Unione europea e Russia: la ricerca di una dialogo tra “la dama” e “l’orso”

 

Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, è stata promossa all’unanimità dai coordinatori dei gruppi in Commissione esteri (Afet) del Parlamento europeo, come Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea (S. Monici). Il discorso introduttivo tenuto durante l’audizione tocca anche il tema delle relazioni tra l’Unione europea (UE) e la Russia che secondo la candidata non può al momento essere considerata “un partner per l’UE ma è comunque un paese strategico ed un vicino” del quale, nei prossimi cinque anni occorre rivedere la posizione. Rispondendo poi a un eurodeputato che le ha chiesto “come affronterà l’orso russo” ha affermato: “Non ho molta esperienza con gli orsi” ma per affrontare quello russo “serve un mix di comportamenti, assertivo e diplomatico” e le quantità dei due elementi nel mix “dipenderà dall’atteggiamento dell’orso”. Il Cremlino, nella persona di Iuri Ushakov, consigliere diplomatico di Putin, ha preferito non commentare queste dichiarazioni preferendo “aspettare quando questa “dama” comincerà ad operare nella nuova veste ufficiale”.

 

La Russia, membro del G8, del G20 e dell’OMC, è stata abitualmente considerata un “partner strategico” dell’UE soprattutto in ragione dei considerevoli scambi commerciali esistenti che fanno dell’UE il principale partner della Russia e la Russia il terzo partner dell’UE. In particolare, Mosca fornisce circa il 32% del fabbisogno di gas europeo, la Russia assorbe oltre il 7% delle esportazioni europee. Le relazioni UE-Russia sono attualmente regolate dall’Accordo di partenariato e cooperazione (APC) del 1997. Inizialmente valido per 10 anni, l’APC è stato rinnovato automaticamente ogni anno. Esso enuncia i principali obiettivi comuni, stabilisce il quadro istituzionale per i contatti bilaterali (incluse consultazioni regolari sui diritti umani e incontri al vertice presidenziali semestrali), promuove attività e incoraggia il dialogo in vari settori. In occasione del vertice di San Pietroburgo tenutosi nel maggio 2003, l’UE e la Russia hanno rafforzato la cooperazione mediante la creazione di quattro “spazi comuni”: lo spazio economico, per la sicurezza e la giustizia, lo spazio per la sicurezza esterna e lo spazio per la ricerca, l’istruzione e la cultura. La cooperazione in questi ambiti è stata implementata a partire dal 2010 con l’avvio un partenariato di modernizzazione. Nel luglio 2008 sono stati avviati i negoziati per un nuovo accordo che riguarda settori delicati quali il dialogo politico, la giustizia, la libertà, la sicurezza, la cooperazione economica, la ricerca, l’istruzione, la cultura, il commercio, gli investimenti e l’energia.

 

Sulle relazioni tra UE e Russia incidono diversi aspetti problematici. Innanzitutto, le elezioni del 2011 e 2012 che hanno riconfermato Putin e il suo partito alla guida del governo russo sono state giudicate da più parti non libere e scorrete. Le espressioni di diffuso malcontento in seno a gruppi politicamente attivi della società russa hanno avuto come risposta dal governo un’attività legislativa restrittiva quanto alla possibilità di manifestazione del proprio pensiero, di dubbia compatibilità con i valori democratici e i diritti della persona. Il rispetto dello Stato di diritto è incrinato dalla forte  corruzione e la violazione dei diritti umani è da più parti denunciata nelle regioni del Caucaso settentrionale. La Russia si pone come antagonista dell’UE cercando di limitare l’influenza che quest’ultima offre, in particolare con il progetto di partenariato orientale, sui sei paesi dell’Europea orientale (Armenia, Azerbajan, Georgia, Moldavia, Bielorussia, Ucraina) e del Caucaso meridionale, attraverso pressioni politiche, concessioni o ritorsioni economiche per incoraggiare tali paesi ad entrare nell’unione doganale, della quale è a capo e a cui già partecipano Bielorussia e Kazakhstan. Più di recente, la Russia è stata fermamente condannata della comunità internazionale per l’intervento militare in Crimea, una regione ucraina d’importanza strategica per il Cremlino, giustificato con il pretesto di tutelare la comunità di lingua russa che vi abita, per l’annessione con un referendum ritenuto illegale, della Crimea nella Federazione russa e per le azioni di supporto ai ribelli operanti nell’est del paese.

 

A seguito di queste ultime vicende, l’UE dopo un iniziale atteggiamento interlocutorio, ha radicalmente rivisitato l’approccio nei confronti della Russia nei confronti della quale ha introdotto diverse misure sanzionatorie. Tali interventi prevedono, innanzitutto, il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e dalle persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina, e da persone fisiche o giuridiche, entità od organismi a essi associate;  ad esponenti politici ucraini e russi è stata limitata la capacità di spostamento nel territorio  degli Stati membri; sono stati sospesi i negoziati avviati nel 2008 per il nuovo accordo di partenariato e i nuovi programmi di finanziamento diretti alla Russia da parte della Banca europea per  gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo Sviluppo (BERS).  Il quadro sanzionatorio è stato significativamente irrigidito, di fatto allineandolo a quello degli USA, nel mese di settembre includendo un divieto di vendita, acquisto di azioni ed obbligazioni con scadenza superiore a 90/30 giorni per contratti firmati dopo l’8/2014 o il 9/2014 con le prime cinque banche russe (Gazpronbank, Russian agricoltural Bank, VEB, VTB, Sberbank) e alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da sei “grandi gruppi” russi operanti nel campo della difesa e dell’energia (tra i quali Rosneft, Transneft, Gazproneft) nonché l’integrazione nella “black list” europea di altri 24 nomi di persone a cui saranno congelati i beni e non saranno più concessi visti. Sono state altresì ristrette le attività di export in alcuni settori dell’economia russa, in particolare merci militari, dual use e tecnologia per esportazione petrolifera in acque profonde e zona artica.

La Russia, in risposta alle sanzioni europee e all’isolamento politico sul piano internazionale, ha adottato alcune restrizioni alle importazioni. Precisamente, con il decreto presidenziale numero 560 firmato da Vladimir Putin del 6 agosto e trasformato nella risoluzione 778 del 7 agosto la Russia ha bloccato per dodici mesi le importazioni del comparto agroalimentare. I destinatari dell’embargo, sono le aziende dell’UE e degli Usa, dell’Australia, del Canada e della Norvegia. Motivazione ufficiale: il mancato rispetto dei parametri sanitari del Paese previsto dalla Rosselkhoznadzor, ovvero dall’autorità sanitaria federale. Le restrizioni hanno danneggiato soprattutto l’UE, che rappresenta da sola 86 % di tutte le importazioni russe provenienti dai paesi riguardati dalla misura (il 43 % delle importazioni russe provenienti dal resto del mondo) e il 73 % della suddetta percentuale viene colpito dall’embargo. La Commissione dopo aver costituito, in pochi giorni, un comitato di esperti degli Stati membri incaricato di monitorare la situazione, ha introdotto delle misure di sostegno eccezionali e a carattere temporaneo erogando aiuti nei settori più colpiti (C. Sanna).

 

Le misure ritorsive hanno creato una significativa instabilità commerciale che danneggia il mercato europeo ed in particolare quello italiano, secondo partner commerciale della Russia in Europa, dopo la Germania e il quinto a livello mondiale, dopo Cina, Germania, Stati Uniti e Ucraina. Lunedì 20 ottobre si è tenuto il Consiglio Affari esteri (CAE), l’ultimo presieduto da Catherine Ashton che passerà il testimone di Alto rappresentante UE per la politica estera e la sicurezza, il 1° novembre, a Federica Mogherini. I ministri degli esteri dei 28 Paesi UE hanno discusso  anche delle relazioni con Ucraina e Russia, soprattutto alla luce degli incontri tra il premier ucraino Petro Poroshenko e il presidente russo Vladimir Putin, avvenuti in occasione del vertice Europa – Asia (ASEM)  di Milano, il 16-17 ottobre 2014. Il Consiglio ha rilevato la complessiva riduzione del livello di violenza in Ucraina ma ha anche condannato le ripetute violazioni del concordato cessate il fuoco. È stato ribadito il sostegno politico ed economico alla Special Monitoring Mission dell’OSCE, incaricata dell’implementazione del Protocollo di Minsk del 5 settembre e del Memorandum di Minsk del 19 settembre. Rispetto a quanto previsto da tali accordi prevedono, il CAE rileva, in particolare, il mancato ritiro completo delle forze militari russe dal territorio ucraino e la necessità di organizzare elezioni locali anticipate nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Qualsiasi elezione cosiddetta “parlamentare” o “presidenziale”, organizzata autonomamente da autorità locali auto-proclamate, non sarà in alcun modo riconosciuta dai governi europei che invece auspicano elezioni conformi alle leggi ucraine e agli standard internazionali.

L’UE è dunque ferma nel voler sostenere l’implementazione dell’accordo di Minsk ma è anche consapevole di dover dialogare con il Cremlino in modo da equilibrare la severità delle sanzioni con l’atteggiamento tenuto dalla Russia in Ucraina. A ciò si aggiunge la necessità di assicurare ai Paesi dell’Unione i necessari approvvigionamenti di gas e di tutelare il buon funzionamento del mercato europeo. La prossima Lady PESC eredita una situazione complessa da gestire soprattutto dovendo coordinare e rappresentare in modo univoco i diversi interessi nazionali.


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