Osservazioni a margine della sospensione dei “trasferimenti Dublino” da parte del Consiglio di Stato olandese

1. Introduzione

Il 26 aprile 2023 il Consiglio di Stato olandese ha accolto i ricorsi (Sentenze 202207368/1/V1 e 202300521/1/V1) di due richiedenti asilo di nazionalità nigeriana ed eritrea avverso il loro trasferimento in Italia. La divisione di diritto amministrativo del Consiglio di Stato olandese ha, così, stabilito che i due ricorrenti non possono essere allontanati verso l’Italia, in considerazione del rischio che vengano violati i loro diritti fondamentali a causa della mancanza di adeguate strutture di accoglienza. Le autorità olandesi avevano in precedenza ordinato il loro trasferimento, in applicazione dei criteri fondati sul regolamento (UE) n. 604/2013 (c.d. Dublino III). Accolti i ricorsi, l’ordine di espulsione è stato inibito dalle decisioni in commento. Come meglio argomentato più avanti, se in prima battuta tali pronunce sembrano riflettere un orientamento volto alla protezione dei diritti dei richiedenti asilo, ad un più attento esame le loro motivazioni lasciano trasparire una logica parzialmente diversa.

2. La reciproca fiducia e le decisioni del Consiglio di Stato olandese

Il Consiglio di Stato olandese, dovendo valutare secondo i criteri stabiliti dal regolamento di Dublino quale Stato membro sia competente per il trattamento di una domanda di asilo presentata in uno di essi, ha fatto riferimento al principio di reciproca fiducia. In ossequio a tale principio, sul quale il sistema europeo comune di asilo (CEAS) si fonda, le autorità olandesi hanno presunto che il trattamento degli stranieri in ogni Stato membro sia conforme alle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CGEU, Caso N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, punti 78-80; CGEU, Caso C-163/17, Jawo, punti 80 e 81). Tuttavia, come chiarito a più riprese dalla Corte EDU e dalla Corte di Giustizia, tale presunzione è relativa (Corte EDU, M.S.S. v. Belgium and Greece, par. 340; Tarakhel v. Switzerland, par. 90; CGUE, C‑411/10 e C‑493/10, N.S. et al., punto 81). Una presunzione assoluta – secondo cui il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale sarebbe garantito in ogni Stato membro, senza che sia ammessa prova contraria – sarebbe infatti incompatibile con l’obbligo di interpretare ed applicare detto regolamento in conformità ai diritti fondamentali (CGUE, C-163/17, Jawo, punto 84).

Questa eccezione al principio di fiducia reciproca è stata codificata nell’articolo 3(2) del regolamento Dublino III. Tale disposizione vieta agli Stati membri di trasferire richiedenti asilo nello Stato membro competente all’esame della domanda, qualora vi siano fondati motivi di ritenere che in tale Stato sussistano “carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti”, tali da implicare il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi degli articoli 4 CDFUE e 3 CEDU. Ai sensi dell’articolo 17 (1) del medesimo regolamento, in tali circostanze, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale, sebbene questo esame, ordinariamente, non gli competa. La CGUE ha inoltre recentemente chiarito che, nel determinare la presenza di tale rischio, il giudice deve considerare non solo le carenze sistemiche o generalizzate nello Stato ricevente, ma anche la situazione soggettiva del richiedente asilo (CGUE, C‑578/16 PPU, CK. HF. AS, punto 90). Di conseguenza, il trasferimento di un richiedente asilo è escluso in tutte le occasioni in cui esistano motivi seri e comprovati di credere che questi corra il rischio di trattamento inumano o degradante nello Stato membro ricevente, e ciò a prescindere dalla fonte di tale rischio (CEDU, Tarakhel v. Switzerland, para 104; CGUE, C-163/17, Jawo, punti 87-90).

Nel caso di specie, sebbene il comunicato stampa (unico documento disponibile in lingua inglese per il momento) faccia riferimento ad una situazione in cui i richiedenti asilo non vedrebbero soddisfatti i propri bisogni primari, come alloggio, cibo e acqua corrente, il Consiglio di Stato non esamina tali circostanze. I giudici olandesi vi fanno un breve cenno, ma non analizzano le attuali condizioni di accoglienza e di accesso alle procedure di asilo in Italia; né esaminano nel dettaglio la situazione individuale dei richiedenti in attesa di trasferimento, essi si basano – sic et simpliciter – sulle esplicite richieste e comunicazioni ricevute dalle autorità Italiane.

Le due decisioni in commento, infatti, si fondano entrambe su una circolare del 5 dicembre 2022 con cui il Ministero dell’Interno Italiano, con decisione unilaterale, comunicava agli Stati membri dell’UE la sospensione temporanea dei trasferimenti verso l’Italia, a causa di improvvise ragioni tecniche collegate all’indisponibilità di strutture di accoglienza (tali comunicazioni sono state inviate anche agli stati associati al Sistema Schengen). Le sole eccezioni previste riguardavano i trasferimenti motivati da ragioni di ricongiungimento familiare ed i minori non accompagnati.

Non è un’assoluta novità che “trasferimenti Dublino” vengono messi in discussione da organi giurisdizionali o semi-giurisdizionali (in seguito a Tarakhel v. Switzerland, si vedano, ad esempio: CAT (il Comitato contro la tortura, l’organo preposto al monitoraggio dell’attuazione da parte degli Stati parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre punizioni o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984), A.N. v. Switzerland, Comm No 742/2016; Tribunale Amministrativo Federale, 17 dicembre 2019, Sentenza No. 962). Le decisioni in esame si distinguono tuttavia in quanto incentrate sulla richiesta italiana di sospensione dei trasferimenti, senza esaminare la situazione dei richiedenti asilo o le possibili carenze generali sistemiche prevalenti in Italia. Tali carenze vengono implicitamente fatte derivare dalle richieste italiane di sospendere temporaneamente i trasferimenti (Sentenza 202207368/1/V1, para 4.3). Un tale approccio, a sommesso avviso di chi scrive, non pare del tutto conforme alla giurisprudenza della Corte EDU, che richiede un esame individualizzato dei rischi personali e concreti di un trasferimento.

3. Tra sovranità e reciproca fiducia?

La questione, dunque, sembra riguardare il regime probatorio che il giudice debba osservare per decidere se accogliere o meno un ricorso avverso un “trasferimento Dublino”. A questo riguardo è utile fare – un seppur brevissimo – cenno alle recenti conclusioni dell’Avvocato Generale Kokott nella cause riunite C‑228/21, C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21 (per un commento sui rinvii pregiudiziali da cui le conclusioni originano si veda: Luca Perilli). In particolare, una delle questioni sollevate dai giudici del rinvio riguarda la possibilità che, nell’ambito dell’impugnazione di una decisione di “trasferimento Dublino”, le autorità dello Stato membro richiedente valutino il rischio di violazione del principio di non-refoulement da parte dello Stato membro richiesto, anche qualora in tale Stato membro non vi siano carenze sistemiche. Sebbene la questione sul refoulement indiretto non sia esattamente sovrapponibile a quella in esame, le conclusioni dell’Avvocato Generale pare facciano luce più genericamente sul principio di reciproca fiducia che informa il sistema di Dublino.

Nell’opinione dell’Avvocato Generale, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento, dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza di un rischio reale di subire un trattamento inumano o degradante durante o a seguito di un trasferimento, è tenuto a valutare tale rischio e a vietare il trasferimento qualora esso sia sufficientemente grave. Tale eccezione al principio di  reciproca fiducia non sarebbe tuttavia giustificata laddove non sussistessero carenze “sistemiche o generalizzate” ovvero che “colpiscono determinati gruppi di persone” (cause riunite C‑228/21, C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21, punto 158). L’omesso trasferimento a causa di dubbi che non siano giustificati da carenze generali e sistemiche negli Stati membri richiesti o dalla situazione individuale del richiedente, comprometterebbe infatti il principio di reciproca fiducia (cause riunite C‑228/21, C‑254/21, C‑297/21, C‑315/21 e C‑328/21, punti 169-170).

Nel caso di specie, i giudici olandesi si sono affidati alle notizie fornite dalle autorità italiane nonché prodotte in giudizio dai richiedenti, per concludere che il trasferimento non poteva e non doveva essere effettuato. Sebbene sia difficile immaginare una soluzione differente data l’indisponibilità italiana, un simile approccio potrebbe fare il gioco di governi le cui finalità siano ben lontanate dal rispetto del dovere di accoglienza, perpetuando la già profonda crisi del sistema comune europeo di asilo (sul punto si vedano: Chetail e Maiani). Resta da vedere se questo (cieco?) affidamento si allineerà con quanto la corte di Giustizia deciderà nelle cause sopramenzionate.

4. Osservazioni conclusive

In passato le decisioni dei giudici nazionali che inibivano i trasferimenti Dublino verso l’Italia si fondavano su fattori afferenti le presunte ‘crisi migratorie’, mentre la più recente giurisprudenza – in particolare Oltralpe – si oppone marcatamente alla recente politica migratoria italiana di contrasto all’immigrazione (su questo punto si veda in particolare, Magri 2020). Le pronunce in commento, tuttavia, sembrano fondarsi sulla decisione unilaterale delle autorità italiane di sospendere i trasferimenti e sul potere sovrano di decidere se e chi ammettere sul proprio territorio. Se in prima battuta le decisioni del Consiglio di Stato olandese sembrano favorire i diritti fondamentali dei migranti, l’iter logico su cui si fondano appare guidato da motivazioni altre. Simili decisioni potrebbero non tardare ad arrivare anche da diversi Stati membri o associati al sistema Schengen, con il rischio di erodere (ulteriormente) il principio di reciproca fiducia sul quale il sistema di Dublino si vorrebbe fondato e di produrre un paradossale ping-pong di competenze.

Per concludere, in assenza di un autentico sistema comune di asilo, dove la tutela dei diritti dei richiedenti asilo sia garantita omogeneamente in ciascuno Stato membro, per il momento, l’esecuzione dei “trasferimenti Dublino” non può prescindere da un approccio che tenga in considerazione sia le carenze sistemiche presenti nei vari Stati membri che la situazione individuale dei richiedenti asilo. Alla luce dell’attuale stato di emergenza sull’immigrazione, sul quale il consiglio di Stato olandese non ha statuito, diviene lecito domandarsi se le pronuncie in commento sarebbero state diverse qualora i giudici avessero concretamente ed approfonditamente considerato la procedura di asilo e le condizioni di accoglienza in Italia.


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