L’interminabile affaire Tercas: il Tribunale nega il risarcimento del danno richiesto da Banca Popolare di Bari
1. Negli ultimi anni il caso Tercas ha interessato la Commissione, il Tribunale dell’Unione e la Corte di giustizia, suscitando riflessioni in dottrina in merito all’operato dell’istituzione e, più in generale, alla nozione di aiuto di Stato di cui all’art. 107 TFUE. Nonostante i fatti all’origine della controversia risalgano al 2012, non v’è dubbio che esso sia ancora estremamente attuale.
Lo scorso 20 dicembre, infatti, il Tribunale si è pronunciato in merito al ricorso presentato da Banca Popolare di Bari S.p.A. (nel prosieguo, “BPB”) volto ad ottenere la condanna dell’Unione al risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito dell’adozione della decisione della Commissione, poi annullata, sul caso de quo.
2. Per meglio comprendere il perimetro entro cui ci si muove, giova rammentare che il 23 dicembre 2015 la Commissione aveva qualificato come aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno l’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (nel prosieguo, “FITD”), autorizzato dalla Banca d’Italia, a sostegno della Cassa di risparmio della Provincia di Teramo S.p.A. (nel prosieguo, “Tercas”). Essa aveva pertanto intimato il suo recupero da parte della Repubblica italiana (si veda: decisione (UE) n. 2016/1208 del 23 dicembre 2015, nel prosieguo “Decisione Tercas”).
Il 19 marzo 2019 il Tribunale dell’Unione – adito dallo Stato italiano, dal FITD e dalla BPB, con il sostegno di Banca d’Italia in qualità di interveniente – aveva annullato tale decisione, stabilendo la piena legittimità e compatibilità con il mercato interno della misura controversa (si veda: sentenza del Tribunale del 19 marzo 2019, Repubblica italiana e a. contro Commissione europea, ECLI:EU:T:2019:167)
In qualità di giudice dell’impugnazione, il 2 marzo 2021 la Corte di giustizia aveva respinto l’opposizione, da parte della Commissione, alla sentenza di prime cure, annullando definitivamente la Decisione Tercas (si veda: sentenza della Corte del 2 marzo 2021, Commissione europea contro Repubblica italiana e a., ECLI:EU:C:2021:154).
Da ultimo, lo scorso 21 settembre la Commissione ha emanato una nuova decisione volta a rivalutare il caso in conformità alle sentenze degli organi giurisdizionali europei, concludendo che il sostegno concesso né era imputabile all’Italia, né costituiva un aiuto di Stato (come già commentato da questa Rivista, v. qui).
3. Ebbene, prima della pubblicazione di quest’ultimo atto e, precisamente, il 28 aprile 2021, BPB aveva richiesto alla Commissione, ai sensi dell’art. 46 dello Statuto della Corte, il risarcimento dei danni patiti a causa dell’adozione della Decisione Tercas, per una somma totale di 228 milioni di Euro.
Il rigetto di tale richiesta aveva spinto BPB a rivolgersi al Tribunale, competente ex art. 268 TFUE, tramite un ricorso per responsabilità extracontrattuale avente come base giuridica l’art. 340, par. 2, TFUE.
Il petitum dell’azione consisteva nella condanna dell’Unione a corrispondere un risarcimento di 280 milioni di Euro (ovvero, in subordine di 203 milioni di Euro), a titolo di compensazione per il presunto danno materiale subito. Esso includeva altresì la richiesta di un risarcimento di importo adeguato quale rimedio per il presunto danno morale derivante dall’errore della Commissione.
4. A sostegno delle proprie rivendicazioni, BPB aveva sostenuto che la Decisione Tercas avesse determinato un declino nella fiducia dei propri clienti, con conseguenze manifestatesi attraverso la diminuzione dei depositi e della clientela, concomitante ad una riduzione dei profitti. Inoltre, aveva evidenziato il danneggiamento della sua reputazione e la necessità di affrontare oneri finanziari per implementare misure volte ad attenuare gli impatti negativi della pronuncia erronea.
5. Di contro, la Commissione aveva invocato, in via principale, l’irricevibilità della domanda per la scadenza del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 46 dello Statuto della Corte (avente ad oggetto l’introduzione di ricorsi contro l’Unione nelle materie di responsabilità extracontrattuale) e, in subordine, l’integrale rigetto del ricorso per infondatezza.
6. I giudici aditi si sono pronunciati il 20 dicembre 2023, rigettando l’istanza di BPB e negando ogni tipo di indennizzo (si veda: sentenza del 20 dicembre 2023, Banca Popolare di Bari S.p.A. c. Commissione europea, ECLI:EU:T:2023:833).
7. Essi hanno dapprima affrontato la questione della ricevibilità, decretando che il termine di prescrizione quinquennale non era trascorso. La richiesta di risarcimento dell’aprile 2021 costituiva, difatti, un atto interruttivo della prescrizione e i danni lamentati erano di natura continuativa. Di talché era salvo il risarcimento dei danni subiti dopo il 28 aprile 2016, vale a dire nel periodo inferiore di cinque anni prima della richiesta di risarcimento del 28 aprile 2021.
8. Il Tribunale è così passato all’analisi del merito, basando il suo ragionamento sulle tre condizioni cumulative che originano una responsabilità in capo all’Unione, quali la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che attribuisce diritti ai singoli, l’esistenza di un danno e la presenza di un nesso causale diretto tra la violazione ed il danno (v. punto 71 della sentenza, che a sua volta richiama la sentenza della Corte del 10 settembre 2019, HTTS Hanseatic Trade Trust & Shipping GmbH c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:C:2019:694).
Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, si è rilevato che l’errore di applicazione dell’art. 107, par. 1, TFUE commesso dalla Commissione senz’altro costituisce una violazione di una norma preordinata a conferire diritti ai singoli.
Infatti, nel fornire una definizione della nozione di aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno, detta disposizione mira a tutelare gli interessi dei privati. Inoltre, essa è strettamente collegata all’applicazione dell’art. 108, par. 3, TFUE, pacificamente dotato di efficacia diretta. Infine, la sua applicazione da parte della Commissione può essere contestata dinanzi ai giudici dell’Unione dai beneficiari dell’aiuto, dai loro concorrenti e dagli Stati membri.
9. Per quanto attiene all’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata, il Tribunale ha svolto una serie di considerazioni.
In primis, ha ricordato che solamente la constatazione di un’irregolarità che, in analoghe circostanze, un’amministrazione normalmente prudente e diligente non avrebbe commesso, fa sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione (v. punto 105 della sentenza).
In secondo luogo, ha chiarito che nella valutazione del comportamento deve tenersi conto, fra le altre cose, del margine di discrezionalità di cui dispone l’istituzione autrice dell’atto in questione. Qualora quest’ultima detenga un ampio potere discrezionale, il criterio decisivo per accertare la presenza di una violazione è il travalicamento manifesto e grave, da parte della stessa, dei limiti imposti al suo potere di apprezzamento.
Alla luce dei suddetti principi, i giudici di prime cure hanno rilevato che l’errore di giudizio della Commissione non costituisce, di per sé, una violazione sufficientemente qualificata. Invero, il non aver sufficientemente dimostrato l’imputabilità allo Stato italiano dell’intervento del FITD, non costituisce un’irregolarità manifesta e grave da violare i limiti della sua discrezionalità, né tantomeno può dirsi «estranea al comportamento normale, prudente e diligente di un’istituzione incaricata di vigilare sull’applicazione delle regole di concorrenza» (v. punto 122 della sentenza).
10. Infine, in merito al nesso causale, si è rilevato che, sebbene la Decisione Tercas possa aver avuto un certo ruolo nel processo di perdita di fiducia della clientela nei confronti della BPB, tale mancanza è stata indotta anche da altri fattori, sicché tale atto non può essere considerato la causa determinante e diretta dei presunti danni.
Per quanto attiene, in particolare, al danno morale, è parso che BPB non abbia rigorosamente dimostrato come la Decisione Tercas abbia inficiato sulla sua reputazione, limitandosi a sostenere che ciò era avvenuto. Anzi, gli articoli di stampa che aveva prodotto a sostegno della sua tesi dimostravano l’opposto: erano volti a rasserenare il pubblico affermando che gli effetti della risoluzione europea sarebbero stati mitigati da misure compensative.
Da ultimo, per quanto concerne il danno effettivo – corrispondente ai costi generati dalle misure di intervento volontario adottate da BPB – si è ritenuto che neppure questo fosse direttamente connesso alla Decisione Tercas in quanto le spese sostenute erano legate a scelte gestionali compiute dalla ricorrente in modo del tutto autonomo.
11. Alla luce delle predette considerazioni, i giudici di Lussemburgo hanno concluso che non vi è stata una violazione sufficientemente qualificata e che non può dirsi esistente un nesso causale tra il comportamento contestato e il danno lamentato.
Pertanto, hanno respinto il ricorso senza nemmeno esaminare la condizione relativa all’effettiva esistenza del danno.
12. Ebbene, i rilievi compiuti nella sentenza in commento non stupiscono. Al contrario, essi confermano il fatto che l’elevato margine di valutazione discrezionale che la disciplina europea in materia di aiuti di Stato riconosce alla Commissione costituisce un vero e proprio “scudo” per il suo operato.
D’altronde, l’istituzione è (o quanto meno dovrebbe essere) pioniera di un rigoroso controllo sul corretto mantenimento del level playing field così da poter emanare decisioni tanto “negative” per i beneficiari dei sussidi pubblici, quanto indispensabili per il funzionamento del mercato interno.
Nel caso di specie, seppur la motivazione fornita dalla Commissione al momento dell’emanazione della Decisione Tercas si sia rivelata scorretta, ciò non la rende responsabile di una violazione dell’obbligo di diligenza. Sicché, nonostante sia opinabile un simile errore, esso non può dirsi grave e manifesto.
13. Come noto, la decisione del Tribunale è suscettibile di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia nel termine di due mesi e dieci giorni dalla notifica. Non può quindi escludersi che BPB proceda in tal senso nel prossimo futuro.
Sarà interessante, in tal caso, osservare quali punti della sentenza “di primo grado” deciderà di contestare e che basi giuridiche utilizzerà a suo favore.