Volere è potere! L’attivazione della protezione temporanea per l’accoglienza dei profughi ucraini nell’Unione europea
1. Tra le gravi conseguenze dell’aggressione militare russa in Ucraina (cfr. M. Pedrazzi, L’aggressione russa all’Ucraina, l’Europa e la comunità internazionale, in questa Rivista) vi è la fuga di civili più veloce dalla seconda guerra mondiale (principalmente donne, minori e anziani, in quanto in virtù di un decreto promulgato a seguito dell’introduzione della legge marziale nel Paese, agli uomini tra i 18 e i 60 anni non è consentito partire). In due settimane (tra il giorno dell’avvio dell’offensiva, il 24 febbraio, e l’11 marzo), due milioni e mezzo di persone sono scappate dalla guerra e sono giunte principalmente nell’Unione europea, attraversando i confini dei Paesi limitrofi. Diversamente da quanto era avvenuto solo pochi mesi prima alla frontiera con la Bielorussia, la Polonia e gli altri Stati membri interessati hanno consentito il passaggio delle loro frontiere, limitando al minimo i controlli. Indicazioni in tal senso erano giunte dalla Commissione europea, la quale in una comunicazione del 2 marzo aveva ricordato agli Stati membri le disposizioni del Codice frontiere Schengen (art. 9), che consentono di snellire le verifiche alle frontiere esterne, in seguito a circostanze eccezionali e impreviste (allorché eventi imprevedibili provochino un’intensità di traffico tale da rendere eccessivi i tempi di attesa ai valichi di frontiera e sono state sfruttate tutte le risorse in termini di organizzazione, di mezzi e di personale). Nella stessa comunicazione, la Commissione aveva, inoltre, esortato gli Stati membri ad utilizzare le possibilità offerte dall’art. 6, par. 5, lett. f) Codice frontiere Schengen, ammettendo nel proprio territorio per motivi umanitari tutti quanti fuggano dal conflitto in Ucraina, anche se non soddisfano una o più delle condizioni di cui all’art. 6, par. 1.
La gran parte degli sfollati per il momento si è concentrata nell’area (soprattutto in Polonia e Moldavia, ma anche in Ungheria, Romania e Slovacchia, solo 300.000 si sarebbero spostati in altri paesi UE). Se il conflitto continuasse nei prossimi mesi, UNHCR stima che gli sfollati potrebbero essere 4 milioni, mentre il Commissario europeo per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi ha prospettato che le persone in fuga potrebbero diventare addirittura sette milioni. Flussi tanto rapidi e ingenti verso l’Unione europea (come ha sottolineato la Commissaria agli affari interni intervenendo l’8 marzo davanti al Parlamento europeo: «in dodici giorni abbiamo ricevuto due milioni di rifugiati. Lo stesso numero di persone giunte complessivamente nell’Unione europea durante il 2015 e il 2016. In dodici giorni».) pongono evidenti problemi di sostenibilità per i sistemi di asilo, per i tempi di esame di milioni di domande di protezione e per l’accoglienza (è stato calcolato che allo stato attuale i costi sarebbero di 23 miliardi l’anno), tanto più se la grave situazione nel Paese dovesse protrarsi a lungo, stemperandosi l’enorme e spontanea ondata di sostegno che ha coinvolto tutti i cittadini degli Stati membri. Un fenomeno di tale portata, prevedibile conseguenza di un conflitto ai confini dell’Unione europea, presenta assonanze e similitudini con lo scenario di guerra ibrida al quale la stessa UE aveva ricondotto la pressione volontariamente provocata dal presidente bielorusso, divenendo i profughi legittimamente in fuga dalle bombe un’altra “arma” rivolta ai Paesi europei, con un presumibile intento intimidatorio e dissuasivo.
2. La reazione dell’Unione europea, sostenuta dalle opinioni pubbliche europee (persino in Polonia il 90% della popolazione è favorevole all’accoglienza) è stata sorprendentemente veloce ed energica, mostrando una (forse inattesa) solidarietà con le persone in fuga. Con l’intento di fronteggiare rapidamente tale situazione senza precedenti nel dopoguerra, offrendo immediata accoglienza ai profughi, i ministri degli interni di 26 Stati membri, nel corso della riunione del Consiglio dell’Unione europea svoltasi a Bruxelles il 3 marzo, hanno dato attuazione, per la prima volta dalla sua adozione ben 21 anni fa, alla direttiva sulla “protezione temporanea”, approvando la decisione di esecuzione (UE) 2022/382 (a norma degli artt.1 e 2 del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Danimarca non ha partecipato all’adozione della decisione, non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione, mentre l’Irlanda ha partecipato all’adozione della decisione, essendo vincolata dalla direttiva 2001/55/CE). I tempi sono stati velocissimi: nel corso di una riunione straordinaria del Consiglio GAI, tenutasi (domenica) 27 febbraio, i ministri degli interni avevano espresso ampio sostegno alla proposta della Commissione di attivare il meccanismo previsto dalla direttiva del 2001. Così, solo quattro giorni dopo, si sono nuovamente rincontrati e hanno approvato la suddetta decisione all’unanimità che, vista l’urgenza della situazione, è entrata in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (art. 4), il 4 marzo.
Insieme allo status di rifugiato (fondato sulla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967) e alla protezione sussidiaria, la protezione temporanea costituisce una terza specie di protezione “europea”, prevista dall’art. 78 TFUE. Su questa base (più precisamente fondandosi sul precedente art. 63, punto 2, lettere a) e b) TCE), la direttiva 2001/55/CE, adottata il 20 luglio 2001, aveva istituito una procedura di carattere eccezionale che garantisce, proprio nei casi di afflusso massiccio, o di imminente afflusso massiccio, di sfollati provenienti da Paesi terzi, che non possono rientrare nel loro paese d’origine, una tutela immediata e temporanea, da adottarsi in particolare qualora vi sia il rischio che il sistema d’asilo non possa far fronte a tale afflusso senza effetti pregiudizievoli per il suo corretto funzionamento. Ai sensi dell’art. 2 direttiva 2001/55/CE, sono da intendersi come sfollati «i cittadini di paesi terzi o apolidi che hanno dovuto abbandonare il loro paese o regione d’origine o che sono stati evacuati, ed il cui rimpatrio in condizioni sicure e stabili risulta impossibile a causa della situazione nel paese stesso, anche rientranti nell’ambito d’applicazione dell’articolo 1A della convenzione di Ginevra o di altre normative nazionali o internazionali che conferiscono una protezione internazionale». In presenza delle suddette condizioni, sono senz’altro da ritenersi sfollati «quanti siano fuggiti da zone di conflitto armato o di violenza endemica» (art. 2, lett. c), i). Si tratta, in effetti, di una forma di protezione internazionale istituita alla luce dell’esperienza degli sfollati provenienti da situazioni di conflitto nella ex Iugoslavia e nel Kosovo negli anni Novanta. Il 27 maggio 1999, qualche settimana dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, il Consiglio aveva, infatti, invitato la Commissione e gli Stati membri a trarre le conseguenze dalla risposta da essi data alla crisi del Kosovo, al fine di emanare opportuni provvedimenti a norma del trattato, e nel successivo programma di Tampere era stata riconosciuta la necessità di un accordo basato sulla solidarietà tra gli Stati membri in merito alla questione della protezione temporanea degli sfollati. Non sorprendentemente, quindi, la direttiva sulla protezione temporanea era stata il primo strumento adottato nel settore dell’asilo, successivamente all’avvio di una competenza comunitaria in questo ambito.
Tuttavia, per il suo carattere di eccezionalità e per le perplessità che aveva suscitato da parte di vari Stati membri (anche quanto alla possibilità che la constatazione circa la sussistenza dei presupposti per l’attivazione potesse costituire un pull-factor dei flussi migratori) e delle organizzazioni della società civile (preoccupate che il ricorso a questo tertium genus di protezione potesse costituire un modo per eludere le garanzie del diritto di asilo), finora non era mai stata applicata, tanto che la Commissione ne aveva ipotizzato l’abrogazione sostituendola con un nuovo meccanismo applicabile alle situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell’asilo, proposto nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo del 2020. Nonostante fosse già stata invocata in passato (dall’Italia in occasione della “primavera araba” nel 2011, ma da varie parti anche rispetto alla guerra in Siria), non si era mai raggiunto l’accordo politico necessario. È, infatti, previsto un particolare meccanismo di attivazione: l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati deve essere accertata con decisione del Consiglio dell’Unione europea, adottata a maggioranza qualificata su proposta della Commissione (alla quale può parimenti essere presentata una richiesta dagli Stati membri affinché sottoponga al Consiglio una proposta in tal senso). A differenza del passato, però, questa volta l’intera procedura, dalla proposta all’entrata in vigore, si è svolta in soli 5 giorni. Le ragioni individuate per questo radicale mutamento di approccio sono molteplici e certamente rilevano la circostanza che gli Ucraini siano europei, beneficino di un ingresso nell’Unione europea in esenzione dai visti di breve durata (infra), la loro fuga massiccia sia l’esito di un’aggressione brutale ai confini dell’Unione europea, per la quale occorreva individuare una molteplicità di risposte che non implicassero un intervento militare diretto dei paesi occidentali, né era ipotizzabile prevedere l’esame individuale di milioni di domande di asilo presentate in poche settimane (si vedano in proposito le considerazioni di M. İneli Ciğer)
3. Ove adottata (come appunto avvenuto il 4 marzo), la decisione del Consiglio determina, per gli sfollati ai quali si riferisce (i gruppi specifici di persone devono essere indicati nella decisione), l’applicazione della protezione temporanea in tutti gli Stati membri (ad eccezione della Danimarca, la quale sta, però, predisponendo un apposito testo legislativo per regolare, a livello nazionale, la posizione dei profughi dall’Ucraina, in merito all’atteggiamento dei paesi scandinavi si vedano le considerazioni di J. Schultz, K. A. Drangsland, J. Kienast, N. Feith Tan). È, però, fatta salva la facoltà degli Stati membri (dandone immediata comunicazione al Consiglio e alla Commissione) di ammettere alla protezione prevista nella direttiva 2001/55/CE ulteriori categorie di sfollati, oltre a quelle a cui si applica la decisione del Consiglio, qualora siano sfollati per le stesse ragioni e dal medesimo paese o regione d’origine (art. 7 dir., tali eventuali ulteriori categorie restano, però, escluse dall’applicazione delle disposizioni attuative della solidarietà, di cui infra). Tale status viene attribuito sulla base di procedure definite a livello nazionale, che non comportano una valutazione circa la sussistenza dei criteri per il riconoscimento dell’asilo o della protezione sussidiaria, ma solo l’accertamento circa l’effettiva appartenenza alle categorie beneficiarie e l’assenza di condizioni ostative (art. 28 dir.), riconducibili essenzialmente a ragioni di pericolosità e sicurezza (evitando, così, il rischio di sovraccarico dei sistemi di asilo degli Stati membri, in quanto le formalità sono ridotte al minimo in considerazione della situazione d’urgenza). È, in ogni caso, garantito il diritto di ricorso avverso una decisione di rigetto della protezione o di ricongiungimento (art. 29 dir.).
Lo status di protezione temporanea comprende un complesso di diritti, tra l’altro, in relazione ai permessi di soggiorno accordati ai beneficiari (art. 8 dir), all’accesso al lavoro (art. 12 dir.), all’alloggio (art. 13 dir.), all’istruzione per i minori (art. 14), al ricongiungimento familiare (art. 15). Ma la direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di istituire o mantenere in vigore condizioni più favorevoli per persone che godono della protezione temporanea (art. 3, par. 5, dir.). Lo status di protezione temporanea, ed i diritti conseguentemente discendenti, dovrebbe essere in principio conferito in modo uniforme in tutti gli Stati membri. Tuttavia, le modalità di trasposizione della direttiva negli Stati membri mettono in luce sensibili differenze (cfr. Study on the temporary protection directive), che potrebbero ripercuotersi anche sulle scelte dei profughi. Una delle previsioni più significative consiste nella possibilità di trasferire gli sfollati in altri Stati: finché dura la protezione temporanea, gli Stati membri sono, infatti, tenuti a cooperare tra loro per il trasferimento delle persone che godono della protezione temporanea da uno Stato membro all’altro, a condizione, però, che le persone interessate abbiano espresso il loro consenso a tale trasferimento. La direttiva opera, in proposito, un espresso e chiaro richiamo allo spirito di solidarietà (cui è dedicato il Capo VI della direttiva): ad esso gli Stati membri dovrebbero ispirarsi, non solo nel dare accoglienza ai beneficiari della protezione, ma anche nei loro reciproci rapporti. Ed a tal fine la direttiva definisce anche la modalità della cooperazione amministrativa: ciascuno Stato membro è tenuto a designare un punto di contatto nazionale e a trasmettere periodicamente i dati relativi al numero delle persone che godono della protezione temporanea, nonché qualsiasi informazione sulle disposizioni nazionali legislative, regolamentari ed amministrative attinenti all’attuazione della protezione stessa.
Trattandosi di una forma di protezione a carattere eccezionale, la protezione temporanea dura fino al momento in cui venga trovata una soluzione a lungo termine, che consenta il rimpatrio dei beneficiari (i quali devono, però, poter essere in grado di presentare in qualsiasi momento una domanda d’asilo nel Paese che ha accettato il trasferimento della persona nel proprio territorio, venendo puntualizzato che «la protezione temporanea non pregiudica il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra», art. 3, par. 1, dir.). Ha, quindi, una durata limitata nel tempo, pari a un anno, prorogabile automaticamente di sei mesi in sei mesi per un periodo massimo di un altro anno. Se continuano a persisterne i presupposti il Consiglio, su proposta della Commissione, può nuovamente deliberare a maggioranza qualificata la proroga della protezione per un altro anno (art. 4 dir.). Complessivamente la protezione temporanea può, quindi, durare fino a tre anni. Con il raggiungimento di questo termine massimo, la protezione temporanea cessa, sempre che nel frattempo il Consiglio, a maggioranza qualificata, non abbia adottato una decisione di cessazione della protezione. Può farlo in qualsiasi momento, decidendo su proposta della Commissione (eventualmente su richiesta di uno o più Stati membri), ove sia accertato che la situazione nel paese d’origine consente un rimpatrio sicuro e stabile delle persone cui è stata concessa la protezione temporanea, nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché degli obblighi degli Stati membri in materia di non respingimento (art. 6 dir.). Quando la protezione temporanea giunge al termine, se le persone non possono beneficiare dell’ammissione, si provvede al rimpatrio, previo esame di eventuali impellenti ragioni umanitarie che possono rendere impossibile o non ragionevole il rimpatrio in casi concreti (art. 22 dir.). Condizioni di soggiorno possono, in particolare, essere adottate in ragione dello stato di salute, laddove non ci si possa ragionevolmente attendere che le persone siano in condizioni di viaggiare (ad esempio, nel caso in cui l’interruzione del trattamento causerebbe loro gravi ripercussioni negative) e nei confronti delle famiglie con minori che frequentano la scuola in uno Stato membro, ai quali può essere consentito di portare a termine il periodo scolastico in corso (art. 23 dir.).
4. La direttiva è stata recepita in Italia con il d.lgs. 7.4.2003, n. 85, che ne disciplina le modalità di attuazione, prevedendo in particolare che le misure di protezione temporanea, utili a fronteggiare l’afflusso massiccio di sfollati accertato dal Consiglio dell’Unione europea, siano stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (D.P.C.M.), adottato ai sensi dell’art. 20 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Il D.P.C.M deve contenere, tra l’altro, la data di decorrenza della protezione temporanea, le categorie di sfollati ammessi alla protezione, la disponibilità ricettiva per l’accoglienza degli sfollati e le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno esteso allo studio e al lavoro, quelle relative alla disciplina degli eventuali ricongiungimenti familiari e alla registrazione dei dati personali degli sfollati. Occorre sottolineare che, come puntualizzato all’art. 4, c. 1, lett. e) D. lgs. 85/2003, del numero dei permessi di soggiorno rilasciati si tiene conto nell’adozione del decreto flussi annuale. Pertanto, la concessione della protezione temporanea potrebbe avere delle ripercussioni sui nuovi ingressi per motivi di studio/lavoro. Gli Stati membri sono tenuti a consentire alle persone che godono della protezione temporanea, per un periodo non superiore alla durata di quest’ultima, di esercitare qualsiasi attività di lavoro subordinato o autonomo, nel rispetto della normativa applicabile alla professione, nonché di partecipare ad attività nell’ambito dell’istruzione per adulti, della formazione professionale e delle esperienze pratiche sul posto di lavoro. Per quanto riguarda i minori di 18 anni, l’obbligo si estende all’accesso al sistema educativo al pari dei cittadini dello Stato membro ospitante. L’accesso per i maggiorenni è rimesso alla discrezionalità degli Stati membri. Le modalità specifiche per l’esercizio dei diritti spettanti ai beneficiari della protezione internazionale, così come per presentare la richiesta, sono pertanto rimesse alla definizione da parte del suddetto D.P.C.M. La Commissione europea ha, in aggiunta, annunciato la pubblicazione di linee guida per consentire un’applicazione coordinata tra gli Stati membri della direttiva 2001/55/CE.
Un aspetto rilevante attiene alla possibilità di presentazione di una domanda di asilo. Ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 85/2003, il D.P.C.M. deve stabilire i tempi dell’esame delle domande per il riconoscimento dello status di rifugiato presentate da persone che beneficiano della protezione temporanea, con riferimento all’eventuale rinvio dell’esame e della decisione sull’istanza al termine della protezione temporanea. In caso non si preveda il differimento nell’esame, il richiedente lo status di rifugiato potrà beneficiare del regime di protezione temporanea solo se presenti rinuncia alla istanza di riconoscimento dello status di rifugiato e/o se la medesima istanza ha avuto un esito finale negativo. Tale previsione aveva già suscitato rilievi di compatibilità con le disposizioni della direttiva (si veda il rapporto sulla direttiva 2001/55 del Network Odysseus)
5. Merita particolare attenzione la particolare posizione dei minori non accompagnati, considerato anche che gli orfanotrofi ucraini ospitavano circa 98.000 minori, in gran parte affidati agli enti da famiglie in condizioni di forte indigenza o inadeguatezza a prendersene cura (solo in piccola parte orfani in condizioni di adottabilità). A questi vanno aggiunti i minori lasciati partire dalle famiglie per metterli in salvo ed informalmente affidati a conoscenti, parenti od operatori resisi disponibili. Apprensione destano le notizie che giungono dalla frontiera con la Romania, ove reti di trafficanti si sarebbero attivate soprattutto a danno di minori soli e giovani donne. La direttiva 2001/55 detta un’apposita disciplina, specificando l’obbligo degli Stati membri di adottare quanto prima le misure necessarie affinché i minori non accompagnati (definiti come «i cittadini di paesi terzi o gli apolidi di età inferiore ai diciotto anni che entrano nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnati da una persona adulta responsabile per essi in base alla legge o agli usi, finché non ne assuma effettivamente la custodia una persona per essi responsabile, ovvero i minori che sono lasciati senza accompagnamento una volta entrati nel territorio degli Stati membri, art. 2, lett. f»), ammessi alla protezione temporanea, siano rappresentati mediante tutela legale o, se necessario, mediante rappresentanza assunta da organizzazioni incaricate dell’assistenza e del benessere dei minori o mediante qualsiasi altra forma adeguata di rappresentanza, nonché definendo le modalità di collocazione dei minori (art. 16). Sul punto è intervenuto, in particolare, il tribunale dei minorenni di Milano, ricordando (in una lettera inviata ai sindaci del territorio) che le persone di età inferiore ai 18 anni che raggiungono il territorio italiano senza genitori vanno considerate quali «minori stranieri non accompagnati», a favore dei quali bisogna attivare le procedure previste dalla legge 47/2017 (Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati), con immediata segnalazione al tribunale per i minorenni.
6. La scelta operata dall’Unione europea, di dare finalmente attuazione ad uno strumento rimasto lettera morta per vent’anni, costituisce un dato di indubbio interesse. Certamente essa testimonia l’unità di intenti degli Stati membri, data l’approvazione all’unanimità (sarebbero stati sufficienti 15 Stati membri per attuarla), ma non è detto che possa riflettersi sulle future scelte dell’Unione europea nella materia migratoria, che restano fortemente contraddistinte da un approccio restrittivo. Né, del resto, le divisioni possono dirsi cessate: se tutti gli Stati membri hanno convenuto sull’opportunità di applicare la protezione temporanea ai cittadini ucraini in fuga dalla guerra, i Paesi del gruppo di Visegrád e l’Austria si sono, invece, opposti ad un’ulteriore estensione. La decisione approvata costituisce, in effetti, l’esito di un compromesso rispetto alla proposta della Commissione, che ne aveva previsto l’applicazione anche ai cittadini di paesi terzi o apolidi legalmente residenti in Ucraina e che non fossero in grado di ritornare in condizioni sicure e durevoli nel paese o regione d’origine (tale ultimo requisito neppure applicabile ai soggiornanti di lunga durata). Nel testo finale, la protezione temporanea si applicherà alle persone che sono sfollate dall’Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022 che siano: a) cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022; b) apolidi e cittadini di paesi terzi diversi dall’Ucraina che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e c) familiari delle persone di cui alle lettere a) e b). Gli Stati membri sono, inoltre, tenuti ad applicare la decisione o una protezione adeguata ai sensi del loro diritto nazionale nei confronti degli apolidi e dei cittadini di paesi terzi diversi dall’Ucraina che possono dimostrare che soggiornavano legalmente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 sulla base di un permesso di soggiorno permanente valido rilasciato conformemente al diritto ucraino e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese o regione di origine. È invece solo facoltativa (con prevedibili differenze tra Stati membri), l’estensione della protezione temporanea ad altre persone, compresi gli apolidi e i cittadini di paesi terzi diversi dall’Ucraina, che soggiornavano legalmente in Ucraina e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese o regione di origine (sul punto si vedano le considerazioni di G. Morgese e E. Colombo). Un tema di rilievo, dato l’alto numero di studenti universitari stranieri nel Paese (quasi 80.000 nel 2020, soprattutto provenienti da Africa e India) e di lavoratori, per i quali sono stati denunciati trattamenti discriminatori e gravi difficoltà nel partire.
7. È, invece, positivo che gli Stati membri abbiano convenuto (in una dichiarazione allegata alla decisione di esecuzione (UE) 2022/382) di non applicare l’art. 11 della direttiva 2001/55/CE (che prevede l’obbligo di riammissione di una persona del titolare della protezione temporanea nel proprio territorio qualora essa soggiorni o tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro Stato membro nel periodo previsto dalla decisione del Consiglio) in relazione alle persone che godono della protezione temporanea in un determinato Stato membro, e che si trasferiscono in un altro Stato membro senza autorizzazione, salvo diverso accordo tra Stati membri su base bilaterale. Desta qualche perplessità il ricorso ad una dichiarazione per superare una disposizione contenuta nella direttiva, che pare piuttosto qualificarsi come un gentlemen’s agreement di valore politico (si vedano in proposito le considerazioni di S. Peers).
Si tratta, in ogni caso, di un modo di attuare una redistribuzione delle persone de facto (appositamente nella decisione non è previsto alcun meccanismo di ricollocamento), così sostenendo «gli Stati membri che costituiscono i principali punti di ingresso dell’afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina che fuggono dalla guerra, oggetto della decisione di esecuzione del Consiglio del 4 marzo 2022, e di promuovere l’equilibrio degli sforzi tra tutti gli Stati membri» (cfr. dichiarazione). Occorre ricordare che all’esito di un processo avviato nel 2008, dal 2017 i cittadini ucraini sono esentati dall’obbligo del visto di breve durata, a condizione che dispongano di un passaporto biometrico. In particolare, oggi l’Ucraina figura nell’elenco di cui all’allegato II del regolamento (UE) 2018/1806 e i cittadini ucraini sono esenti dall’obbligo del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (ad eccezione dell’Irlanda, che però ha annunciato la revoca immediata dell’obbligo di visto nei confronti dei cittadini ucraini) per soggiorni la cui durata globale non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni. I cittadini ucraini, in quanto viaggiatori esenti dall’obbligo di visto, hanno quindi il diritto, dopo essere stati ammessi nel territorio, di circolare liberamente all’interno dell’Unione per un periodo di 90 giorni e su tale base possono scegliere lo Stato membro in cui intendono godere dei diritti connessi alla protezione temporanea e raggiungere i familiari e gli amici attraverso le importanti reti delle diaspore attualmente esistenti in tutta l’Unione (al 1° gennaio 2022 risultano regolarmente residenti in Italia circa 235.000 cittadini ucraini, la quinta comunità straniera, la seconda diaspora nell’UE, dopo la Polonia che ospita tra 1 e 2 milioni di cittadini ucraini). Qualora si spostassero dopo aver ottenuto la protezione temporanea, esse resterebbero legittimate ad avvalersi dei diritti derivanti dal suddetto status solo nello Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno, ma ciò non pregiudicherebbe la possibilità di uno Stato membro di decidere di rilasciare in qualsiasi momento un titolo di soggiorno (considerando 16). Si tratterebbe presumibilmente di un titolo fondato su norme nazionali.
La mancanza della definizione della capacità di accoglienza massima per ciascuno Stato UE e della previsione di un meccanismo di redistribuzione, da attuare in ogni caso con il consenso delle persone interessate, per quanto rimetta (come spesso auspicato) alla scelta dei profughi la valutazione circa lo Stato membro in cui stabilirsi (si vedano le considerazioni di D. Thym), potrebbe tuttavia rivelarsi inidoneo ad assicurare la funzione che lo ha ispirato (sostenere gli Stati limitrofi, promuovendo l’equilibrio degli sforzi), soprattutto per le forti divergenze circa la distribuzione della diaspora ucraina nella UE (presumibilmente pull factor cruciale). La già fortissima concentrazione nell’area di immigrati ucraini, soprattutto in Polonia, favorita anche dalle somiglianze linguistiche (accomunate dall’appartenenza alla famiglia slava), e la prossimità geografica al Paese natale, presumibilmente porterà molte persone a non spostarsi, ponendo prevedibili problemi di sostenibilità e una probabile necessità di successivo intervento sul punto.
8. Al di là del carattere sempre più restrittivo delle misure recentemente proposte nell’ambito migratorio nell’Unione europea, e degli obiettivi di contenimento da esse sottese, in passato non era mai stato possibile attuare la direttiva sulla protezione temporanea, in quanto la decisione necessaria costituisce un atto politico che presuppone un consenso largamente condiviso tra gli Stati membri e fino ad oggi era prevalsa diversità di visioni anche in occasione di afflussi massicci (si vedano le considerazioni di S. Carrera, L. Brumat, M. Ineli Ciger, L. Vosyliute). L’approvazione all’unanimità il 4 marzo, seppur con alcuni distinguo in relazione ai cittadini di paesi terzi che vivono in Ucraina, costituisce, quindi, anche un segnale politico alla Russia. Resta da vedere se debba essere ascritto alla ritrovata unità di fronte alla grave minaccia, a cui è esposto il continente europeo, oppure possa aprire la strada ad una rinnovata visione delle politiche migratorie, specialmente ove esse riguardino persone in fuga da regimi e situazioni di conflitto cruente e drammatiche. Ma certamente ha dimostrato che volere è potere.