L’approccio ecosistemico nel c.d. accordo Post-Cotonou: another (foreseeable) brick in the wall?

L’accordo di Cotonou, nel costituire un Partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), da un lato, e l’Unione europea e i suoi Stati membri, dall’altro, prevede all’articolo 15 l’istituzione del Consiglio dei ministri ACP – UE, al fine di promuovere il dialogo politico tra le Parti, nonché di garantire l’attuazione dell’accordo stesso.

Ebbene, il 29 novembre 2022 il Consiglio dei ministri ACP – UE si è appunto riunito, per la prima volta dopo la pandemia di COVID-19, allo scopo di affrontare questioni rilevanti per il Partenariato. In tale cornice istituzionale, i ministri hanno così discusso, per prepararne la firma, anche del c.d. accordo Post-Cotonou, il nuovo accordo di partenariato tra il blocco europeo e l’Organizzazione degli Stati ACP le cui disposizioni dovrebbero sostituire l’attuale quadro giuridico. In effetti, l’accordo di Cotonou, concluso per un periodo di venti anni, cesserà di essere applicabile il 30 giugno 2023, come previsto da due successive decisioni di proroga dell’originario termine di scadenza del trattato (ovverosia, il 29 febbraio 2020).

Ora, il testo del nuovo accordo di partenariato, oggetto di trattative protrattesi durante un lasso di tempo considerevole, è stato siglato il 15 aprile 2021 dai capi delle delegazioni coinvolte nel negoziato. Trascorsi quasi due anni dal raggiungimento dell’intesa politica, tuttavia, il trattato non è stato ancora firmato dalle Parti, stanti le contestazioni registratesi sia in seno all’Unione europea (dove è stato opposto il rifiuto, in particolare da parte dell’Ungheria, di avallare i meccanismi di implementazione dei canali di immigrazione regolare contemplati nell’accordo), sia nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati ACP (dove si lamenta, da alcune parti, l’impatto che le clausole in materia di rispetto dei diritti umani potrebbero avere su questioni socialmente sensibili, quale ad esempio l’interruzione volontaria di gravidanza). L’ordine del giorno della scorsa riunione del Consiglio dei ministri ACP – UE, includendo tra i punti di discussione la (mera) preparazione alla firma del nuovo accordo di partenariato, ben testimonia di tali difficoltà.

Occorre nondimeno sottolineare come il testo negoziato rechi in sé innovazioni normative di rilievo, che ne giustificano la descrizione, almeno sotto certi aspetti, quale «modernised agreement […] [able] to mirror the new ambitions stemming from emerging needs and challenges» (così, Comunicazione (2021) 312 della Commissione, par. 1).

Tra queste, si menziona il pieno recepimento, nell’ambito del nuovo accordo, dell’approccio basato sugli ecosistemi, a cui risulta essere improntata la disciplina pattizia posta in materia di protezione ambientale, soprattutto con riferimento alla gestione delle risorse marine, anche biologiche. Rispetto all’accordo di partenariato attualmente vigente, firmato nel 2000 e riflettente la prospettiva regolativa all’epoca più tradizionale, si nota invero un radicale cambio di paradigma, testimoniato anche da rilievi di carattere meramente quantitativo: se infatti l’accordo di Cotonou fa espresso riferimento una sola volta alla tutela degli ecosistemi (sancendo così, all’articolo 32, che la cooperazione tra le Parti nell’ambito della protezione dell’ambiente mira, tra gli altri obiettivi, alla salvaguardia degli ecosistemi fragili, come ad esempio le barriere coralline), nel quadro del nuovo accordo di partenariato il termine “ecosistema”, nonché le parole che da tale termine derivano, ricorrono ben più di cinquanta volte, testimoniando così della centralità della tutela ecosistemica nel quadro della disciplina pattizia dettata in materia di protezione ambientale. In più, oltre al reiterato riferimento agli ecosistemi naturali e al loro ruolo fondamentale nella preservazione degli equilibri ambientali, il nuovo accordo Post-Cotonou accoglie espressamente il principio ecosistemico, sancendo così, all’articolo 55, par. 3, della parte generale, che «the Parties shall promote ecosystem-based approaches […] to achieve environmental objectives».

Tale rilievo in verità non sorprende, poiché l’Unione europea svolge già da tempo un ruolo di primo piano nella promozione, a livello internazionale, dell’approccio basato sugli ecosistemi, favorendone così l’adozione specie nell’ambito di regimi convenzionali concernenti la conservazione e la gestione delle risorse biologiche marine (oggetto, come si è visto, di particolare attenzione anche nel quadro del nuovo accordo di partenariato, come emerge dall’inclusione, nella parte generale dedicata alla protezione ambientale, di un apposito capitolo dedicato a «oceans, seas and marine resources»). D’altra parte, l’Unione non potrebbe agire diversamente, nel contesto della sua azione internazionale, in forza del Regolamento (UE) n. 1380/2013, relativo alla politica comune della pesca (c.d. regolamento di base), in quanto tale disciplinante le attività di sfruttamento delle risorse biologiche marine, sì da garantirne la conservazione e la gestione sostenibile. In effetti, l’articolo 28 di tale Regolamento impone che le relazioni esterne dell’Unione in materia alieutica risultino improntate ai medesimi principi che informano la regolamentazione delle attività di pesca sul piano interno: tra questi, si annovera proprio l’approccio ecosistemico, la cui applicazione risulta volta a garantire che lo sforzo alieutico abbia il minimo impatto possibile sugli ecosistemi marini, globalmente considerati. In virtù pertanto della necessaria coerenza tra dimensione interna e dimensione esterna della politica comune della pesca, l’Unione ha promosso l’adozione dell’approccio ecosistemico pure nell’ambito delle relazioni internazionali rilevanti, favorendo inoltre (e di tutta conseguenza) il recepimento della propria concezione del principio in parola, la cui univoca configurazione giuridica risulta così affermata sia sul piano interno, sia nel contesto dell’azione esterna dell’Unione.

A tal proposito, occorre preliminarmente precisare come l’approccio ecosistemico si caratterizzi, nel quadro del diritto internazionale dell’ambiente, per una certa variabilità concettuale, essendo declinato secondo accezioni differenziate nei diversi strumenti pattizi adottati per perseguire obiettivi di salvaguardia ambientale. In effetti, è stato efficacemente sottolineato come “the ecosystem approach is a notion that everyone agrees with but that everyone understands in a different way” (v. E. Penas Lado, The Common Fisheries Policy. The Quest for Sustainability, Chichester, 2016, p. 247). Orbene, nella politica comune della pesca, come disciplinata dal regolamento di base, l’approccio ecosistemico è inteso secondo una declinazione di significato precisa, costituita dall’integrazione di tre volets: (i) la valorizzazione della natura interconnessa degli ecosistemi, da considerarsi insiemi complessi di diversi elementi (biotici, abiotici e umani) che interagiscono secondo modelli differenziati; (ii) l’inquadramento dell’approccio ecosistemico nel quadro del paradigma concettuale dello sviluppo sostenibile, che ravvisa nella tutela degli ecosistemi uno strumento per la salvaguardia nel tempo delle utilità che l’umanità può trarre dalla piena funzionalità degli ecosistemi marini (sul punto, in termini generali, v. qui); (iii) la messa in rilievo della natura incrementale e adattativa dell’approccio ecosistemico, che richiede l’istituzione di appositi meccanismi che consentano l’adeguamento del regime normativo all’emergere di nuove conoscenze scientifiche rilevanti (su quest’ultimo volet e sul primo v., in via generale, qui).

Nel quadro del regolamento di base, pertanto, l’approccio basato sugli ecosistemi si sostanzia nel superamento della prospettiva normativa tradizionale, incentrata esclusivamente sulla gestione delle singole specie ittiche tramite il contingentamento delle relative possibilità di pesca. Piuttosto, detto approccio intende considerare l’impatto delle attività alieutiche sull’intero ecosistema che da queste risulta interessato, sì da limitarne, per quanto possibile, l’incidenza sui diversi elementi, biotici ovvero abiotici, che compongono il medesimo ecosistema. Tale paradigma di gestione, finalizzato a garantire la sostenibilità ambientale, nel lungo termine, del settore alieutico, nonché la continua disponibilità dell’approvvigionamento alimentare, risulta infine costruito sull’evidenza scientifica, dovendone necessariamente rispecchiare il progressivo avanzamento.

Tale concezione dell’approccio ecosistemico trova piena corrispondenza nell’ambito del nuovo accordo di partenariato ACP – UE, dove risulta declinato soprattutto con riferimento alle risorse marine anche biologiche. Pur in assenza di una specifica definizione dell’approccio in parola, la valorizzazione di alcune spie testuali contenute nel testo negoziato rivela infatti l’accoglimento di una determinata concezione del principio ecosistemico, che riflette quella fatta propria dal regolamento di base. In particolare, si rilevano diversi riferimenti alla natura composita degli ecosistemi, nonché alla necessità di adottare un modello di governo delle attività umane, anche alieutiche, che tenga conto della complessità delle relazioni ecosistemiche marine: a tal riguardo si consideri, ad esempio, l’art. 56 della parte generale dell’accordo, che riconosce innanzitutto i mari e gli oceani quali «interconnected common good», per poi procedere, al par. 4, a sancire l’impegno delle Parti ad implementare «blue growth policies […] to promote an integrated ocean management that […] mantains the diversity […] [and] core functions […] of marine ecosystems». Inoltre, risulta altresì ribadita la riconducibilità del principio ecosistemico al paradigma dello sviluppo sostenibile, nonché la natura incrementale ed adattativa di siffatto principio, essendo reiterato il richiamo a che le Parti prevedano misure di conservazione delle risorse biologiche marine sulla base delle migliori informazioni scientifiche disponibili.

In conclusione, l’attuale versione dell’accordo Post-Cotonou, nell’aderire ad una concezione specifica dell’approccio ecosistemico, si aggiunge ai diversi trattati internazionali, già conclusi dall’Unione in materia di pesca, che riflettono l’impostazione normativa propria del regolamento di base. Stante la variabilità concettuale che caratterizza il principio ecosistemico nel quadro del diritto internazionale dell’ambiente, tale insieme di accordi pare dunque idoneo a contribuire, seppur con riferimento principalmente alle risorse marine biologiche, all’emergere di una concezione univoca del principio in parola, favorendo così lo sviluppo del diritto internazionale. In tal senso, l’importanza dell’accordo Post-Cotonou è invero molto accentuata, poiché lo stesso fungerebbe da cornice regolativa per tutte le relazioni intercorrenti tra l’Unione e gli Stati ACP. In caso di modifiche al testo negoziato, tali rilievi militano dunque a favore del mantenimento della prospettiva regolativa qui sommariamente ripercorsa.

 


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