Diario (breve) del semestre di Presidenza italiana 2014 nel settore della giustizia penale

1. Un semestre “complicato”

La Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, conclusasi il 31 dicembre 2014, era venuta ad aprirsi in uno scenario pieno di incertezze, ma anche ricco di stimoli e sfide.

Se tutte le Presidenze del “secondo semestre” partono inevitabilmente svantaggiate rispetto a quelle che le precedono, in ragione del tempo loro sottratto dalle lunghe pause legate alle ferie estive e da quelle di fine anno, la Presidenza italiana scontava un handicap addizionale, dovuto ai pressoché contemporanei rinnovi del Parlamento europeo e della Commissione.

Il nuovo Parlamento, insediatosi il 1° luglio, in perfetta coincidenza con l’avvio della nostra Presidenza, ha cominciato concretamente a funzionare soltanto una volta costituite le commissioni parlamentari e designati i relatori dei singoli dossiers; ciò è avvenuto solo nel corso del mese di settembre, impedendo quindi, prima di tale momento, l’avvio di ogni procedura di “trilogo” od anche gli usuali contatti preliminari tra la Presidenza e gli stessi relatori.

Già nel corso del primo semestre 2014 la Commissione Barroso II, “in uscita” al 31 ottobre 2014, aveva perduto ogni residua spinta propulsiva e le sue ultime proposte legislative rilevanti, nel settore della giustizia penale, risalivano al novembre 2013; la stessa vigorosa Vice Presidente Viviane Reding, Commissario per la Giustizia, dapprima in corsa per la campagna elettorale europea e quindi eletta membro del nuovo Parlamento, aveva anch’essa cessato di costituire una costante interlocutrice nella assai delicata fase di preparazione che precede il semestre.

Anche l’uscita di scena, in novembre, del Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, che ha ceduto il passo al nuovo premier Tusk, non ha certo contribuito a semplificare il quadro politico né quello d’insieme. D’altronde era stato proprio il Consiglio europeo del giugno 2013 – decidendo di anticipare alla sua sessione del giugno 2014, ancora sotto Presidenza greca, l’adozione delle nuove “linee strategiche” nel settore della Giustizia e degli affari interni in attuazione dell’art. 68 TFUE – ad avere sostanzialmente privato la Presidenza italiana di quello che, nella originaria programmazione di lungo periodo, era prefigurato come uno dei principali potenziali obbiettivi per il dicembre 2014, vale a dire l’adozione di un “Programma di Roma” che potesse succedere ai precedenti di Tampere (1999), L’Aia (2004) e Stoccolma (2009).

Infine, il 1° dicembre 2014, proprio nel corso del nostro semestre, è venuto a scadere il periodo transitorio previsto dal protocollo n. 36 allegato al trattato di Lisbona, con la conseguente “normalizzazione” delle competenze di Commissione e Corte di giustizia, in ordine al controllo sulla attuazione dell’acquis dell’Unione antecedente l’entrata in vigore del trattato stesso (nella sostanza tutto il vasto complesso di decisioni quadro, convenzioni ed altri strumenti adottati nel settore della cooperazione penale e di polizia sino al 1° dicembre 2009: v. qui). Proprio tale scadenza aveva inoltre condotto il Regno Unito ad avvalersi della possibilità, apertagli dallo stesso protocollo, di denunziare (“opt-out”) l’intero acquis, chiedendo nel contempo di mantenere la propria partecipazione (“opt-in back”) solo in un numero limitato di strumenti, con la conseguente necessità di aggiungere tale ulteriore delicato negoziato al menu, già più che ricco, della nostra Presidenza (v. qui).

Nonostante tali condizioni (sulla carta) non propriamente favorevoli – o forse anche grazie alle stesse, attesa la flessibilità e capacità di adattamento usualmente considerate caratteristiche dell’italico ingegno – la preparazione della Presidenza italiana, anche nel delicato settore della Giustizia, è potuta proseguire senza eccessivi ostacoli. Molti dossiers, del resto, erano già sul tavolo od in fase avanzata di negoziato; in particolare, due dei principali di essi, la proposta di regolamento sulla protezione dei dati personali e quella di regolamento sulla Procura europea, procedevano, sia pur con diversi tempi e velocità, su binari relativamente solidi, così come del resto era il caso anche per la riforma di Eurojust e le principali proposte di regolamento in materia civile.

Accanto a tali fascicoli già aperti, la Presidenza ha poi deciso di porre un proprio accento particolare su alcuni altri dossiers, che non potevano rimanere assenti dalle priorità di un semestre che volesse rimanere connotato da una forte impronta tricolore. Si è così deciso di imprimere un’accelerazione sul versante delle garanzie processuali, avviando in contemporanea i lavori sulle due proposte di direttiva in materia di presunzione di innocenza e di gratuito patrocinio, già presentate dalla Commissione europea nel novembre 2013 e sulle quali la discussione in Consiglio non era ancora stata avviata. Al tempo stesso, anche il tema della lotta al crimine organizzato e dell’aggressione dei patrimoni di origine criminale non poteva non figurare nell’agenda della nostra Presidenza, soprattutto a seguito delle ricche ed articolate raccomandazioni che erano state adottate, nell’ottobre 2013, dalla commissione speciale del Parlamento europeo sul crimine organizzato (“commissione CRIM”). A seguito della incalzante e drammatica attualità, adeguata attenzione è stata anche rivolta al tema della prevenzione e lotta al terrorismo, ed in particolare al fenomeno dei cd. foreign fighters.

2. Le principali tappe

Per quanto riguarda le principali “tappe” del nostro semestre di Presidenza nel settore GAI, quest’ultimo è stato scandito dall’oramai tradizionale terna di riunioni a livello ministeriale: una riunione informale “di apertura”, tenutasi a Milano l’8 ed il 9 luglio, e due sessioni formali di Consiglio, la prima (di “mid term”) a Lussemburgo il 9 e 10 ottobre e la seconda, quella conclusiva e di maggiore importanza, a Bruxelles il 4 e 5 dicembre.

A Milano, per ciò riguarda le materie della Giustizia, i Ministri furono chiamati a “scaldare i muscoli” su alcuni dei principali temi della Presidenza: protezione dei dati, Procura europea, con particolare attenzione ai profili riguardanti il controllo giurisdizionale sugli atti della stessa, nonché, in materia civile, la soppressione della legalizzazione degli atti e di altre formalità, al fine di semplificarne la circolazione transfrontaliera (c.d. “legalizzazione degli atti”). Nel corso della colazione i Ministri della Giustizia procedettero anche ad un primo scambio di vedute sulle già ricordate “linee strategiche” adottate solo qualche giorno prima dal Consiglio europeo.

Il Consiglio di Lussemburgo fornì invece l’occasione per approfondire alcuni nodi legati ai principali dossiers sul tappeto, anche al fine di consentire ai Ministri di “familiarizzare” con essi in vista delle decisioni da assumere al successivo Consiglio di dicembre. In particolare, per ciò che riguarda la proposta riguardante la Procura europea, venne discusso il tema della modalità di gestione delle indagini che interessassero il territorio di diversi Stati membri, alla luce della concezione di quest’ultimo quale “spazio giudiziario unico”, come proposto nell’originario progetto della Commissione. Sul menu del Consiglio di ottobre figuravano anche la proposta di direttiva sulla presunzione di innocenza (con riferimento ad un problema specifico legato alla disciplina delle presunzioni legali nel processo penale) e quella di regolamento sulla legalizzazione degli atti.

Il 4 e 5 dicembre, a Bruxelles, si sono tirate le fila, in particolare sui temi della protezione dei dati, della Procura europea, di Eurojust e della presunzione di innocenza nonché, per il settore civile, sulle procedure di insolvenza, sulle controversie di modesto valore e sulla legalizzazione degli atti.

Accanto alle riunioni a livello ministeriale, diversi altri “eventi”, in gran parte organizzati in partenariato con la Commissione europea od altri soggetti, hanno costellato il cammino della presidenza italiana, tra i quali si segnalano in particolare un seminario sul mutuo riconoscimento delle decisioni di confisca, che ha avuto luogo il 22 e 23 settembre in Siracusa presso l’Istituto Superiore di Scienze Criminali (ISISC), ed una conferenza sul ruolo della Corte di giustizia dell’Unione nel settore della Giustizia e degli affari interni tenutasi il 13 e 14 novembre presso la Libera Università degli Studi sociali (LUISS) di Roma. Quest’ultima è stata organizzata congiuntamente con le altre due Presidenze del “Trio” 2014/15, Lettonia e Lussemburgo, costituendo la prima tappa di un ciclo organico che si compone di altri due eventi, che si svolgeranno a Riga e Lussemburgo nel corso del 2015, tutti incentrati sul ruolo della Corte di Giustizia all’interno dello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia.

Anche le relazioni esterne hanno ricevuto la dovuta attenzione, in particolare attraverso l’organizzazione di due riunioni con le autorità americane, una a livello di alti funzionari e la seconda ministeriale, di un vertice ministeriale tra Unione Europea e Paesi dei Balcani Occidentali, e della tradizionale riunione con il Consiglio d’Europa sui temi di comune interesse nel campo della giustizia penale.

3. I risultati

I risultati conseguiti nel settore (della) Giustizia dalla Presidenza italiana possono considerarsi sicuramente positivi, ancor più se complessivamente valutati alla luce delle concrete risorse aggiuntive messe in campo, risorse del tutto sottodimensionate, tanto in termini assoluti quanto in termini comparativi, ove rapportate con quelle che sono state o stanno per essere dispiegate da parte di Paesi anche di dimensione assai minore del nostro o con comparabili problemi di tagli alla spesa pubblica.

Protezione dati

Benché non direttamente collegato con la materia penale, non può anzitutto mancarsi di ricordare il raggiungimento, al Consiglio GAI di dicembre e dopo i progressi già compiuti in ottobre, di un accordo parziale su quasi tutti i principali nodi della proposta di regolamento generale in materia di protezione dei dati personali, accordo che include anche il settore pubblico nell’ambito di applicazione della disciplina e prevede una soluzione che appare oramai definita sull’intricata questione del controllo sulle imprese multinazionali, soluzione che è stata individuata in un sistema (“one stop shop”) che radica la competenza di un’unica autorità di protezione dati (DPA) per le stesse, temperato però dalla previsione di competenze in capo alle DPA locali dei Paesi di residenza dei cittadini coinvolti.

Tale intesa potrebbe ora spianare la strada al collegato negoziato – da tempo sostanzialmente sospeso in attesa dei predetti sviluppi – sulla proposta di direttiva penale concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o di esecuzione di sanzioni penali, e loro libera circolazione.

Procura europea

Giungendo alla materia propriamente penale, converrà muovere dal testo che di recente ha certo suscitato il maggiore interesse sul piano mediatico, vale a dire la proposta di regolamento sulla Procura europea (European Public Prosecutor Office – “EPPO”) di cui, dopo mesi di intenso negoziato, si è potuto pervenire a consolidare il nucleo essenziale, comprensivo di tutti i principali elementi costitutivi.

La proposta della Commissione mira, come è noto, a creare un vero e proprio ufficio di procura sovranazionale, competente a promuovere ed a condurre le indagini su tutti i reati che rechino pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione, sottoponendo quindi i risultati delle stesse al vaglio delle competenti corti nazionali, dinanzi alle quali l’EPPO sosterrebbe anche l’accusa.

L’Italia aveva ereditato dalla Presidenza greca un testo “sbilanciato”, all’interno del quale ci si era in sostanza affrettati a congelare la sola parte relativa alla struttura del futuro organismo, trasformando il modello “gerarchico” originariamente proposto dalla Commissione europea, formato unicamente da un Procuratore Capo e 4 “vice”, in un modello “collegiale”. All’interno di quest’ultimo ogni Stato membro partecipante avrebbe la possibilità di designare il “suo” Procuratore europeo e successivamente sarebbe lo stesso collegio ad esprimere il Procuratore Capo ed i vice designandoli dal proprio interno e sottoponendo quindi la loro nomina al Consiglio. Tutte le altre parti della proposta essendo rimaste ancora sostanzialmente intonse al momento del passaggio di consegne alla Presidenza italiana, questa si concentrò immediatamente sulla prosecuzione dell’esame del testo, conducendo in parallelo tanto un dibattito tematico sulle problematiche di più ampio respiro (riservato ai Ministri e ad un Comitato di alti funzionari) quanto un esame analitico delle singole disposizioni (nella sede del gruppo di lavoro tecnico), cercando in tal modo di massimizzare il limitato tempo a disposizione di una “Presidenza di secondo semestre”.

È stato in tal modo possibile prendere in esame e discutere in maniera approfondita le disposizioni sulla competenza del futuro EPPO, sulla modalità di gestione dei procedimenti di sua competenza, sui poteri investigativi posti a sua disposizione, sulla apertura, conduzione e chiusura delle indagini condotte a livello di un singolo Stato membro o transnazionali, sulla ammissibilità delle prove dinanzi alle giurisdizioni e sulla confisca, sulle garanzie procedurali dei soggetti coinvolti nelle indagini dell’EPPO e sul controllo giurisdizionale sugli atti dello stesso.

Come si è già visto, l’Italia ha costantemente mantenuto la proposta di regolamento sull’EPPO all’ordine del giorno di tutti e tre gli incontri a livello ministeriale tenuti nel corso della Presidenza, sottoponendo di volta in volta ai Ministri le questioni tematiche considerate di particolare rilievo. In occasione del Consiglio conclusivo del semestre, oltre alla presentazione del testo consolidato dei primi 37 articoli, è stato anche possibile tornare a ridiscutere sulle procedure di nomina del Procuratore Capo Europeo e dei membri del collegio.

Nel sistema che va delineandosi all’interno dei lavori del Consiglio, ciascuno dei “Procuratori europei” appare infatti destinato, nella sostanza, a seguire in via prioritaria – attraverso i procuratori nazionali delegati operanti sul territorio od in talune ipotesi anche direttamente – tutte le indagini che interessino il proprio Stato membro di provenienza. Proprio muovendo dalla forte connotazione nazionale che appare caratterizzare tale “catena di comando” (e che sembra rassicurare e corrispondere al desiderio della grande maggioranza degli Stati membri), l’Italia ha pertanto proposto che si potesse ritornare sul testo degli articoli elaborati sotto Presidenza greca, al fine di rafforzare le garanzie di indipendenza del Procuratore capo e dei procuratori delegati. Per quanto riguarda la nomina dei singoli procuratori europei si è dunque proposto di introdurre una procedura ispirata a quella che regola la nomina dei giudici della Corte di Strasburgo, che dovrebbe passare attraverso la presentazione di un trio di candidature, sulle quali si esprimerà un panel composto da personalità indipendenti; sulla nomina del Procuratore Capo si è poi proposto che la scelta dello stesso da parte del Parlamento europeo e del Consiglio possa avvenire non soltanto tra i membri del collegio ma anche al di fuori di esso. Si è in sostanza, e forse per la prima volta nel corso dell’intero negoziato, cercato di impartire allo stesso un segno di inversione di tendenza rispetto al generale accordo “al ribasso” che era sembrato sino ad ora caratterizzarlo; sottrarre, sia pur solo in parte, alla esclusiva disponibilità degli Stati membri la scelta dei procuratori dell’EPPO e del suo Capo non potrà infatti che rinforzare la credibilità del nuovo organismo nel suo complesso, così come anche quella dei suoi singoli componenti.

Pur non potendosi certo considerare ancora oggetto di un accordo unanime, il nuovo testo consolidato presentato dalla Presidenza italiana all’esito del Consiglio GAI di dicembre rappresenterà comunque la base di partenza per gli ulteriori negoziati, che proseguiranno sotto le Presidenze a venire e che dovranno anzitutto occuparsi dei residui capitoli del testo non ancora oggetto di discussione approfondita: protezione dati, disposizioni finanziarie e riguardanti il personale (sulle quali il dibattito si è peraltro già aperto nel corso della Presidenza italiana, con riferimento al possibile inquadramento dei futuri Procuratori europei quali agenti dell’Unione europea), relazioni con i partners (Eurojust, Europol, OLAF…) e con i Paesi terzi o gli Stati membri non partecipanti, etc.

Una volta raggiunto un sufficiente grado di avanzamento del negoziato, tanto sotto il profilo tematico quanto nel dettaglio delle singole disposizioni, e nel caso perduri l’aperta ostilità di talune delegazioni, potrà anche concretamente valutarsi l’eventualità di un passaggio alla cooperazione rafforzata tra un più ristretto numero di Stati membri rispetto ai 25 che compongono l’unanimità richiesta dall’art. 86 TFUE per l’adozione del regolamento.

Eurojust

Al Consiglio di dicembre è stato anche raggiunto un accordo parziale sulla proposta di nuovo regolamento istitutivo di Eurojust, diretto a sostituire le due precedenti decisioni 2002/187/GAI e 2009/426/GAI. L’oggetto dell’accordo comprende tutte le parti essenziali della riforma dell’Eurojust, ad eccezione, anche in questo caso, delle norme in materia di protezione dati e di quelle relative ai rapporti con il futuro EPPO (specularmente a quanto avvenuto anche in relazione alla proposta su tale ultimo strumento per ciò che riguarda le sue relazioni con Eurojust).

Il testo di dicembre reca alcune significative differenze rispetto alla proposta originaria, in particolare per quanto riguarda la struttura di governo che è stata sensibilmente modificata rispetto a quella proposta dalla Commissione europea; quest’ultima è stata infatti esclusa dalla partecipazione alle riunioni operative del Collegio mentre farà invece parte del neocreato “Comitato esecutivo”, i cui compiti sono di natura essenzialmente amministrativa e finanziaria.

Sulla base dell’esperienza concreta sin qui maturata è stata raggiunta anche un’intesa sulla introduzione di un “meccanismo di compensazione” in favore di quegli Stati il cui membro nazionale venga eventualmente eletto nella posizione di Presidente o di Vice Presidente di Eurojust, con ripercussioni negative sul lavoro dello Sportello (il “Desk“) nazionale e la conseguente necessità di dotare lo stesso di personale aggiuntivo.

Presunzione di innocenza

Tra i maggiori risultati della Presidenza va poi senz’altro annoverato l’orientamento generale raggiunto all’unanimità (ma con l’esclusione, oltre che della Danimarca, anche del Regno Unito ed Irlanda che hanno deciso di non partecipare alla sua adozione) sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, il cui esame si era aperto soltanto in luglio in apertura del semestre in parallelo a quella sul gratuito patrocinio.

Pur non figurando formalmente inserita all’interno della “tabella di marcia” adottata dal Consiglio nel novembre 2009 in materia di diritti procedurali, la proposta di direttiva entra comunque a comporne il quadro generale, mirando a rafforzare quel particolare nucleo di garanzie previste da ciascun Paese a tutela degli indagati e degli imputati ed all’interno delle quali viene a declinarsi il più generale principio della presunzione di innocenza.

I principali cardini del futuro strumento riposano anzitutto sul principio che la presunzione di innocenza debba trovare applicazione ab initio, anche prima cioè che l’indagato sia formalmente tale e sia consapevole di rivestire tale qualità; si prevede inoltre il divieto di dichiarazioni pubbliche sulla colpevolezza del soggetto prima dell’intervento di una sentenza definitiva di condanna, sancendosi infine il diritto a non autoincriminarsi ed a rimanere in silenzio nonché quello di presenziare al proprio processo. Da segnalare anche che si è riusciti a resistere al tentativo di inserire all’interno del testo qualsivoglia ipotesi di eccezione di carattere generale all’ambito di applicazione della direttiva.

Sulla base dell’accordo raggiunto dai Ministri potranno essere al più presto avviati i negoziati “in codecisione” con il Parlamento europeo al fine di poter pervenire quanto prima all’adozione definitiva del testo. Del pari prossima all’adozione dovrebbe essere la proposta di direttiva sui diritti processuali dei minori coinvolti in un procedimento penale, già oggetto di un accordo in sede di Consiglio alla fine del semestre greco ed in relazione alla quale la Presidenza italiana ha avviato i contatti con il Parlamento per poter dare sollecitamente inizio alla procedura di “trilogo”.

Altri strumenti legislativi

Pur se non oggetto di accordo definitivo, neanche a livello parziale, nel corso del semestre sono stati comunque registrati progressi più o meno sensibili anche su altri dossiers legislativi di particolare rilevanza.

In particolare sono stati compiuti rilevanti passi in avanti sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale o nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto; si tratta di un ulteriore strumento rientrante nella roadmap del 2009 sui diritti procedurali il cui negoziato, anche in questo caso, era stato avviato solo all’inizio della nostra Presidenza e può considerarsi giunto ad uno stadio assai prossimo ad un accordo in sede di Consiglio, essendo rimaste aperte solo poche questioni relative essenzialmente all’esclusione o meno dall’ambito di applicazione dello strumento dei reati c.d. “minori”, delle detenzioni di breve durata e ad altre ipotesi che, ad avviso di alcuni Stati membri, dovrebbero rimanerne escluse.

Direttamente collegata al regolamento EPPO è poi la proposta di direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (c.d. direttiva “PIF”). Quest’ultima circoscrive infatti l’ambito di competenza della futura Procura, che dovrebbe venire a conoscere delle sole condotte lesive degli interessi finanziari dell’UE che costituiscano oggetto di incriminazione da parte della direttiva. In merito a tale proposta, la Presidenza ha immediatamente avviato i negoziati con il Parlamento europeo, non appena si è proceduto alla nomina dei relatori delle due competenti Commissioni parlamentari (Commissioni “LIBE”, per gli aspetti più propriamente penali, e “CONT” per quelli legati alla protezione del bilancio); i progressi della procedura di trilogo sono stati in questo caso particolarmente rapidi, consentendo di sciogliere gran parte dei punti di divergenza tra Consiglio e Parlamento pur lasciando irrisolte alcune questioni, prima tra tutte la perdurante opposizione della maggioranza degli Stati membri all’inclusione all’interno dell’ambito di applicazione della direttiva delle frodi in materia di IVA (esclusione questa a sua volta chiaramente collegata alla volontà di condizionare in tal modo le competenze della futura Procura europea in tale campo).

È stato infine condotto con successo in porto il già ricordato complesso negoziato, conseguente all’opt-out del Regno Unito reso possibile dal protocollo n. 36, sulla partecipazione britannica ad una lista selezionata di strumenti di cooperazione giudiziaria penale e di polizia adottati in epoca antecedente l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, con la avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione delle 2 relative decisioni 2014/857/UE e 2014/858/UE – l’una concernente l’acquis di Schengen e l’altra relativa agli atti non facenti parte di quest’ultimo – entro il tassativo termine del 1° dicembre.

Lotta al terrorismo ed al crimine organizzato

La prepotente attualità non poteva non condurre la Presidenza italiana ad affrontare anche il tema della prevenzione e della lotta al terrorismo, tanto sotto i profili ricadenti maggiormente all’interno della competenza dei Ministri dell’Interno, come pure sotto quelli di competenza dei Ministri della Giustizia.

In particolare nel corso del Consiglio del 4 dicembre questi ultimi hanno affrontato il tema dei “combattenti stranieri” oggetto anche della discussione della riunione dei Ministri dell’Interno del giorno successivo. La discussione ministeriale era stata preceduta da discussioni a livello di alti funzionari condotte insieme al Coordinatore europeo antiterrorismo (CTC), Gilles de Kerchove, ed è stata arricchita dal contributo fornito da Eurojust attraverso il deposito di un rapporto riservato sul tema della risposta giudiziaria al fenomeno dei combattenti stranieri (“Foreign Fighters: Eurojust’s Views on the Phenomenon and the Criminal Justice Response“).

Oltre allo scambio di informazioni, esperienze e buone pratiche sulla attuazione da parte degli Stati membri della Risoluzione adottata in materia dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ed anche alla luce delle prime condanne per tale tipo di condotte ottenute dinanzi a giurisdizioni degli Stati membri, la reale questione posta sul tappeto da parte del CTC e sottoposta alla riflessione dei Ministri della Giustizia è stata quella della eventuale necessità di rivisitare la decisione quadro 2008/919/GAI in materia di incriminazione delle condotte di terrorismo (che, a sua volta, ha modificato la decisione quadro 2002/475/GAI), al fine di includervi anche quelle condotte collegate al fenomeno dei combattenti stranieri che attualmente non appaiono chiaramente ricadere nell’ambito delle incriminazioni previste dalla stessa; tra queste da evidenziare le diverse modalità dirette a prevenire o reprimere i “viaggi” verso le zone di conflitto, ed a punire gli organizzatori o facilitatori degli stessi, od ancora ad impedire il “ritorno” dei soggetti radicalizzati.

Pur in presenza di opinioni assai divergenti sul modo di affrontare la questione, ed ancor più sulla effettiva necessità di una iniziativa a livello dell’Unione diretta alla modifica della decisione quadro, il merito della discussione condotta è stato di certo quello di proporre all’attenzione, tanto dell’opinione pubblica quanto dei Ministri della Giustizia, i numerosi e rilevanti profili di competenza di questi ultimi che riguardano gli aspetti giudiziari della lotta al terrorismo. Ciò nella convinzione che anche le migliori attività di indagine valgano a poco, se poi non si sia in grado di pervenire a procedimenti giudiziari che si concludano con condanne effettive per chi si sia reso responsabile di condotte criminali. In occasione dello stesso Consiglio di dicembre, i Ministri dell’Interno hanno anche adottato una revisione della “Strategia dell’UE per combattere la radicalizzazione ed il reclutamento nelle file del terrorismo”.

Sul finire del semestre l’Italia ha anche ritenuto di fare il punto sullo stato di attuazione della citata risoluzione del Parlamento europeo sulla criminalità organizzata, adottata nell’ottobre 2013 dalla commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio (“commissione CRIM”), passando in rassegna i principali punti della stessa che hanno trovato esecuzione e quelli che rimangono invece ancora da attuare. Particolare attenzione è stata dedicata ai problemi legati all’aggressione dei patrimoni criminali, in relazione ai quali sono state richiamate le discussioni del già menzionato seminario di Siracusa, finalizzate ad aprire la strada ad un nuovo strumento europeo in materia di mutuo riconoscimento di ogni tipo di decisione di confisca, anche se non fondata su una condanna da reato.

In tale contesto si è anche provveduto a sollecitare la Commissione europea perché la stessa provveda a finalizzare ed a rendere finalmente disponibile la relazione sullo stato di attuazione della decisione quadro 2008/841/GAI, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata, relazione la cui presentazione è attesa sin dal novembre 2012.

 4. Conclusioni

 Come si è cercato di dimostrare, l’appena concluso semestre di Presidenza italiana appare in definitiva presentare più luci che ombre, tenuto conto anche delle particolari circostanze in cui si è svolto nonché del ridotto tempo e delle ancor più ridotte risorse a disposizione.

Di certo un accordo completo e non solo parziale sul regolamento protezione dei dati, il raggiungimento di un approccio comune già nel corso del semestre sulla proposta di direttiva in materia di gratuito patrocinio od ancora un accordo in prima lettura con il Parlamento sulla proposta di direttiva PIF, avrebbero costituito un risultato straordinario, ma si sarebbe in questo caso trattato di successi realmente inattesi.

Un discorso a parte merita forse la proposta di regolamento EPPO, data la natura particolarmente sensibile del dossier, diretto alla creazione di un vero e proprio organo di procura sovranazionale, e la procedura estremamente complessa prevista dall’art. 86 del TFUE per procedere alla sua adozione. In questo caso l’obbiettivo finale appare ancora distante nonché condizionato dalla effettiva volontà delle Presidenze a venire nel medio periodo (Paesi Bassi, Regno Unito…) di conseguire risultati reali; si sono tuttavia compiuti passi in avanti decisivi sulla strada del consolidamento di un testo che, nel venire ad offrire una effettiva e realistica base di lavoro per giungere ad un accordo che sia per quanto possibile il più ampio, non ha ceduto troppo sul piano della sostanza, finanche risalendo in alcuni punti una china che sembrava inarrestabilmente destinata a procedere verso il ribasso.

Più in generale, l’attuale fase attraversata dall’Unione nel settore della Giustizia appare di certo caratterizzata da una qual certa mancanza di entusiasmo e principalmente orientata verso la mera implementazione dell’esistente piuttosto che sulla concezione e messa in cantiere di nuovi strumenti di mutuo riconoscimento, ravvicinamento legislativo o di cooperazione, così come del resto ben dimostrano, da ultimo, le assai deludenti ed anodine nuove “linee strategiche” adottate nel giugno 2014 dal Consiglio europeo, che hanno rappresentato una sostanziale abdicazione da parte di quest’ultimo dal compito ad esso assegnato dall’art. 68 TFUE.

In tale non facile congiuntura la Presidenza italiana ha avuto di certo il merito di andare controcorrente e non apparire rassegnata al mainstream dominante offrendo, sotto varia forma, un non trascurabile ed originale contributo in termini di idee, iniziative e (soprattutto) di “entusiasmo” che potranno rivelarsi utili a fecondare, quando la stagione sarà più propizia, il futuro sviluppo dello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia.


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