La revisione del regime di controllo nel settore della politica comune della pesca: il governo italiano impugna il regolamento (UE) 2023/2842

L’11 marzo 2024 il governo italiano ha annunciato l’introduzione, in tale data, di un ricorso ex art. 263 TFUE dinanzi alla Corte di giustizia diretto a contestare la validità del regolamento (UE) n. 2023/2842 relativo ai controlli nel settore della pesca (v. comunicato stampa del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste). Il ricorso è stato comunicato dal Ministro ed è stato positivamente accolto dalle associazioni di categoria che hanno espresso apprezzamento per la decisione. Dunque, dopo il mondo dell’agricoltura, anche la pesca – e certo non da oggi – mostra segnali di insofferenza verso gli obblighi “comunitari” (Pesca, l’Italia formalizza il ricorso contro la riforma Ue delle regole sui controlli, in Agrisole – Il Sole 24 ore).

Il comunicato stampa del Ministero non consente – nella temporanea assenza della pubblicazione della sintesi del ricorso in Gazzetta Ufficiale dell’Unione (GUUE) – di comprendere le specifiche censure di validità dell’atto e i parametri all’uopo invocati dal nostro paese. Tuttavia, il dibattito particolarmente acceso durante l’approvazione del regolamento e il comunicato stesso, unitamente alle dichiarazioni degli stakeholders, consentono di cogliere quale sia la “ragione del contendere” che ha determinato il governo italiano a rivolgersi alla Corte di Giustizia.

La riforma dei controlli nel settore della pesca portata alla luce con il regolamento (UE) n. 2023/2842 (le cui disposizioni, per la maggior parte, entreranno in vigore nel gennaio 2026) ha quale obiettivo quello di creare una nuova cornice normativa che consenta di rendere ancora più efficaci i meccanismi di sorveglianza e di monitoraggio degli obblighi “comunitari”, con il fine di garantire tutta una serie di obiettivi che la politica comune della pesca (PCP) si pone in termini di sostenibilità ambientale. In particolare, la revisione della disciplina vigente riguarda non solo l’introduzione di sistemi digitalizzati di controllo delle attività di pesca, la registrazione elettronica delle catture (obbligatoria anche per la pesca ricreativa) e l’adozione di un nuovo meccanismo informatico per i prodotti della pesca d’importazione, ma anche l’armonizzazione delle sanzioni conseguenti alla violazione delle norme della PCP, con riguardo alle “infrazioni gravi”.

Uno dei punti più delicati – sul quale, non a caso, sembra impuntarsi il ricorso del governo italiano – riguarda l’utilizzo di sistemi di controllo VMS che comprendano anche tecnologie c.d. CCTV (telecamere a circuito chiuso). In altre parole, tali sistemi di videosorveglianza sarebbero installati sulle imbarcazioni da pesca di maggiori dimensioni al fine di controllare, in particolare, il rispetto da parte degli operatori economici dell’obbligo di sbarco.

Nel regolamento (UE) n. 2023/2842 ai sistemi di CCTV si fa riferimento ai considerando nn. 24, 106 e 111 nonché all’art. 1 che contiene le modifiche al precedente regolamento (CE) n. 1224/2009 e va ad emendare, per quanto qui concerne, l’art. 7, par. 1, lett. e), che si riferisce alle autorizzazioni di pesca e l’art. 13, par. 2, che riguarda, più specificatamente, il «Monitoraggio elettronico a distanza» (così la rubrica della disposizione).

Quest’ultima disposizione risulta cruciale ai fini del nostro discorso. Il nuovo art. 13, par. 1, del regolamento (CE) n. 1224/2009 richiede che gli Stati membri facciano in modo che siano presenti sistemi REM sulle imbarcazioni quando ricorrono le seguenti condizioni: a) l’imbarcazione deve avere una lunghezza “fuori tutto” pari o superiore a 18 metri (per quelle inferiori a tale misure gli Stati membri possono prevedere l’installazione di tali sistemi, ma non devono, ex par. 4); b) l’imbarcazione rientra tra quelle che comportano «un rischio elevato di non conformità all’obbligo di sbarco» determinato ai sensi dell’art. 95, par. 1, del regolamento del 2009. Inoltre, il par. 2 dell’art. 13 indica la necessità di misure di esecuzione della Commissione che dettaglino i requisiti tecnici e le caratteristiche tecnologiche dei sistemi di videosorveglianza.

Dinanzi a questo obbligo imposto ai pescherecci il governo lamenta un’indebita violazione della privacy dei pescatori nonché una violazione della “concorrenza”.

Considerato il tenore dell’annuncio, sarà interessante comprendere la reale portata delle censure mosse dall’Italia avverso il regolamento di riforma dei controlli della pesca. Infatti, il considerando n. 24 aiuta ad interpretare le disposizioni dell’atto legislativo nella misura in cui stabilisce che «[i] dati ricavati dalle CCTV non dovrebbero essere trasmessi in diretta streaming. Al fine di tutelare il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali, la registrazione di materiale video mediante sistemi CCTV dovrebbe essere consentita solo in relazione agli attrezzi e alle parti delle navi in cui i prodotti della pesca vengono salpati a bordo, trattati e immagazzinati o nei casi in cui possono verificarsi rigetti». Inoltre, il considerando n. 106 afferma che «tali sistemi dovrebbero essere progettati e posti in essere in modo tale da escludere, nella misura del possibile, le immagini e l’identificazione di persone fisiche su materiale video registrato ottenuto da sistemi elettronici a distanza e dovrebbero essere previste garanzie qualora eccezionalmente sia rilevata tale identificazione».

In sostanza, se la censura del governo italiano si radica sul mancato bilanciamento tra il diritto fondamentale alla tutela della privacy e dei dati personali (artt. 7-8 e 52, par. 1, CDFUE) e gli interessi perseguiti dalla disposizione, occorre notare che il regolamento sembra aver tenuto conto di tale delicato crinale, richiedendo che tali sistemi siano diretti, anche con accorgimenti di tipo tecnologico, al controllo dell’obbligo di sbarco e non all’identificazione delle persone fisiche che operano sulle imbarcazioni.

Peraltro, occorre notare che, in qualche modo illuminando la ratio del già visto art. 13, par. 2, il considerando n. 111 afferma che è opportuno conferire alla Commissione europea la competenza ad emanare atti di esecuzione al fine di garantire condizioni uniformi di applicazione del regolamento (CE) n. 1224/2009 per quanto attiene anche «i requisiti e le specifiche tecniche dei sistemi REM, compresi i sistemi CCTV, la determinazione dei segmenti di flotta e il trattamento dei dati ricavati da tali sistemi».

In altri termini, la vicenda, che è ancora al suo momento genetico, mostra la difficoltà di bilanciare gli obiettivi della PCP con la sostenibilità economica e sociale, oltre che con le norme in materia di privacy. Tuttavia, risulta anche che il tema da ultimo menzionato sia stato particolarmente considerato dal legislatore dell’Unione, dato che l’utilizzo dei sistemi CCTV risulta funzionale alla ripresa visiva delle sole attrezzatture e sezioni delle imbarcazioni serventi alla raccolta del pescato e che esse devono essere comunque messe in opera nel rispetto di garanzie atte ad evitare che vi sia l’identificazione dei pescatori.

Dunque, il regolamento (UE) n. 2023/2842 sembra aver tenuto ben in conto il principio di proporzionalità in entrambe le declinazioni che si possono individuare e che possono sovrapporsi. Si fa riferimento al principio di proporzionalità sia quale canone fondamentale dell’esercizio delle competenze dell’Unione (peraltro esclusive in questo settore), sia quale “regola-limite” alle compressioni dei diritti fondamentali dell’individuo (art. 52, par. 1, CDFUE).

In conclusione, non può che svolgersi una notazione finale sul generale momento che riguarda la PCP (e, come dimostra la protesta dei “trattori”) anche la PAC.

Entrambe queste politiche sono ad un bivio imposto dal particolare momento storico, laddove si incrociano le sfide della transizione verde, della competitività globale e della sostenibilità sociale (sul “contemperamento” fra esigenze ambientali e sostenibilità economico-sociale del settore della pesca, v., da ultimo, la sentenza della Corte dell’11 gennaio 2024 nella causa C-330/22; sul punto, si consenta il rinvio a C. Fioravanti, La dimensione ambientale nella conservazione delle risorse biologiche marine, in federalismi.it, 8 maggio 2019). Il tema dei controlli nel settore della pesca è indicativo di tale momento, considerata la comunicazione della Commissione del 21 febbraio del 2023 che sottolineava come gli strumenti, anche tecnologici, fino ad ora utilizzati si siano rilevati inefficaci nel garantire l’adempimento degli obblighi “comunitari”. Un’inefficacia dei precedenti sistemi messa in luce da diversi attori istituzionali che sono intervenuti negli anni proprio al fine di stimolare una riforma del regolamento “controlli” (v. la relazione della Commissione europea al Parlamento e al Consiglio del giugno del 2021 sull’applicazione del regolamento n. 1224 del 2009 nonché pagina della Commissione europea relativa alla riforma e “treno legislativo” del regolamento; sui recenti interventi relativi alla PCP, compreso quello nel campo dei “controlli”, si consenta il rinvio a C. Fioravanti, Lo stato degli stock ittici fra persistenti criticità e prospettive di revisione della disciplina: verso la relazione della Commissione sul funzionamento della politica comune della pesca, in I Post di AISDUE, 1° ottobre 2022, p. 129 ss.).

Sarà la Corte di giustizia a dire se il legislatore dell’Unione è “andato oltre”, con l’imposizione degli obblighi di sorveglianza, all’esercizio delle sue competenze e al rispetto del nucleo dei diritti fondamentali coinvolti. Tuttavia, oltre al contenzioso dinanzi alla Corte, la questione politica rimane: l’insofferenza, via via più marcata, verso obblighi “comunitari” sempre più intensi ma sempre più necessari a fronteggiare le sfide poste dalla necessità di salvaguardare – a ben vedere – la sostenibilità economica e occupazionale del settore nel medio e lungo periodo.


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