Dall’Europa: la giustizia per le gare d’appalto è solo per chi ha una capacità economica e finanziaria adeguata
Dall’Europa: la giustizia per le gare d’appalto è solo per chi ha una capacità economica e finanziaria adeguata.
Risulta essere questo il punto chiave della sentenza della Corte di giustizia sul contributo unificato pubblicata ieri sul sito della Corte (causa C-61/14 del 6 ottobre 2015, per una più esaustiva ricostruzione dei fatti di causa e delle conclusioni dell’avvocato generale, si rinvia al precedente post “In Inghilterra la giustizia è aperta a tutti, come l’Hotel Ritz”. E in Italia?).
A nulla, dunque, sono servite le lunghe pagine dell’ordinanza di rinvio, con il quale il TAR aveva definito il contributo unificato come il “pagamento del tributo quale presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se non a pena di inammissibilità) dell’azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente mediante l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del tributo stesso”, arrivando a qualificarlo come arbitrario inquanto calcolato a prescindere dal valore della causa, senza tener conto dell’effettivo utile dell’impresa, con una quantificazione sproporzionatamente superiore a quella prevista per il giudizio civile, anche nella stessa materia degli appalti. Né sono valse le memorie presentate dalle parti intervenienti nel giudizio a quo, che avevano evidenziato diversi e possibili profili di incompatibilità con le disposizioni del Trattato: in particolare, rispetto alla libertà di stabilimento (art. 49 e ss. TFUE) e alla libera prestazione di servizi (art. 56 e ss. TFUE), nonché al principio della certezza del diritto e dell’effettività delle norme UE. Ma anzi, nessun riferimento è stato fatto da parte della Corte ai principi generali supra riportati. Infatti tutta la decisione si basa sull’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 47 della direttiva 2004/18/CE che, per la Corte, ha come unica possibile lettura quella di intendere che possano partecipare alle procedure di appalto solo le imprese che abbiano una condizione e capacità economica adeguata. Per tale ragione la Corte non ritiene che i tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici, che non siano superiori al 2% del valore dell’appalto in questione, non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici. Conclude la Corte, su questo punto, sottolineando che comunque non vi sia nessun diniego di accesso alla giustizia, considerato che la parte soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice.
Per quanto riguarda, invece, il principio di equivalenza, la Corte nel richiamare la recente sentenza del 28 gennaio 2015, causa C-417/13, ÖBB Personenverkehr, punto 74, ricorda come il suddetto principio implichi pari trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, simili, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, e non, invece, un’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall’altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto.
Con qualche margine di libertà in più per il giudice nazionale, sono invece le conclusioni della Corte in merito al cumulo dei contributi.
Infatti, in caso di cumulo il giudice dovrà valutare gli oggetti dei ricorsi presentati, nel caso accerti che non siano effettivamente distinti o che comunque non costituiscano un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.
La Corte non ha così condiviso le conclusioni dell’avvocato generale, che avevano fatto ben sperare per una sentenza con un contenuto che almeno lasciasse la libertà di apprezzamento al giudice a quo e che avrebbe comportato che il destino delle norme sul contributo unificato in materia di appalti pubblici forse pressoché segnato. Nello specifico, se la Corte avesse lasciato la possibilità al giudice nazione di verificare se l’importo del tributo giudiziario costituisca, o no, un ostacolo all’accesso alla giustizia (e non solo per l’ipotesi di cumulo), la posizione espressa dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento nel rinvio pregiudiziale sarebbe stata verosimilmente ampiamente condivisa, con le conseguenze del caso sull’assetto futuro del contributo.
La sentenza, dunque, non solo non elimina le diverse critiche sollevate sulla particolare onerosità della giustizia amministrativa in materia di appalti pubblici. Ma addirittura pare operare un’inversione di tendenza, rispetto alla consolidata impostazione dell’ordinamento europeo, diretta alla massima apertura delle gare pubbliche e a permetterne la più ampia partecipazione.
E’ indubbio infatti che l’esagerato costo della tutela giudiziaria potrà essere un deterrente per tutte quelle imprese che, presentando offerte con margini di guadagno esigui (il che avviene non di rado, nell’attuale periodo di crisi economica), vedrebbero eroso il guadagno e talvolta pressoché annullato dallo scotto che devono pagare per l’accesso alla giustizia.