Verso i dieci anni di eurojus

In occasione di una tavola rotonda (Milano, 26 maggio 2023) fra i direttori delle riviste giuridiche di area 12 “Scienze giuridiche”, si è affrontato il tema del ruolo di tali riviste “in un contesto di nuove tecnologie e vecchie burocrazie”, ponendo la domanda se vi sia “un futuro possibile”. La discussione ha riguardato, fra l’altro, il contesto interno e internazionale, e quindi il confronto con riviste giuridiche di altri Paesi, l’utilità o necessità di un open access, le regole dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) per la classificazione delle riviste, la connessione ovvero legame con le regole per l’abilitazione scientifica nazionale.

Ho avuto modo di presentare la rivista eurojus in questi giorni entra nel suo decimo anno di vita. Ripropongo qui di seguito i rilievi svolti, con l’auspicio che l’iniziativa possa continuare con successo. Un’iniziativa parallela è stata avviata in questi giorni: eurojusitalia, una banca dati della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sui “casi italiani” (dal 2020 in poi), consultabile nel sito www.eurojusitalia.eu

C’era una volta… Il était une fois , direbbero i francesi, ma l’espressione esiste in tutte le (ventiquattro) lingue dell’Unione europea (e non solo) per iniziare un racconto o una fiaba. Racconto, appunto, come è nata, nove anni fa, eurojus: rivista telematica di cui sono direttore responsabile dal 2014: anno in cui fu pubblicato, il 29 giugno, il primo numero e furono compiuti tutti gli adempimenti di legge per la sua registrazione (9 settembre, registrazione presso il Tribunale di Milano, n. 278).

Eurojus nasce prima come sito web (il 25 maggio 2002) e marchio registrato presso l’UAMI (il 15 dicembre 2003 su domanda del 2 agosto 2002): sito utile per docenti e studenti del diritto dell’Unione europea. Venivano raccolti appunti e materiali utili per lezioni e conferenze nel quadro di una delle iniziative del Centro di eccellenza Jean Monnet finanziato dalla Commissione europea e della Cattedra Jean Monnet ad personam che mi era stata attribuita. Da qui l’idea di creare una rivista che, oltre ad essere uno strumento di informazione, fosse strumento di conoscenza, dibattito, approfondimento per chi coltivava interessi teorici, ma anche pratici, per il fenomeno comunitario in generale, per il diritto dell’Unione europea in particolare.

La rivista nasceva nella forma non cartacea, non ancora molto diffusa all’epoca e voleva essere una pubblicazione specialistica del diritto dell’Unione europea, anticipando il riconoscimento della specificità del diritto UE rispetto ad altre branche del diritto, e precisamente anticipando il riconoscimento (d.m. 30 ottobre 2015, n. 855) dell’autonomia scientifica acquisita dal settore concorsuale 12/E4 (SSD IUS 14) rispetto a quello del diritto internazionale 12/E1 (SSD IUS 13). Questa autonomia, oggetto di ampio dibattito fra gli studiosi del diritto internazionale e del diritto UE, si perfezionò, per così dire, con la creazione (il 18 maggio 2018) di una associazione ad hoc, Aisdue -“Associazione italiana degli studiosi dell’Unione europea”, che ebbe come primo presidente Giuseppe Tesauro, e poi, oggi, Antonio Tizzano.

Gli obiettivi della rivista e dell’Associazione sono stati sempre comuni, avendo come scopo la ricerca, lo studio, l’approfondimento, la corretta informazione sul processo di integrazione europea. Articoli, segnalazioni, relazioni a convegni, recensioni sono le principali rubriche della rivista, cercando di assicurare sempre, attraverso la sua struttura in quattro comitati (direttivo, scientifico, di redazione, dei referees), un rigore scientifico di livello. Venne dapprima (2018) classificata dall’Anvur “rivista scientifica” e successivamente (2020) “rivista scientifica di classe A per i settori concorsuali dell’area 12 (SC12/E4 – Diritto dell’Unione europea)”.

La rivista non si impersona con il suo direttore, ma con tutti coloro i quali vi collaborano, direttamente ma anche indirettamente: fino ad oggi con entusiasmo. Se non fosse questo l’animus e lo spirito, non verrebbe neppure pubblicata e diffusa la newsletter settimanale del martedì e non verrebbero pubblicati i “numeri speciali monotematici”. Finora dieci che dal 2017 accompagnano e arricchiscono la rivista, costituendo piccole monografie.

Il primo numero speciale (del 2017) dal titolo “60 anni di Unione europea. Ricordare il passato per immaginare il futuro” ha rappresentato una sorta di manifesto della rivista che si volgeva indietro, ai primi anni di vita, e guardava avanti. Guardava, insomma, alle prospettive future, confrontandosi con altre riviste di diritto e organizzazione internazionale ed europea, ma anche con riviste di settori diversi che si occupavano di diritto UE.

Ci si è chiesti spesso come continuare, confortati (si fa per dire) dalle critiche e dallo scetticismo sulla nascita di una nuova pubblicazione, ritenuta probabilmente inutile e destinata a breve esistenza.

La linea editoriale privilegia alcuni temi, profili istituzionali a parte (che consentono, peraltro, un confronto anche con studiosi di altre materie), quali il contenzioso avanti alla Corte di giustizia, il rapporto fra giudice dell’Unione e giudice nazionale, la tutela dei diritti fondamentali, la cittadinanza, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la concorrenza e gli aiuti di Stato, l’unione monetaria e la governance bancaria, la cooperazione giudiziaria civile e penale.

L’attenzione si è sempre concentrata sui contributi dei più giovani e sui temi di attualità. La pubblicazione online ha un indubbio vantaggio: consente tempi rapidi, e quindi garantisce l’attualità degli approfondimenti proposti ai lettori. Una caratteristica, questa, che differenzia le riviste telematiche da quelle cartacee che “scontano”, per così dire, i tempi, non brevi, della stampa, ma prima ancora della composizione dei testi e, poi, della distribuzione.

La rivista ha anche promosso convegni e ha sostenuto sia l’istituzione di una autonoma materia di esame, di diritto UE per l’appunto, fra le materie di esame per il conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della professione forense (art. 46 legge 31 dicembre 2012, n. 247 e modifiche successive), sia l’istituzione della qualifica di “avvocato specialista in diritto dell’Unione” nell’ambito delle specializzazioni (tredici in tutto) che l’avvocato può conseguire (in virtù dell’art. 9, l. 247/2012 e del d.m. 12 agosto 2015, n. 144 modificato dal d.m. 1 ottobre 2020, n. 163).

L’incontro con i direttori di altre riviste giuridiche rappresenta l’occasione, per gli organi editoriali di eurojus (dopo nove anni di attività) di riflettere su modifiche e miglioramenti: per esempio coinvolgendo studiosi stranieri e pubblicando i loro contributi. Il confronto con l’Anvur e altre riviste è senza dubbio stimolante e costruttivo: costruiamo la rivista, poco alla volta, con lo stesso spirito, pragmatico, di chi (come Robert Schuman, Dichiarazione del 9 maggio 1950) proponeva una costruzione progressiva dell’integrazione europea (“L’Europe ne se fera pas d’un coup”).

Le difficoltà fino ad oggi incontrate non sono poche. Mi limito ad indicarne alcune, quale suggerimento per una modifica delle regole imposte dall’Anvur.

Referaggio. Perché il referaggio, non consentito da parte dei membri del comitato di redazione, non potrebbe sempre essere consentito da parte dei membri del comitato di direzione e di quello scientifico? Questi membri sono in grado di assicurare autonomia e indipendenza di giudizio, e quindi dovrebbero essere legittimati a esprimere il parere sulla pubblicazione. Sempre in materia di referaggio, dovrebbero essere più chiaramente indicati i criteri d’obbligo, o non, di referaggio. Mi riferisco, in particolare, alle relazioni o agli interventi a convegni: non dovrebbero essere oggetto di referaggio, salvo casi particolari, ma da indicare senza lasciare incertezze, e quindi una esemplificazione nelle nuove regole Anvur sarebbe utile. Una rivista che pubblica regolarmente, rispettando le scadenze, forse meriterebbe un riconoscimento speciale da parte dell’Anvur: i tempi di una rivista cartacea, è vero, sono diversi da quelli di una telematica, ma un riconoscimento potrebbe essere previsto.

Le proposte formulate sono minime, ma nascono da un’esperienza vissuta con passione, con attenzione all’ “accademia”, ma anche alla “vita pratica” del giurista, alle sue esigenze. Un “futuro possibile” per le riviste giuridiche dovrebbe (per rispondere alla domanda posta in occasione dell’incontro) assicurare, grazie all’impegno di chi vi collabora, che sia conseguito l’obiettivo di un’informazione e di un approfondimento adeguati e, soprattutto, che sia sempre assicurata la qualità.

Bruno Nascimbene


facebooktwittergoogle_plusmailfacebooktwittergoogle_plusmail