Verso uno spazio unico europeo dell’imposta sul valore aggiunto
1. Introduzione: il piano d’azione della Commissione europea in materia di imposta sul valore aggiunto
La Commissione europea con la Comunicazione al Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo su un piano d’azione sull’IVA del 7 aprile 2016 “Verso uno spazio unico europeo dell’IVA – Il momento delle scelte” (COM/2016/0148 final) delinea il modus operandi per la creazione di uno spazio unico europeo dell’imposta sul valore aggiunto, a sostegno di un mercato più equo ed adeguato al XXI secolo, che contribuisca ad incentivare occupazione, investimenti e concorrenza e che sia in grado di contrastare le frodi.
D’altronde, come precisa la Commissione, il sistema comune dell’IVA è un “elemento cardine del mercato unico europeo”, che costituisce fonte rilevante di entrate, in continua crescita in ambito UE. Tuttavia tale sistema, di natura transitoria, finora non è stato in grado di fronteggiare le sfide dell’odierna economia globale, digitale e mobile, essendo esso frammentario e complesso per il numero crescente di imprese che operano a livello transfrontaliero, oltre a risultare vulnerabile alle frodi (v., al riguardo, la Relazione speciale n. 24/2015 — “Lotta alle frodi nel campo dell’IVA intracomunitaria: sono necessari ulteriori interventi”, in GU C 89 del 5.3.2016).
Tanto premesso, la Commissione sostiene, dunque, che il sistema de quo debba essere urgentemente riformato: da un lato, occorre optare per la semplificazione, considerato che la complessità del sistema soffoca le imprese, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni (PMI), che sostengono oneri amministrativi gravosi; dall’altro lato, è necessario far fronte al crescente rischio di frode e, in particolare, all’elevato “divario dell’IVA” tra il gettito previsto e quello effettivamente incassato (v. sul punto Risoluzione del Parlamento europeo del 21 maggio 2013 sulla lotta contro la frode fiscale, l’evasione fiscale e i paradisi fiscali (2013/2060(INI)), in GU C 55 del 12.2.2016, pagg. 54-65). Inoltre, urge un sistema più efficiente, specie per cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia digitale e per ridurre i costi di riscossione delle entrate, fondato su una maggiore fiducia tra imprese e amministrazioni fiscali e tra amministrazioni medesime.
In sintesi, l’IVA deve essere modernizzata e rilanciata ma – come precisa la Commissione – non basta introdurre nuovi obblighi e controlli per contrastare le frodi o attuare una semplificazione frammentaria (v., ad esempio, Direttiva 2013/42/UE del Consiglio, del 22 luglio 2013, che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA in GU L 201 del 26 luglio 2013, pagg. 1–3) – rischiando, tra l’altro, di inficiare la certezza giuridica delle aziende – bensì, occorre creare un vero e proprio spazio unico europeo dell’IVA.
A tal uopo la Commissione dichiara, dunque, di voler presentare nel 2017 una proposta legislativa che crei un sistema dell’IVA definitivo, fondato sul principio dell’imposizione nel Paese di destinazione dei beni, con la conseguenza che le norme in base alle quali il fornitore riscuoterà l’imposta dal proprio cliente, saranno estese alle operazioni transfrontaliere, per ridurre l’ammontare delle frodi.
Del resto già da tempo la Commissione sollecita una riforma del sistema dell’IVA, specie dopo un ampio e fruttuoso dibattito pubblico avviato dal Libro verde sul futuro dell’IVA del 1°dicembre 2010 (COM(2010) 695 def.), cui ha fatto seguito la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 ottobre 2011 sul futuro dell’IVA (in GUUE n. C 094 E, pp. 5-12) e la Comunicazione sul futuro dell’IVA “Verso un sistema dell’IVA più semplice, solido ed efficiente adattato al mercato unico” del 6 dicembre 2011(COM(2011) 851), per definire le azioni prioritarie da porre in essere.
Inoltre, il sistema attuale ha serie difficoltà ad adattarsi ai modelli commerciali innovativi e al progresso tecnologico nell’ambiente digitale odierno (vedi, anche, la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 “Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione”, COM/2016/0179 final, del 18.4.2016) e la differenza di aliquote IVA tra i beni e i servizi fisici e digitali non riflette appieno le realtà attuali; oltretutto, gli Stati membri si sentono indebitamente limitati nella loro politica di fissazione delle aliquote, senza poi considerare che il sistema dell’IVA con riguardo al commercio elettronico transfrontaliero risulta complesso e dispendioso sia per gli Stati membri che per le imprese europee. Quest’ultime, tra l’altro, si trovano svantaggiate sotto il profilo concorrenziale, in quanto i fornitori extra-UE possono vendere beni esenti da IVA a consumatori dell’Unione grazie all’esenzione riservata alle importazioni di piccole spedizioni.
Dunque, come già annunciato il 6 maggio 2015 nella strategia per il mercato unico digitale (COM(2015) 192), la Commissione presenterà, altresì, entro la fine del 2016, un pacchetto di misure per modernizzare e semplificare l’IVA che grava sul commercio elettronico transfrontaliero. In particolare, sarà prevista: a) l’estensione del meccanismo dello sportello unico alle vendite online di beni materiali ai consumatori finali, effettuate dalle imprese di Stati dell’UE e di Paesi terzi; b) l’introduzione di una misura di semplificazione comune a livello dell’UE (soglia dell’IVA) a sostegno delle piccole start-up che operano nel commercio elettronico; c) la previsione di controlli nel Paese d’origine; d) la soppressione dell’esenzione dell’IVA per l’importazione di piccole spedizioni provenienti da fornitori di Paesi terzi. Tra le prime proposte per modernizzare l’e-commerce transfrontaliero va poi sottolineata la possibilità di applicare alle pubblicazioni digitali le aliquote ridotte già previste per quelle cartacee.
Tanto esposto, il VAT Action Plan in esame, che fa parte, tra l’altro, dell’agenda “Legiferare meglio” della Commissione (Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea del 13 aprile 2016) definisce, dunque, le progressive fasi per la realizzazione di uno spazio unico europeo dell’IVA, determinando gli interventi urgenti ed immediati, in particolare per contrastare il divario dell’imposta sul valore aggiunto ed adeguare il sistema sia all’economia digitale, sia alle esigenze delle PMI, per le quali nel 2017 verrà presentato un pacchetto di semplificazione globale IVA.
2. Il pacchetto di misure per contrastare il “divario dell’IVA”
Nello specifico, con riguardo ai livelli attuali del divario dell’IVA si intende agire su più fronti: a) il perseguimento di una più efficace cooperazione amministrativa (per un approfondimento sul tema mi si consenta di rinviare all’apposita sezione dell’Osservatorio sullo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia); b) la maggiore osservanza volontaria della normativa; c) il miglioramento collettivo dei risultati delle amministrazioni fiscali europee; d) un nuovo approccio per la riscossione dell’imposta relativamente al commercio elettronico.
In tale contesto, pertanto, si rende anzitutto necessario sostituire i modelli di cooperazione esistenti, basati sul mero scambio di informazioni tra Stati membri, con nuove forme di condivisione e di analisi congiunta dei dati e di intervento comune, per individuare e rimuovere rapidamente ed efficacemente le reti fraudolente. Ciò impone il potenziamento del ruolo di Eurofisc, quale rete di funzionari pubblici nazionali, istituita per lo scambio rapido di informazioni mirate riguardanti le frodi in materia di IVA, affinchè esso abbia accesso diretto a dati pertinenti in possesso dei diversi Stati membri, da poter scambiare, condividere ed analizzare, avviando audit congiunti. Inoltre, occorre consolidare l’assistenza reciproca per la riscossione delle imposte dovute, nonché rimuovere gli ostacoli alla cooperazione efficace tra amministrazioni fiscali e dogane, e con gli organismi preposti all’applicazione della legge e le istituzioni finanziarie, sia a livello nazionale che europeo. A tal riguardo potrebbe, oltretutto, svolgere un ruolo significativo l’adozione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale dell’11 luglio 2012 (COM(2012) 363 final), nonché la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea del 17 luglio 2013 (COM(2013) 534 final), al fine di perseguire i reati a danno del bilancio dell’Unione.
Infine, sotto tale profilo occorre migliorare la cooperazione con organizzazioni internazionali e Paesi terzi, in modo tale da poter estendere a questi ultimi il sistema di cooperazione amministrativa dell’Unione, soprattutto per garantire un’efficace tassazione del commercio elettronico.
Relativamente al secondo versante, a dire della Commissione, gli Stati membri devono migliorare il rispetto degli obblighi tributari e la capacità delle loro amministrazioni fiscali, motivo per cui si ritiene di dover favorire lo scambio e l’applicazione delle migliori pratiche nel settore v., al riguardo, (Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Settima relazione a norma dell’articolo 12 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 sulle procedure di riscossione e di controllo dell’IVA del 12.2.2014, COM(2014) 69 final).Inoltre, si intende promuovere l’adozione di un’agenda comune per le amministrazioni fiscali, al fine di instaurare un clima di fiducia e di collaborazione nell’attività di contrasto alle frodi; di agevolare gli accordi tra le amministrazioni fiscali e i settori economici; di garantire l’osservanza volontaria e la cooperazione tra imprese ed autorità fiscali, con l’aiuto, tra l’altro, della Commissione attraverso meccanismi di prevenzione e risoluzione delle controversie previsti dal forum dell’UE sull’IVA.
In ultimo occorre agire sotto il profilo della riscossione dell’imposta sul valore aggiunto, ipotizzando un portale web dell’UE che semplifichi le procedure per le autorità fiscali e riduca gli oneri per le imprese, sia all’interno degli Stati membri che oltre frontiera.
3. I limiti del sistema attuale dell’IVA e prospettive future: considerazioni conclusive
Come è noto, il sistema attuale dell’IVA nasce nel 1993, quale strumento transitorio che divide ogni operazione transfrontaliera in una cessione esente e in un acquisto imponibile, al pari di un sistema doganale, ma ciononostante privo dei controlli equivalenti e, dunque, facilmente esposto a frodi transfrontaliere. Quest’ultime si verificano quando un fornitore finge di aver trasportato beni verso un altro Stato membro, mentre questi sono di fatto consumati localmente in esenzione dall’IVA, o in particolare allorquando un soggetto partecipante ad un’operazione transfrontaliera acquista beni o servizi in esenzione dall’imposta sul valore aggiunto e addebita quest’ultima senza versarla alle autorità fiscali, mentre il suo cliente la può detrarre.
Da qui discende l’esigenza di adottare un approccio unificato che contrasti tali frodi e sia pienamente compatibile con i requisiti del mercato unico: un solido spazio europeo dell’IVA che tratti le operazioni transfrontaliere alla stregua delle operazioni nazionali (al riguardo si segnala l’indizione di una consultazione pubblica con scadenza 15 giugno 2016).
Pertanto, la Commissione esamina nel dettaglio l’applicazione del “principio della destinazione” negli scambi transfrontalieri: principio, questo, in base al quale l’IVA viene “sospesa” lungo l’intera catena economica e posta esclusivamente a carico dei consumatori, differendo così la riscossione dell’importo totale dell’IVA al momento della vendita. Tale meccanismo – come chiarisce la Commissione – non ha la natura autoregolatoria dell’attuale sistema dell’IVA, ossia il principio del pagamento frazionato, il quale garantisce che un piccolo numero di soggetti passivi affidabili e di rilievo nella catena economica versi la maggior parte dell’IVA. Il che comporta il rischio di altri tipi di frodi (ad esempio frodatori che dichiarano di essere soggetti passivi per ottenere beni destinati al consumo finale in esenzione IVA) e l’aumento di consumo privato non tassato.
Sulla scorta di tali valutazioni la Commissione conclude, pertanto, che la soluzione migliore per l’Unione consiste nel tassare le cessioni di beni tra imprese nell’UE allo stesso modo delle cessioni nazionali, garantendone un trattamento coerente lungo tutta la catena di produzione e distribuzione e ristabilendo le caratteristiche basilari dell’IVA nel commercio transfrontaliero, quale il citato meccanismo dei pagamenti frazionati con il suo carattere autoregolatorio. I consumi finali ed intermedi dei beni continueranno, dunque, ad essere soggetti ad imposta nel Paese verso cui vengono trasportati, rendendo ardua la pianificazione fiscale o la frode da parte dei soggetti passivi.
In aggiunta, come visto, la Commissione mira anche all’adozione di talune importanti misure semplificative: ad esempio il citato sportello unico, già esistente per i servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici e per il quale è prevista l’estensione a tutte le operazioni del commercio elettronico, per semplificare, standardizzare e modernizzare le procedure; o la tassazione delle imprese all’obbligo di registrazione ai fini IVA solo negli Stati membri in cui sono stabilite.
Tale sistema richiederà una fiducia ed una cooperazione maggiori tra le amministrazioni fiscali, in quanto lo Stato membro in cui arrivano i beni dovrebbe dipendere dal Paese membro di partenza per riscuotere l’IVA dovuta sulla cessione transfrontaliera.
Inoltre, si va verso una nuova politica delle aliquote, considerato che le norme vigenti non tengono pienamente conto degli sviluppi tecnologici ed economici, come avviene per gli e-book e i giornali elettronici, che non possono beneficiare delle aliquote ridotte applicabili alle pubblicazioni cartacee. Da ciò derivano, dunque, differenze significative tra le aliquote applicate a prodotti comparabili, quali pubblicazioni digitali da un lato, ed equivalenti prodotti fisici dall’altro lato, il che si riflette nel prezzo di vendita al consumatore. Non a caso già nella citata Comunicazione sul futuro dell’IVA, la Commissione sostiene che uno dei principi basilari da rispettare sia quello di assoggettare beni e servizi simili alla stessa aliquota IVA e che, a tal riguardo, occorrerebbe tener conto del progresso tecnologico in modo da rispondere alla sfida posta dalla convergenza tra supporti fisici ed elettronici (vedi, anche, Comunicazione della Commissione “Un quadro coerente per rafforzare la fiducia nel mercato unico digitale del commercio elettronico e dei servizi on-line” (COM/2011/0942 final)).
Per il resto, in base alla regolamentazione vigente, gli Stati membri devono attenersi ad un elenco prestabilito di beni e servizi che possono beneficiare di aliquote ridotte. Ebbene, la Commissione prevede di modernizzare tale quadro e lasciare più flessibilità agli Stati membri in futuro, proponendo due soluzioni: la prima manterrebbe l’aliquota normale minima del 15%, riesaminando regolarmente tale elenco sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri. La seconda soluzione eliminerebbe il suddetto elenco, richiedendo però misure di salvaguardia per prevenire le frodi ed evitare la concorrenza fiscale sleale all’interno del mercato unico. Ad ogni modo, in entrambi i casi, verrebbero mantenute l’aliquota zero e le aliquote ridotte attualmente applicabili.
Tali norme, inoltre, sono state elaborate oltre due decenni fa, allo scopo di pervenire ad un sistema IVA definitivo basato sul principio dell’origine, ma che è andato, poi, via via trasformandosi in un sistema fondato sul diverso principio della destinazione. Ebbene, le norme in materia di aliquote non sono mai state adeguate in modo da rispecchiare questa logica, che permette di diversificare maggiormente le aliquote IVA.
È pur vero, però, che la politica fiscale europea esige l’unanimità nelle decisioni e tale condizione non è sempre facilmente perseguibile, anche se gli accordi finora raggiunti lasciano presagire un buon livello di fiducia.
Tanto esposto, il piano di azione sommariamente esaminato si proietta, in sintesi, in direzione dell’individuazione dei principi fondamentali di un futuro sistema unico dell’IVA a livello europeo; dell’aggiornamento del quadro delle aliquote; della semplificazione delle norme in materia di commercio elettronico; nonché verso l’adozione di misure a breve termine per combattere le frodi. Problema, quest’ultimo, di assoluto rilievo, tanto da generare disaccordo sull’inclusione o meno delle frodi in materia di IVA nel campo di applicazione della costituenda “direttiva PIF” (v. Proposta di direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale – Stato dei lavori, 24 novembre 2015, ST 14281 2015 INIT – 2012/0193 (OLP)), specie all’indomani della sentenza Taricco (Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a., causa C-105/14. Per un approfondimento sul tema si rinvia a C. Amalfitano, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di imposta sul valore aggiunto?, in SIDIBloge ai numerosi contributi inwww.penalecontemporaneo.it; relativamente alle conclusioni dell’Avocato generale J. Kokott del 30 aprile 2015 v. F. Capotorti, in questa Rivista).
Con tale pronuncia la Grande Sezione della Corte di giustizia dispone che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare disposizioni interne in materia di interruzione della prescrizione (artt. 160, ul. co. e 161, co. 2, c.p.), qualora esse comportino, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale di gravi frodi IVA, violando, dunque, l’art. 325, par. 1, TFUE che impone l’adozione, da parte dei Paesi membri, di sanzioni effettive e dissuasive a tutela degli interessi finanziari dell’UE. Inoltre, l’autorità giudiziaria è obbligata a disapplicare le menzionate disposizioni qualora, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari nazionali, siano previsti termini di prescrizione più lunghi rispetto a quelli stabiliti in caso di frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione europea, una situazione siffatta ponendosi in violazione dell’art. 325, par. 2, TFUE.
Decisum, questo, che ha generato da subito posizioni critiche in dottrina e in giurisprudenza, per le evidenti ricadute nell’ordinamento italiano: la disapplicazione in malam partem (così, anche, Corte di giustizia, sentenza dell’11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, con riferimento alla disapplicazione dell’interpretazione autentica di “rifiuto” e la condanna dell’imputato sulla base della nozione di rifiuto vigente al momento dei fatti) di disposizioni nazionali inerenti alla punibilità, con il prolungamento del termine di prescrizione a discapito degli imputati; l’incidenza di quest’ultimo sulla “ragionevole durata del processo”, tutelato ex artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; l’interferenza con la riserva di legge in materia penale, posto che le norme sulla prescrizione sono considerate, in primis dalla Consulta (v., ad esempio, Corte Costituzionale, sentenza del 14 gennaio 2015, n. 49; sentenza del 23 ottobre 2006, n. 393; sentenza del 23-31 maggio 1990, n. 275), norme di diritto sostanziale, soggette al regime di cui all’art. 25, co. 2, Cost. Non a caso la Corte d’appello di Milano, chiamata a pronunciarsi su una fattispecie di associazione a delinquere per la commissione di reati in materia di IVA, ha rimesso la questione in esame alla Consulta (v. ordinanza del 18 settembre 2015), perché decida se azionare o meno il controlimite, costituito dall’art. 25, co. 2, Cost. (nullum crimen sine lege); così come la Corte di Cassazione, sez. III, nel corso dell’udienza del 30 marzo 2016, ampliando i parametri di legittimità costituzionalità, ovvero invocando, altresì, gli artt. 3, 11, 27, co. 3, 101, co. 2, unitamente all’art. 25, co. 2, Cost. Ciononostante non è mancato, tuttavia, chi ha dato seguito alla sentenza Taricco, disapplicando in parte qua le citate norme del codice penale (v. la stessa sez. III della Cassazione penale, sentenza del 17.9.2015, n. 2210, dep. il 20.1.2016), con la conseguenza di esporre retroattivamente gli imputati per frodi IVA ad un trattamento sanzionatorio per il quale è già decorso il relativo termine di prescrizione (diversamente, v. Cassazione penale, sez. IV, 25.1.2016, n. 7914).
Sul punto non resta, pertanto, che attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, rilevando, tra l’altro, che il Giudice di Lussemburgo non ha fornito indicazioni chiare né sulla soglia minima di gravità in presenza della quale scatti la disapplicazione; né sul numero di casi di impunità penale da reputare “considerevole”; ed inoltre ha lasciato presagire una tutela incondizionata degli interessi finanziari dell’UE con risvolti contra reum.
In tale contesto, dunque, muovendo dalla constatazione che l’IVA costituisce una delle principali risorse dell’UE, la Commissione intende contribuire alla realizzazione di uno spazio unico europeo dell’imposta sul valore aggiunto, che sia a prova di frode, dando nuovo impulso alla revisione del sistema IVA, in direzione della semplificazione, con la finalità ultima di sostenere al meglio il mercato unico e le imprese, di facilitare gli scambi transfrontalieri e, altresì, di stare al passo con l’odierna economia digitale e mobile.