE, 25 gennaio 2022). In quell’occasione la Corte aveva precisato che la motivazione del Giudice nazionale «deve far emergere o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi» (punto 51).
    Tuttavia, l’applicazione della giurisprudenza Cilfit incontra talvolta non poche difficoltà, come è dimostrato dalle perplessità sorte intorno alla nozione di “atto chiaro”, che per essere tale deve essere considerato inequivoco in tutti gli Stati membri dell’Unione (accertamento, quest’ultimo, non sempre agevole per il singolo giudice nazionale). Il che ha indotto il Consiglio di Stato ad ulteriori rinvii alla Corte (Cfr. ordinanza Cons. Stato, IV sezione, n. 2545 del 6 aprile 2022, che conferma il rinvio sollevato dalla stessa sezione con sentenza non definitiva n. 6290 del 14 settembre 2022; ed ancora, sentenza non definitiva Cons. Stato, IV sezione, n. 490 del 25 gennaio 2022), senza che le relative “identiche” risposte (con ordinanze motivate) abbiano consentito, per la verità, di fare notevoli progressi interpretativi. Infatti, nella richiamata ordinanza Corte giust., 15 dicembre 2022, causa C-597/21, Centro Petroli Roma, cit., si legge che «l’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte». Del resto, è noto che la Corte, quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata ex art. 99 del Regolamento di procedura della Corte (cfr. punto 36 della citata ordinanza e nello stesso senso cfr. ordinanze già citate 15 dicembre 2022, causa C-144/22, Società Eredi Raimondo Bufarini e del 27 aprile 2023, causa C-482/22, Associazione Raggio Verde).
  5. Consapevole, dunque, di questo orientamento e della «prevedibilità delle risposte che verrebbero fornite di fronte ad eventuali, futuri quesiti analoghi», il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2789, del 21 marzo 2024, non formula più nuovi quesiti sul punto, ma nel rinvio pregiudiziale di interpretazione della Direttiva 2012/18/UE sulle sostanze pericolose, sottolinea come la questione rimanga «molto rilevante per il giudice nazionale», che deve «ricercare autonomamente, alla stregua delle indicazioni fornite dalla stessa Corte, l’interpretazione della normativa nazionale sulla responsabilità civile del giudice che era stata richiesta alla C.G.U.E. nell’ultima serie di rimessioni prima citate». E tale presa di posizione non stupisce. Si era, infatti, già paventato (cfr. segnalazione G. GRECO, Il Consiglio di Stato ritorna (polemicamente) sull’obbligo del rinvio pregiudiziale, in questa rivista, Segnalazioni, 2022) che il rinvio alla Corte di giustizia potesse non essere la via corretta per risolvere i problemi nazionali relativi a insufficienze dei mezzi processuali e ai rapporti tra poteri giurisdizionali interni. Del resto, è la stessa Corte di giustizia che ha sempre sottolineato come, per il principio dell’autonomia procedurale, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea, il rispetto del loro diritto ad una giurisdizione effettiva.
  6. Tuttavia il Consiglio di Stato, nell’ordinanza che qui si segnala, ha ritenuto «opportuno svolgere, preliminarmente alcune considerazioni di ordine generale sul rapporto con la C.G.U.E. nel rinvio ex art. 267, terzo paragrafo, T.F.U.E». È noto, infatti, che con il meccanismo del rinvio pregiudiziale si è voluto instaurare un sistema di cooperazione, basato peraltro su un chiaro riparto dei compiti giurisdizionali tra giudice nazionale e Corte di giustizia (cfr. in tal senso Corte giust., 6 otttobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, cit., anche comunemente chiamata Cilfit II). Un dialogo che la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ribadisce debba essere un dialogo «tra giudici e non coinvolgere altri soggetti», evidenziando che tale assunto comporta che il rinvio pregiudiziale sia, come sottolineato dalla stessa Corte di giustizia ai punti 53, 54 e 55 della sentenza da ultimo richiamata, «estraneo all’iniziativa delle parti» che «non possono privare i giudici nazionali della loro indipendenza […] obbligandoli a presentare una domanda di pronunzia pregiudiziale».
  7. L’obbligo di un rinvio automatico, infatti, avrebbe conseguenze particolarmente delicate, poiché in tal caso il Consiglio di Stato o comunque il giudice nazionale di ultima istanza, nell’operare o meno il rinvio pregiudiziale, sembrerebbe condizionato anche dalla preoccupazione della minaccia di azioni di responsabilità. Tale situazione risulterebbe peraltro lesiva del «principio costituzionale (art. 111, comma secondo, Cost.) e dell’Unione europea (art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali U.E.) della ragionevole durata del processo, in quanto il giudice supremo nazionale italiano sarebbe costretto a disporre un rinvio pregiudiziale, allungando di molto i tempi di risoluzione della controversia, per prevenire, in assenza di qualsivoglia filtro preventivo, la proposizione dell’azione di risarcimento del danno ai sensi della norma sancita dall’art. 2, comma 3-bis, legge n. 117/1988, nonché la ragionevole certezza del coinvolgimento in un accertamento disciplinare, ai sensi della norma sancita dall’art. 9, comma 1, legge n. 117/1988 (pure dopo le precisazioni operate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 2021); [nonchè] lesiva del principio del valore della indipendenza della magistratura, elemento costitutivo della declamata rule of law (art. 101, comma 2, Cost.; art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; art. 6, comma 1, C.e.d.u.) in quanto, pure in presenza di una attività esegetica motivatamente svolta dal giudice nazionale (come nel caso di specie), quest’ultimo può essere attinto dalla minaccia della sanzione risarcitoria e disciplinare per gli esiti (non graditi) della interpretazione» (cfr. Consiglio di Stato, 3 ottobre 2022, ordinanza n. 8436 – remissione in Adunanza Plenaria).
    La questione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale in tal modo sembrerebbe subire una mutazione genetica e la disputa si sposterebbe così dalla controversia tra le parti del giudizio, in aperto contrasto tra una parte e il Giudice. Tale interpretazione porterebbe così a trasformare il rinvio pregiudiziale in un rimedio delle parti, piuttosto che in uno strumento a disposizione del giudice nazionale. In altri termini, l’istituto del rinvio pregiudiziale diventerebbe, secondo tale impostazione, uno strumento di pressione sul Giudice, alterandone così l’essenza, che è invece quella di assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (cfr. F. Spitaleri, cit.; L. Daniele, Art. 267 TFUE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, Milano, 2014, p. 2104 e F. FERRARO, Corte di giustizia e obbligo di rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza: nihil sub sole novum, in Giustizia insieme, 23 ottobre 2021).
  8. Per i giudici di Palazzo Spada, dunque, l’unico modo per ovviare a tale “deriva” non commendevole, ma difficilmente evitabile, sarebbe quello di intendere le risposte della Corte di giustizia nel senso che «in presenza di una richiesta di rinvio “obbligatorio” è configurabile, in capo al giudice, non un “obbligo di rinvio automatico” tout court, ma un “obbligo di pronunciare sulla richiesta di rinvio e di motivare” sulle circostanze che lo escludono, secondo la consolidata giurisprudenza europea su acte clair, acte éclairé e rilevanza della questione indicata dalle parti come pregiudiziale (giurisprudenza consolidatasi da tempo e ora ulteriormente precisata dalla sentenza “Consorzio”)». Questa, dunque, dovrebbe essere la chiave interpretativa da utilizzare nell’applicazione della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati (legge n. 117 del 1988, come modificata dalla legge del 27 febbraio 2015 n. 18). In particolare, tale legge, all’art. 2, nel definire le ipotesi di responsabilità del giudice per “violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea”, prevede al comma 3-bis che «in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea».
  9. Sottolinea inoltre l’ordinanza qui segnalata che alle stesse conclusioni è giunta anche l’A.C.A. – Association of the Councils of State and Supreme Administrative Jurisdictions nell’incontro ufficiale svoltosi il 9-10 ottobre 2023, presso la Suprema Corte Amministrativa di Svezia. In tale occasione si è concluso, infatti, che: «the possible responsibility of the judge in not activating this mechanism must be limited only to the statement of reasons, and should never concern the choice itself to refer or not to the EC».
  10. Non solo. Il Consiglio di Stato, infatti, ricorda come tali conclusioni appaiono in linea con i principi enunciati dalla Corte EDU, che con sentenza del 10 aprile 2012, 4832/04, Vergauwen et autres c. Belgique, ha ritenuto che la motivazione del mancato rinvio sia sufficiente a evitare la violazione dell’art. 6 § 1 della CEDU (Diritto a un equo processo), affermando che «dans le cadre spécifique du troisième alinéa de … l’article 267 du TFUE”, “cela signifie que les juridictions nationales dont les décisions ne sont pas susceptibles d’un recours juridictionnel de droit interne qui refusent de saisir la CJUE à titre préjudiciel d’une question relative à l’interprétation du droit de l’UE soulevée devant elles, sont tenues de motiver leur refus au regard des exceptions prévues par la jurisprudence de la Cour de justice. … Or, en l’espèce, la Cour constate que la Cour constitutionnelle a dûment motive ses refus de poser des questions préjudicielles (paragraphes 34 et 35) et que l’obligation de motivation imposée par l’article 6 § 1 a été remplie conformément à ce que prescrit le droit de l’UE» (cfr. punti da 87 a 106 e, specialmente, punti 89-91 della motivazione). Non si può inoltre non evidenziare come tali principi siano stati anche di recente affermati dalla Corte EDU nella sentenza del 14 marzo 2023, Georgiou c. Grecia (Ricorso n. 57378/18) ove «per la prima volta, la Corte europea ha imposto allo Stato in causa la riapertura del processo interno per un’analisi accurata e una decisione motivata nel caso in cui i giudici di ultima istanza non attivino il rinvio pregiudiziale» (cfr. M. Castellaneta, Mancato rinvio pregiudiziale a Lussemburgo: la Corte europea dei diritti dell’uomo chiede la riapertura del processo, in notizie e commenti sul diritto internazionale e dell’Unione europea, 17 marzo 2023). La Corte EDU in tale sentenza ha ricordato che, nel contesto specifico dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), i giudici nazionali di ultima istanza sono tenuti a motivare il rifiuto di sottoporre una questione pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione alla Corte di giustizia. In particolare, devono essere indicati i motivi per cui si ritiene che la questione sia conforme ai criteri Cilfit e dunque non sia pertinente, o che la disposizione di diritto dell’Unione sia già stata interpretata dalla CGUE, o ancora che la corretta applicazione del diritto dell’Unione sia così evidente da non lasciare spazio per ragionevole dubbio (punto 23).
    Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte EDU, il ricorrente aveva chiesto alla Corte di cassazione greca di adire la Corte di giustizia. Tuttavia, come rilevato dalla stessa Corte EDU la sentenza della Corte di cassazione greca del 7 giugno 2018 non conteneva né un riferimento alla domanda presentata dal ricorrente, né alcuna motivazione in ordine alle ragioni del mancato rinvio pregiudiziale (punto 25).
  11. Pur nella consapevolezza, ormai acquisita, che si tratta di una problematica di diritto nazionale, che non può essere risolta chiedendo soccorso (esterno) alla Corte di giustizia, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato insiste comunque per ottenere l’avallo della Corte. E a tal fine, come già accennato, non propone specifici quesiti, ma si avvale di un lungo preambolo, sul quale peraltro chiede espressamente una presa di posizione della Corte: si tratta di un uso quantomeno anomalo (ancorché forse, ingegnoso) del rinvio pregiudiziale.
  12. Nell’attesa, dunque, della sentenza della Corte, risulta ormai certa la preoccupazione dei Giudici di Palazzo Spada rispetto alle possibili azioni di risarcimento del danno. Ma tale timore non pare per ora trovare condivisione in Corte di giustizia, dato che già lo stesso avvocato generale Hogan, nelle sue conclusioni nel caso Randstad, aveva viceversa paventato con preoccupazione che l’azione per risarcimento dei danni rimanesse «un’illusione piuttosto che una realtà» (conclusioni dell’avv. gen. Hogan, del 9 settembre 2021, alla causa C-497/20, Randstad, punto 82).

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