Nicola Catalano, Manuel de droit des Communautés européennes, 2e éd. revue et mise à jour, Parigi, Dalloz/Sirey, 1965. Riedizione con testo rivisto da Fabio Pappalardo, prefazione di Antonio Tizzano e nota biografica di Amedeo Arena e Alessandro Rosanò, Bruylant, Bruxelles, 2023, pp. L-464.

Quel eut été le droit des Communautés sans les arrêts de 1963 et 1964? si chiedeva, in un celebre saggio del 1991, l’ex presidente della Corte di giustizia Robert Lecourt. È infatti opinione largamente condivisa che le sentenze Van Gend en Loos e Costa c. ENEL abbiano costituito un punto di svolta nel processo d’integrazione europea, al punto che, al giorno d’oggi, risulta quasi impossibile concepire il diritto comunitario senza i principi affermati in tali pronunce.

La ristampa della seconda edizione del Manuel de droit des Communautés européennes di Nicola Catalano, ultimato nell’ottobre del 1964 e pubblicato anche in italiano nel 1965, costituisce pertanto un utile strumento per approfondire un momento decisivo del processo d’integrazione europea, in quanto rappresenta una sorta di “istantanea” del diritto comunitario all’indomani delle pronunce rivoluzionarie del biennio 1963-1964.

Peraltro, così come un’istantanea non si limita a riprodurre la realtà, ma la ritrae nella prospettiva scelta dal fotografo, le opere di Catalano non hanno soltanto descritto il diritto comunitario, ma lo hanno collocato nell’orizzonte federalista del suo autore. Ciò vale, in particolare, per la disposizione di cui Catalano può considerarsi il “padre”: il rinvio pregiudiziale d’interpretazione.

Fu infatti Catalano, il 13 dicembre 1956, a proporre agli altri membri del groupe juridique, il comitato di giuristi incaricato della redazione delle disposizioni istituzionali e generali dei Trattati di Roma, la prima versione di quello che sarebbe divenuto, con alcune modifiche, il testo dell’art. 177 del Trattato CEE, che consentiva ai giudici comunitari di pronunciarsi in sede pregiudiziale sia sull’interpretazione del diritto comunitario che sulla validità degli atti delle istituzioni della CEE.

Nel volume La Comunità economica europea e l’Euratom del 1957, Catalano ipotizzò che il rinvio pregiudiziale d’interpretazione avrebbe potuto assumere una funzione, per dirla con Bruno De Witte, di “procedura d’infrazione del cittadino europeo”, consentendo ai singoli, per il tramite dei giudici nazionali, di portare all’attenzione della Corte di giustizia le violazioni del diritto comunitario commesse dagli Stati membri.

Tale uso “alternativo” dell’art. 177 del Trattato CEE (o meglio “originario”, se si considera la prospettiva del suo ideatore Catalano) fu pienamente avallato dai giudici comunitari nella sentenza Van Gend en Loos, in cui si legge che «la vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce […] un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli 169 e 170 [del Trattato CEE] affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri».

Il Manuel del 1965 recepì tale evoluzione giurisprudenziale, paragonando il rinvio pregiudiziale alla procedura d’infrazione di cui all’art. 88 del Trattato CECA. Secondo la Corte di giustizia, tale disposizione poneva a carico dell’Alta autorità un obbligo di constatare gli inadempimenti degli Stati membri, cosicché le imprese carbosiderurgiche e le loro associazioni potevano ricorrere in annullamento o in carenza contro l’eventuale rifiuto o inerzia dell’Alta autorità, denunciando, in tal modo, direttamente ai giudici comunitari le violazioni commesse dagli organi statali.

Dopo aver rilevato che nei Trattati di Roma «on n’a pas prévu la possibilité d’un recours à la Cour de justice des particuliers pour dénoncer des manquements ou des interprétations erronées des deux traités» Catalano osservò che «[p]our combler cette déficience, les auteurs des traités de Rome ont offert à tous les ressortissants des États membres […] une garantie ultérieure offerte par la possibilité de soumettre à la Cour de justice les questions préjudicielles toutes les fois où une norme communautaire puisse trouver application aux fins de la décision d’un litige», un procedimento che, in fin dei conti, assicurava ai privati «des garanties juridictionnelles bien plus complètes que celles offertes par le traité C.E.C.A.» (pp. 73-74 del Manuel).

Non tutte le tesi di Catalano trovarono però conferma nella giurisprudenza comunitaria. Ad esempio, pur essendo convinto che il primato del diritto comunitario discendesse dalla vocazione federale delle Comunità europee, egli inizialmente riteneva che il rango delle norme comunitarie all’interno degli ordinamenti degli Stati membri fosse determinato dalle rispettive costituzioni.

Nella prima edizione del Manuale di diritto delle Comunità europee, pubblicata anche in francese nel 1962, Catalano osservò infatti che, posto che la Costituzione italiana, a differenza di quella dei Paesi bassi, non sanciva espressamente il primato degli accordi internazionali e posto che i Trattati comunitari erano stati introdotti nell’ordinamento italiano mediante una legge ordinaria, in caso conflitto con altre leggi interne avrebbe trovato applicazione «il principio secondo il quale la legge posteriore prevale» con la conseguenza che le leggi più recenti «avrebbero, nell’ordinamento interno, forza abrogativa implicita rispetto alle norme contenute nei trattati» e «prevarrebbero sulle stesse prescrizioni di essi» (Manuale, pp. 145-146).

Tale passo del Manuale di diritto delle Comunità europee fu espressamente citato dall’avvocatura dello Stato nella memoria presentata nell’ambito della causa Costa c. ENEL innanzi alla Corte costituzionale, che con sentenza n. 14/64 statuì che l’art. 11 della Costituzione non conferiva alla legge d’esecuzione del Trattato CEE un particolare valore nei confronti delle altre leggi e che le antinomie dovessero essere risolte in base al principio lex posterior derogat priori.

A fronte delle conseguenze disastrose che tale pronuncia avrebbe potuto comportare per l’avvenire del mercato comune, i giudici comunitari non poterono che affermare, con la sentenza Costa c. ENEL del 15 luglio 1964, il primato del diritto comunitario negli ordinamenti degli Stati membri, riconoscendo ai giudici nazionali il potere di disapplicare le norme nazionali, anche successive, contrastanti con le norme comunitarie suscettibili di attribuire diritti ai singoli.

Il Manuel del 1965 diede atto di tali sviluppi, rilevando che, in caso di conflitto con norme comunitarie «directement applicables à l’égard des particuliers», i giudici degli Stati membri «devraient refuser d’appliquer les normes législatives même les plus récentes, si elles comportent l’exercice d’une compétence désormais soustraite aux organes constitutionnels nationaux» (p. 120).

Nella medesima opera si legge inoltre che, contrariamente a quanto statuito dalla Consulta nella sentenza 14/64, «l’adoption d’une loi interne, contraire aux attributions de compétence communautaire, constitue une véritable usurpation de pouvoirs définitivement et irrévocablement transférés […] aux Communautés» e pertanto «la violation dans cette hypothèse de l’article 11 [della Costituzione Italiana] n’aurait pas dû être niée, sur la base de la même logique suivant laquelle la même Cour constitutionnelle avait reconnu la violation de l’article 76 dans l’hypothèse d’excès de délégation» (pp. 116-117).

La riedizione Manuel de droit des Communautés européennes di Catalano rappresenta la prima opera di un autore italiano pubblicata nella serie Grands écrits della Collection de droit de l’Union européenne diretta da Fabrice Picod, che raccoglie le riedizioni di alcuni “classici” del diritto comunitario, tra cui i volumi di Pierre Pescatore, Léontin-Jean Costantinesco, Robert Lecourt, Robert Kovar, Michael Waelbroeck, Ami Barav, Pierre-Henri Teitgen, Joël Rideau, ecc. L’auspicio è che tale riedizione, arricchita da una prefazione di Antonio Tizzano, da una nota biografica e da una bibliografia, possa permettere ai comunitaristi, non solo francesi, di riscoprire il pensiero di Catalano, il quale amava definirsi un “missionnaire de l’idée européenne” in quanto ha sempre guardato al diritto comunitario non solo per ciò che era, ma anche per ciò che avrebbe potuto diventare.


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