La Corte di giustizia si pronuncia sulla legittimità delle misure restrittive della libertà di circolazione durante il Covid-19
1. Con sentenza pubblicata il 5 dicembre 2023, la Corte di giustizia ha definito in Grande Sezione il caso C-128/22, prima occasione in cui è stata invitata a pronunciarsi sulla compatibilità di misure limitative della libertà di circolazione con la direttiva 2004/38/CE (la “Direttiva”) e con il regolamento (UE) 2016/399 (il “Codice Schengen”) nel contesto di un’emergenza sanitaria. La sentenza è di particolare interesse vista anche la recente pubblicazione da parte della Commissione europea dei suoi nuovi Orientamenti sulla libertà di circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari – con l’intera sezione 13.2 dedicata alle restrizioni per ragioni di sanità pubblica – insieme ai quali offre una ricostruzione esaustiva della disciplina applicabile.
2. La vicenda. Gli avvenimenti che hanno condotto al rinvio pregiudiziale hanno origine dall’introduzione, da parte del governo belga, di misure limitative della libertà di circolazione per contrastare la pandemia di Covid-19 nell’estate 2020. Il decreto ministeriale del 30 giugno 2020, modificato il 10 luglio, vietava infatti tutti i viaggi non essenziali da e verso il Belgio con i Paesi dell’UE e della zona Schengen, nonché con il Regno Unito, ove lo Stato di destinazione o partenza venisse designato come “zona rossa”, con obbligo di tampone e quarantena al rientro in Belgio per tutti i viaggiatori. Per garantire l’osservanza delle misure, il decreto attribuiva poteri di controllo e sanzionatori al Ministero degli Interni, al sindaco e al comandante della polizia competente. Il 12 luglio la Svezia veniva inclusa nella lista degli Stati in “zona rossa” e la Nordic INFO BV, agenzia di viaggi stabilita in Belgio (la “Nordic Info”), cancellava tutti i viaggi lì diretti per l’estate 2020. Già il 15 luglio la Svezia veniva trasferita tra gli Stati in “zona arancione”, verso e dai quali i viaggi erano solo sconsigliati. La Nordic Info ha quindi proposto un’azione di responsabilità davanti al tribunale di primo grado di Bruxelles nei confronti dello Stato belga, per ottenere il risarcimento del danno causato dall’introduzione delle misure e dalla variazione dei codici colore. Con il rinvio pregiudiziale, il giudice ha sottoposto alla Corte due quesiti, entrambi di grande rilievo anche alla luce del ruolo fondativo che gli articoli 20 e 21 del TFUE e 45 della Carta di Nizza attribuiscono alla libertà di circolazione.
3. Il primo quesito. Come noto, gli artt. 4 e 5 della Direttiva prevedono le due componenti della libertà di circolazione, e dunque il diritto di uscita e il diritto di ingresso, con il solo art. 4 applicabile ratione personae anche ai cittadini dello Stato membro di uscita (sul punto v. anche Conclusioni dell’Avvocato Generale Emiliou, punto 35). L’art. 27 della Direttiva riconosce poi agli Stati membri il potere di limitare la libertà di circolazione per “motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o sanità pubblica”, mentre l’art. 29 individua le malattie che giustificano l’introduzione di limitazioni per “sanità pubblica” (tra cui quelle epidemiche individuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), prevedendo poi norme specifiche relative al diritto di ingresso. Con il primo quesito, la Corte viene interrogata sulla legittimità dell’imposizione di divieti generalizzati al diritto di uscita alla luce di una lettura congiunta degli artt. 27 e 29; in secondo luogo, il giudice del rinvio chiede se misure restrittive quali quelle imposte dal decreto siano compatibili con le norme citate. La Corte risolve immediatamente la parte del quesito riguardante l’ambito di applicazione degli artt. 27 e 29 della Direttiva, chiarendo definitivamente che in virtù della loro formulazione, che si riferisce espressamente alla “libertà di circolazione”, le norme riguardano entrambe le componenti di questa libertà (v. punti 56 e 57). Non rileva dunque che il titolo del capo VI della Direttiva, in cui le due disposizioni sono incluse, e l’art. 29, parr. 2 e 3, menzionino esclusivamente le restrizioni al diritto di ingresso. Precisato quanto sopra e ricordato che le restrizioni non comprendono solo divieti generali, ma anche tutte le misure che rendono in concreto meno interessante l’esercizio della libertà, quali tamponi e quarantene (v. punto 58), la Corte si occupa di definire i limiti entro cui queste sono legittime. Innanzitutto, la Corte riconosce che limitazioni possono essere introdotte anche attraverso un atto di portata generale (v. punti 67 e ss.). Infatti, se è vero che l’art. 27, parr. 2-4, della Direttiva, in materia di provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica, regola solo ipotesi di condotte individuali, nulla di simile è previsto dall’art. 29. L’introduzione di restrizioni deve però accompagnarsi in ogni caso con il rispetto delle garanzie previste dai considerando da 25 a 27 e dagli articoli da 30 a 32 della Direttiva, debitamente adattate al carattere generale del provvedimento (v. punti 68 e ss.). Nel rispetto dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione, le misure restrittive dovranno quindi: (a) essere portate a conoscenza del pubblico con mezzi idonei; (b) essere contestabili nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, se del caso amministrativo, almeno in via incidentale, informando il pubblico dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi a cui l’atto può essere contestato; (c) rispettare il principio di non discriminazione (v. punti 71-74). Inoltre, le misure dovranno essere scrutinate anche alla luce del principio generale di proporzionalità, e quindi essere “idonee a realizzare l’obiettivo di interesse generale perseguito”, “limitate allo stretto necessario” e “non sproporzionate rispetto a detto obiettivo” (v. punto 77). Ciò detto, conclude la Corte, il principio di precauzione autorizza comunque gli Stati membri “ad adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà di tali rischi sia pienamente dimostrata” (v. punto 79), fermo restando che dovranno comunque essere sempre in grado di fornire “prove adeguate” che dimostrino “l’idoneità, la necessità e la proporzionalità delle misure” (v. punto 80).
4. Il secondo quesito. Come noto, l’art. 22 del Codice Schengen esprime il principio secondo cui le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che venga effettuata una verifica di frontiera sulle persone, ferma sempre la legittimità di verifiche di polizia all’interno del territorio nei limiti previsti dall’art. 23 del Codice stesso; inoltre, e in via eccezionale, gli articoli da 25 a 28 del Codice prevedono le ipotesi che legittimano temporaneamente un ripristino dei controlli di frontiera da parte degli Stati. Con il secondo quesito, il giudice del rinvio domanda alla Corte se misure quali quelle adottate dal governo belga siano illegittime alla luce degli artt. 22 e 23 del Codice; in secondo luogo, se l’introduzione delle misure sia equivalsa a ripristinare un controllo alle frontiere interne in violazione dell’art. 25. Rispetto alla prima parte del quesito, la Corte afferma i seguenti principi. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 23, lettera a), seconda frase, i), le misure non sembrano aver avuto come obiettivo il controllo di frontiera, poiché erano dirette a limitare il propagarsi del contagio da Covid-19 (v. punto 114). Inoltre, ai sensi dell’art. 23, lettera a), seconda frase, ii), uno Stato può invocare le ragioni di sanità pubblica, seppure non menzionate in modo specifico dalla norma, per esercitare legittimamente le sue competenze di polizia, ed è sufficiente che i controlli “siano stati decisi e attuati alla luce di circostanze che dimostravano oggettivamente un rischio di pregiudizio grave e serio alla sanità pubblica e sulla base delle conoscenze generali che le autorità avevano” (v. punto 120). Infine, ai sensi dell’art. 23, lettera a), seconda frase, iii) e iv), le verifiche risulterebbero legittime in quanto svolte in modo aleatorio e “a campione”, considerato che agli Stati deve essere comunque riconosciuto “un certo margine di discrezionalità, giustificato anche dal principio di prevenzione”, sull’intensità, la frequenza e la selettività dei controlli, purché le verifiche non assumano carattere sistematico (v. punto 122).
La seconda parte del quesito riguarda invece le cause che giustificano il ripristino temporaneo dei controlli di frontiera ai sensi dell’art. 25 del Codice Schengen, norma che non menziona esplicitamente la nozione di “sanità pubblica” ma solo quelle di “ordine pubblico” e di “sicurezza interna”. Per ammissione dello stesso Avvocato Generale, l’argomento ha “un certo peso”, considerato anche che in fase di approvazione del Codice ogni riferimento esplicito alla “sanità pubblica” era stato rimosso (Conclusioni dell’Avvocato Generale Emiliou, punti 148-151). Sul punto la Corte afferma, in continuità con la sua giurisprudenza, che la nozione di ordine pubblico presuppone “l’esistenza di una minaccia reale, attuale, e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società” e che quella di “sicurezza interna” comprende “il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali, nonché la sopravvivenza della popolazione”. Di conseguenza, un’epidemia quale quella di Covid-19, dalla quale sono derivati un rischio per la sopravvivenza di parte della popolazione e la saturazione dei sistemi sanitari degli Stati, può ben essere direttamente qualificata come minaccia grave per l’ordine pubblico e/o la sicurezza interna ai sensi dell’art. 25 del Codice.
5. Conclusioni. Oltre che per la novità del contesto, la sentenza della Corte si segnala dunque per le conferme che la libertà di circolazione deve essere considerata in entrambe le sue componenti ai sensi degli art. 27 e 29 della Direttiva e che anche un’emergenza sanitaria può essere inclusa tra le cause che autorizzano il ripristino dei controlli di frontiera ai sensi dell’art. 25 del Codice. Inoltre, la pronuncia afferma, per la prima volta, che restrizioni alla libertà di circolazione possono essere adottate anche con provvedimenti di carattere generale e traccia i principi che devono essere rispettati perché queste siano legittime. Da ultimo, merita sottolineare che la Corte non si è comunque limitata all’enunciazione dei soli principi, ma ha compiuto anche una valutazione in concreto delle misure adottate dal governo belga, ritenendole in sostanza legittime e chiudendo così un capitolo controverso della recente storia d’Europa.