Anche per il Consiglio Nazionale Forense la Corte di giustizia è un “ufficio giudiziario” ove svolgere la pratica forense

Il consolidamento e l’integrazione fra gli ordinamenti degli Stati membri e quello dell’Unione europea è divenuto, con il passare del tempo, sempre più evidente. Numerosi sono i settori in cui tali distinti, quanto inscindibili, sistemi comunicano fra loro e si incrociano. Fra questi vi è anche l’ordinamento forense.

Tale correlazione è stata evidenziata in tempi recenti, quando, lo scorso luglio, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze ha interrogato il Consiglio Nazionale Forense (“CNF”) circa la validità di un periodo di tirocinio svolto presso la Corte di giustizia ai fini dello svolgimento della pratica forense, il cui corretto espletamento è condizione necessaria per l’accesso all’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di avvocato.

Da un lato si è richiesto se, ai fini del computo dei diciotto mesi totali di pratica, possano essere conteggiati anche i mesi trascorsi dal praticante avvocato presso la Corte; dall’altro lato, se sia possibile riconoscere, fra le udienze a cui il praticante ha l’onere di assistere, anche quelle a cui ha presenziato dinanzi alla Corte europea.

Il CNF, con il parere n. 26 del 12 luglio 2023 , ha risposto affermativamente ad entrambi i quesiti.

Esso ha dapprima posto l’attenzione sull’interpretazione del termine “uffici giudiziari” di cui all’articolo 41, comma 6, lett. b) della legge n. 247/12. Difatti, sebbene fosse pacifico il fatto che esso ricomprendesse ogni organo giudiziario nazionale, altrettanto non poteva dirsi per il giudice del Kirchberg.

Si è così definito che, alla luce dell’intenso grado di integrazione raggiunto fra giudice nazionale e giudice europeo, reso palese da istituti ben noti fra cui il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sia necessaria un’interpretazione estensiva atta a ricomprendere la Corte fra gli “uffici giudiziari”.

Pertanto, il periodo di tirocinio ivi svolto può essere considerato utile ai fini del compimento della pratica forense, limitatamente all’intervallo effettivamente trascorso presso l’ufficio del magistrato. Stando al dato letterale della norma, quest’ultimo non può essere superiore a dodici mesi.

Come corollario, il CNF ha sancito la validità delle udienze a cui il praticante ha assistito in loco ai fini del compimento della pratica.

Un simile riconoscimento sembra seguire un modus operandi oramai consolidato, improntato alla valorizzazione del diritto e della pratica nel diritto dell’Unione europea.

Fra l’altro, esso si ricollega al riconoscimento della figura dell’avvocato specialista in diritto dell’Unione europea e al recente ottenimento di questa qualifica da parte di membri iscritti presso i consigli dell’Ordine italiani (per un approfondimento in proposito in questa Rivista: qui, qui e qui). Non si vede, quindi, modo migliore per avvicinare i giovani professionisti al mondo “comunitario” e alle sue ramificazioni.

Deve però evidenziarsi che il CNF non ha chiarito, all’interno del parere, né il metodo di accertamento della presenza del praticante nelle aule della Corte, né quali siano i documenti da produrre al termine del tirocinio per avviare il riconoscimento dinanzi al competente ordine circondariale. Non si può dunque escludere che, almeno quanto ai profili pratici, la questione non sia chiusa e che potranno seguire altre indicazioni.

Importa, qui, sottolineare che suscita perplessità l’aver posto il quesito nei termini indicati, quasi a dubitare che la Corte sia un “giudice” (rectius, un “ufficio giudiziario”). I Trattati, invero, lo affermano con chiarezza, non diversamente la giurisprudenza.

Da un lato, vi è l’art. 19 TUE, il quale specifica che la Corte è chiamata ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e applicazione dei Trattati e che è composta da un giudice per Stato membro.

Poi, l’art. 253 TFUE richiede che i membri della Corte siano nominati fra le personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che soddisfino le condizioni richieste per l’esercizio, nei rispettivi Paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza.

Questi ultimi – la cui effettiva nomina è, fra l’altro, subordinata alla consultazione di un comitato ad hoc composto da sette personalità scelte fra ex membri della Corte e noti giuristi, così come richiesto dall’art. 255 TFUE – sono chiamati a garantire il rispetto dell’autonomia del sistema giuridico dell’Unione.

Inoltre, prima di assumere le loro funzioni, i membri selezionati prestano giuramento in seduta pubblica e il corretto esercizio delle loro mansioni è assicurato da un’apposita disciplina contenuta nello Statuto della Corte e nel regolamento di procedura.

Dall’altro lato, consolidata giurisprudenza afferma che, per preservare le caratteristiche specifiche dell’ordinamento europeo, i Trattati hanno istituito un sistema giurisdizionale volto ad assicurare coerenza e unità nell’interpretazione del diritto europeo. In tale contesto, la Corte è protagonista e ha il compito di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti agli amministrati.

La chiave di volta del sistema giurisdizionale così concepito è proprio il procedimento di rinvio pregiudiziale che, instaurando un dialogo “da giudice a giudice” proprio tra la Corte e i magistrati dei Paesi membri, mira a salvaguardare l’omogeneità nell’interpretazione del diritto dell’Unione, garantendone la piena efficacia e l’autonomia (si vedano, ex multis: Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 giugno 2019, Commissione europea c. Repubblica di Polonia , Causa C-619/18, punti 44 e 45; Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 ottobre 2018, XC, YB, ZA c. Austria , Causa C-234/17, punti 40 e 41; Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 marzo 2018, Slowakische Republik c. Achmea BV , Causa C-284/16, punti 35, 36 e 37; Parere 2/2013 della Corte (Adesione dell’Unione alla CEDU) del 18 dicembre 2014, punti 174, 175 e 176).

Il combinato disposto fra gli articoli dei Trattati, unito all’interpretazione che di essi è stata fatta a più riprese, sembra non lasciare spazio a dubbi: la Corte di giustizia non solo è il motore dell’integrazione europea, ma è… anche un “ufficio giudiziario” a tutti gli effetti, dotato di ogni requisito necessario per operare quale organo indipendente e imparziale.

La risposta del CNF, quindi, non avrebbe potuto essere di segno opposto e i futuri, eventuali, sviluppi dovranno necessariamente tener conto di tale assunto.


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