Una scommessa da non sottovalutare. La nomina della Commissione Juncker e la sua nuova struttura interna

Il 1° novembre è entrata in carica la nuova Commissione Juncker. Essa presenta, per la prima volta, una struttura interna quasi gerarchica, che identifica project teams coordinati dai Vice-Presidenti. Si tratta di una novità rilevante, che unisce i tratti di un’amministrazione “di missione” ad altri più manageriali; essa suscita speranze per una Commissione di nuovo protagonista, ma solleva anche alcune perplessità.

I nuovi Commissari e la loro nomina

Rispetto alle novità connesse all’elezione del Presidente Juncker, la procedura di nomina dei singoli commissari non ha registrato mutamenti rilevanti.

Il Parlamento ha operato l’ormai consueto, per quanto non previsto dai Trattati, scrutinio dei singoli candidati, con il solito trade-off tra democraticità e collegialità. A farne le spese è stata la sola candidata slovena; il controllo parlamentare, infatti, ha inciso soprattutto sul riparto dei portafogli, portando a diversi cambiamenti. Questi ultimi sono stati, in alcuni casi, frutto di logiche di partito, mai come questa volta attive e presenti nella definizione della nuova Commissione (l’attribuzione al socialdemocratico Timmermans delle competenze in materia di sviluppo sostenibile, tolte al popolare Arias Cañete); in altri casi, essi sono stati dettati da ragioni di materia (Juncker ha dovuto cedere alla sua idea di attribuire alla sola DG Mercato interno la regolamentazione dei prodotti chimici e farmaceutici, rimasti in parte sotto la DG Salute); in altri ancora, essi hanno seguito logiche “repubblicane”, come l’allontanamento dell’ungherese Navracsics, proposto dal partito di estrema destra del premier Orban, dalle competenze relative alla cittadinanza europea.

Nonostante gli ulteriori negoziati necessari per approntare questi cambiamenti, il voto di approvazione collegiale è intervenuto entro la formale cessazione dall’incarico del secondo Collegio Barroso. Il 22 ottobre 2014, infatti, il Parlamento ha approvato collettivamente la nuova Commissione, con 423 voti su 751 (sebbene la coalizione di popolari, socialdemocratici e liberali esprimerebbe una cinquantina di voti in più). Il giorno seguente, il Consiglio europeo ha provveduto alla sua nomina.

Una rivoluzione ancora priva di una disciplina ad hoc

Il Presidente eletto ha largamente usato i poteri attribuitigli ex art. 17, par. 6, TUE ed art. 248 TFUE per decidere l’organizzazione interna della Commissione, prevedendo una ripartizione delle responsabilità dei commissari sicuramente innovativa. Sono stati individuati sette “gruppi di lavoro” gestiti da altrettanti Commissari; essi sono insigniti della carica di Vice-Presidente, che cessa quindi di avere un significato meramente onorario (anche se, ad una prima analisi, sembra comunque rimanere come “consolatoria” dell’assegnazione di portafogli meno importanti) in favore di un preciso riconoscimento sul piano operativo e decisionale. Anche l’Alto Rappresentante è inserito in questa struttura, guidando un project team; l’impressione è, quindi, che questa carica sarà ben inserita nei lavori della Commissione, come dimostrato altresì dallo spostamento dei suoi Uffici al Berlaymont, nonostante la sua natura sicuramente atipica rispetto agli altri Commissari.

Vi è poi un’ulteriore livello gerarchico, dato dalla figura del “Primo Vice-Presidente”, l’olandese socialdemocratico Timmermans, che gode di un ruolo di coordinamento generale (mutatis mutandis, un COREPER?) che si aggiunge alla missione particolare del gruppo di lavoro che lui stesso dirige.

Non è (ancora) possibile esprimersi con precisione sui poteri attribuiti ai Vice-Presidenti e al Primo Vice-Presidente, né sulle prassi decisionali che potrebbe seguire il nuovo Collegio; questa ripartizione interna di competenze e responsabilità, infatti, non è stata ancora disciplinata compiutamente in un atto giuridicamente vincolante. Ciò potrebbe anche non avvenire: come si dirà nel prosieguo, questa scelta solleva questioni istituzionali delicate che, di conseguenza, potrebbe essere controproducente codificare dettagliatamente in un testo normativo. È vero, però, che il Presidente Juncker già ha redatto una bozza di decisione sull’organizzazione delle responsabilità dei membri della Commissione, mai pubblicata ufficialmente e fatta trapelare dal Financial Times; essa non si sofferma sulla composizione dei project teams e sui poteri dei Vice-Presidenti, ma ben potrebbe essere integrata in tal senso, magari invocando (un’interpretazione piuttosto spinta de) i poteri attribuiti al Presidente dall’art. 3, par. 4, del regolamento interno della Commissione circa la composizione di gruppi di membri della Commissione. D’altra parte, però, non può neanche escludersi che la nuova struttura interna possa anche essere sancita attraverso una formale modifica del regolamento interno della Commissione che quindi, ex art. 249 TFUE, dovrebbe essere discussa ed approvata dall’intero Collegio. In tal caso, dunque, non potrebbe neanche escludersi che tale passaggio collegiale porti a modifiche della stessa.

La nuova struttura interna

Ad ogni modo, dai documenti ora disponibili ed in attesa di una valutazione della prassi del nuovo Collegio, emerge chiaramente la volontà del Presidente di far supportare tutti i Vice-Presidenti dal Segretariato Generale e di attribuire loro un sostanziale potere di veto sulle iniziative legislative dei Commissari afferenti al proprio gruppo di lavoro, al fine di garantire uniformità e coerenza nei lavori della Commissione nel perseguimento di precise priorità. Il Presidente, infatti, si è impegnato a non inserire all’ordine del giorno – il potere di stabilire il medesimo, infatti, spetta a lui soltanto, ex art. 6 del regolamento interno della Commissione – le proposte legislative non provenienti da uno dei Vice-Presidenti. Al tempo stesso, però, nelle singole Mission Letters indirizzate ai singoli Commissari dal Presidente, quest’ultimo ha affermato di voler attribuire il medesimo privilegio al Primo Vice-Presidente; non è chiaro, dunque, se ciò sia solamente indicativo della posizione di primus inter pares di quest’ultimo o se, viceversa, questo sostanziale potere di veto – un macigno sul principio di collegialità – potrebbe, in realtà, essere attribuito a lui soltanto.

Per quanto concerne la composizione dei gruppi di lavoro (desumibile dalle Mission Letters, anche se uno schema indicativoè rinvenibile qui), va segnalato che essi, comunque, non sarebbero rigidamente definiti, ben potendo singoli dossier sollevare l’esigenza di coinvolgere anche Commissari formalmente inseriti in un altro team, oppure ben potendo più Commissari afferire a più gruppi di lavoro. Inoltre, la Vice-Presidente bulgara, incaricata di gestire il Budget e le Risorse umane, non avrebbe un vero e proprio gruppo di lavoro, interfacciandosi con tutti i Commissari, per l’evidente natura trasversale delle sue competenze.

Un vecchio progetto (per problemi quanto mai attuali)

Per quanto sicuramente innovativa nella sua realizzazione, l’idea di una Commissione costruita su gruppi di Commissari risale almeno ad un paio di decenni fa. Santer fu ostacolato nel compierla dai singoli Commissari; Barroso, già nel suo primo mandato, evitò del tutto di percorrere questa strada, probabilmente per evitare di creare situazioni di disparità con Stati membri che avevano appena aderito al progetto “comunitario”. In previsione dell’attuale rinnovo istituzionale, però, questa proposta è stata nuovamente avanzata da più parti (si vedano, soprattutto, le riflessioni della Robert Schuman Foundation, dello European Policy Centre, del gruppo Friends of the European Commission e di Notre Europe) nonché, a livello istituzionale, da una Risoluzione del Parlamento europeo appena precedente la tornata elettorale.

Da tempo, infatti, la Commissione soffriva di una eccessiva rigidità nella ripartizione di competenze tra le singole Direzioni Generali, che ostacolava l’efficace raggiungimento di priorità chiare che necessariamente implicavano le competenze assorbite da diversi portafogli. Questa situazione è stata sicuramente acuita dalle necessità decisionali generate dalla crisi economica, che, come noto, ha sensibilmente avvicinato le posizioni dei Paesi legati dalla valuta comune, aumentando, contemporaneamente, la distanza di questi ultimi dal blocco di Stati membri ancora fuori dall’Eurozona. Inoltre, la decisione del Consiglio europeo di non attuare la riduzione del numero dei Commissari per soddisfare le richieste irlandesi rispetto alla ratifica del Trattato di Lisbona ha sicuramente influito nella scelta di ricorrere, dopo molti anni di dibattiti, al rafforzamento dei poteri attribuiti ai Vice-Presidenti. Nella sua composizione a 28 membri, infatti, la Commissione deve inevitabilmente fronteggiare il rischio che le competenze dei singoli Commissari diventino “feudi” nazionali, con il conseguente indebolimento dell’intera Commissione rispetto a Consiglio e Parlamento in seno al processo decisionale.

In tal senso, alcuni aspetti della nuova struttura della Commissione appena nominata si pongono chiaramente in linea con tali considerazioni, e ben potrebbero concorrere a delineare una Commissione più compatta ed autorevole.

In primo luogo, i gruppi di lavoro sono stati evidentemente, ed in alcuni casi anche letteralmente, modellati sui punti individuati nell’Agenda strategia per l’Unione in una fase di cambiamento redatta dal Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2014 in occasione della nomina dello stesso Juncker. Dal momento che, per espressa previsione pattizia, la Commissione non può più pensare di dettare gli obiettivi politici di lungo periodo dell’Unione (competenza che spetta oggi al Consiglio europeo ex art. 15 TUE), garantire una chiara correlazione tra quanto convenuto in sede di Consiglio europeo e quanto concretamente e quotidianamente la Commissione debba proporre alle altre istituzioni è sicuramente un aspetto positivo. Inoltre, tutti i Vice-Presidenti, ad eccezione della già citata Commissaria bulgara, provengono da Paesi dell’Eurozona, circostanza che può meglio garantire che l’Unione economica e monetaria e le sue necessità siano effettivamente poste al centro del processo di integrazione. I Vice-Presidenti, ancora, provengono tutti da Paesi meno rilevanti sul piano geopolitico, con l’eccezione nostrana ed, in parte, del Primo Vice-Presidente, olandese; questa circostanza sembrerebbe comunque permettere agli Stati membri più piccoli di continuare a vedere nella Commissione, nonostante la sua struttura più gerarchica, l’istituzione che può ostacolare le grandi economie europee nel dettare autonomamente l’agenda dell’Unione.

Considerazioni critiche

Al netto di questi aspetti, rimane, di fondo, un fortissimo contrasto con il principio di collegialità, sancito chiaramente a livello pattizio (art. 17, par. 7 e 8, TUE) e sempre posto come limite al Presidente della Commissione nell’esercizio dei suoi poteri di organizzazione interna (art. 17, par. 6, TUE). La collegialità – che non implica per forza che ogni Stato membro possa esprimere un Commissario, o che questi ultimi siano di pari numero per tutti gli Stati, ma semplicemente che ogni Commissario sia su un livello di parità con gli altri sul fronte decisionale – è un pilastro dell’indipendenza della Commissione, una garanzia che essa persegua effettivamente la sua “funzione ministeriale di servizio del bene comune” (R. Baratta, Sulle fonti delegate ed esecutive dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione europea, 2011, p. 315) nonché una fonte di legittimità della posizione della Commissione in sede di negoziati.

Inoltre e più in particolare, c’è da chiedersi se questo sistema garantirà davvero un processo decisionale più efficiente ed un più efficace raggiungimento di priorità politiche ben definite. Esemplificativo, in tal senso, è (l’intricato) riparto di competenze in materia economica e monetaria e, nello specifico, in relazione al controllo sui bilanci nazionali per il rispetto dei vincoli di spesa. Il Commissario competente è il francese, socialdemocratico, Moscovici; il Vice-Commissario incaricato di coordinare le politiche relative all’euro ed al dialogo sociale è il lettone, conservatore, Dombrovskis (si noti, peraltro, che i popolari hanno espresso anche l’altro Vice-Presidente chiave in materia economica, ovvero il finlandese Katainen, a cui è stato affidato il compito di fornire all’Unione “a new boost for jobs, growth and investment” e che, pertanto, potrebbe coordinare anch’esso i lavori della DG di Moscovici). La questione del riparto delle competenze tra Moscovici e Dombrovskis ha suscitato non poche perplessità anche in fase di audizione parlamentare; la già menzionata bozza di decisione del Presidente sull’organizzazione delle responsabilità dei membri della Commissione contiene una disposizione ad hoc sul punto, che attribuisce ad entrambi il potere di proporre alla Commissione di prendere una decisione in materia di bilanci nazionali. Diverse questioni rimangono però aperte, come, ad esempio, la rappresentanza dell’Eurozona sul piano internazionale, o la partecipazione della Commissione ai lavori del Consiglio; da una lettera del Presidente Juncker al Parlamento europeo, sempre pubblicata dal Financial Times, emerge come, sostanzialmente, il riparto di competenze tra i due Commissari verrà definito pragmaticamente nel corso nel mandato.

In definitiva, la Commissione Juncker appare connotata da caratteri estremamente più politici, per la statura dei suoi Commissari, per la storica campagna elettorale del suo Presidente, per la sua struttura interna che riflette una chiara definizione di settori che vengono esplicitamente posti al centro del processo di integrazione. La scelta del nuovo Presidente a proposito della struttura interna della Commissione, resa quanto mai necessaria dalla decisione di non attuare la riduzione del numero di Commissari, propone un superamento, sostanziale anche se non formale, della piena parità di tutti i membri della Commissione. Questa è una scommessa che potrebbe rafforzare quest’ultima, così come minarne, nel lungo periodo, una delle caratteristiche vitali. Tuttavia, in un contesto di continuo cambiamento quale è quello della governance dell’Unione, il rischio andava probabilmente preso.


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