Tanto tuonò che piovve. Il Consiglio UE applica il regolamento condizionalità nei confronti dell’Ungheria

L’Ungheria è il primo Paese dell’UE a subire le sanzioni finanziarie previste dal regolamento 2020/2092 sulla condizionalità (GUUE L 433 del 22 dicembre 2020) che, in breve, consente all’UE di sospendere, ridurre o interrompere i pagamenti o specifici impegni finanziari nei confronti di uno Stato membro che pone in essere violazioni del principio dello Stato di diritto capaci di compromettere o che “rischiano seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela degli interessi finanziari dell’Unione” (art. 4, par.1). 

La procedura nei confronti dell’Ungheria è stata attivata dalla Commissione il 27 aprile 2022, a distanza di poche settimane dalla vittoria elettorale del 4 aprile 2022 di Victor Orban, confermato premier per il quarto mandato, con una notifica scritta nella quale al governo ungherese venivano contestate una serie di questioni relative ai rischi di corruzione presenti nel sistema degli appalti pubblici, in violazione dei principi dello Stato di diritto, in particolare certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo e separazione dei poteri. 

Le informazioni fornite dall’Ungheria entro i due mesi previsti dal regolamento 2020/2092 e integrate nei mesi successivi con chiarimenti e impegni di riforma nell’ambito delle misure correttive proposte, sono state ritenuti insufficienti dalla Commissione che il 18 settembre 2022 ha presentato una proposta di decisione di esecuzione del Consiglio relativa a misure di protezione del bilancio indicando quale misura “ragionevole” la sospensione del 65% degli impegni di bilancio di tre programmi operativi per il periodo 2021-2027 finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), dal Fondo di coesione (FC), dal Fondo per una transizione giusta (JTF) e dal Fondo sociale europeo Plus (FSE+) (COM(2022)0485). 

La proposta di decisione riguarda i fondi di coesione ma la Commissione richiamando nel documento le disposizioni connesse alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione del regolamento (UE) 2021/241 (GUUE L 57 18 febbraio 2021) ed in particolare l’art. 22, par. 1 (che impone agli stati membri di tutte le misure necessarie a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nell’attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza), ritiene che l’applicazione del regolamento condizionalità sia la procedura più idonea a tutelare il bilancio dell’Unione anche rispetto alle attività previste dal piano per la ripresa e la resilienza ungherese (PNRR), allora non ancora approvato. In tal senso, il 30 novembre 2022, la Commissione presentava una  proposta di decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del PNRR dell’Ungheria subordinando tuttavia la possibilità di presentare la prima richiesta di pagamento all’adozione di misure intese a rafforzare lo stato di diritto (COM (2022) 686). 

Le decisioni assunte dal Consiglio a maggioranza qualificata sia sulla sospensione dei fondi di coesione (decisione di esecuzione (UE) 2022/2506 in GUUE L 325 del 20 dicembre 2022) sia sull’approvazione del PNRR (CM 5860/22) giungono al termine di una procedura di voto scritta che ha impegnato le delegazioni degli Stati membri ad esprimersi anche in merito ad altri due atti legislativi per i quali era richiesta l’unanimità e rispetto ai quali l’Ungheria aveva posto il veto: una modifica del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 che consente all’UE di utilizzare il margine di manovra del bilancio dell’UE per l’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina nel 2023 e la direttiva intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione. Si noti che il PE ha espresso forte disappunto per l’atteggiamento delle autorità ungheresi deplorando il fatto che “continuano ad abusare della regola dell’unanimità dell’UE per bloccare decisioni cruciali con l’obiettivo di esercitare pressioni sulla Commissione e il Consiglio affinché sblocchino i fondi dell’UE, ritardando in tal modo il pacchetto di aiuti ucraino da 18 miliardi di EUR e l’aliquota minima globale dell’imposta sulle società” (Risoluzione del 24 novembre 2022 sulla valutazione del rispetto da parte dell’Ungheria delle condizioni relative allo Stato di diritto ai sensi del regolamento sulla condizionalità e lo stato di avanzamento del piano di ripresa e resilienza ungherese). In concreto, la votazione congiunta espressamente voluta dalla presidenza ceca, ha sbloccato i dossier sugli aiuti all’Ucraina e sulla tassa minima sui profitti delle multinazionali. Per contro, nei confronti dell’Ungheria è stata ridotta la percentuale della sospensione dei fondi di coesione proposta dalla Commissione nonché i fondi indicati (il 55 % degli impegni di bilancio previsti in tre programmi operativi, ambiente e efficienza energetica Plus; trasporto integrato Plus; sviluppo del territorio e degli insediamenti Plus, pari a circa 6,3 miliardi di euro) “in considerazione delle misure implementate” e “del grado di collaborazione” mentre l’erogazione dei pagamenti nell’ambito del PNRR resta condizionata al completamento di ventisette riforme istituzionali intese a contrastare la corruzione e a rafforzare l’indipendenza della magistratura ungherese. 

Pur restando in attesa di vedere se Budapest darà seguito all’attuazione delle riforme richieste, è bene rilevare che l’adozione di queste decisioni è innanzitutto un traguardo importante rispetto alle complesse vicende che hanno riguardato la genesi del regolamento condizionalità decretando una ferma volontà delle istituzioni a perseguire la tutela dello stato di diritto nell’UE. Ricordiamo, infatti, in relazione all’iter legislativo che Ungheria e Polonia si erano decisamente opposte all’adozione del regolamento ma non potendo impedirne l’approvazione, in quanto l’art. 322, par. 1, TFUE, che ne è la base giuridica, prevede la maggioranza qualificata, avevano negato il voto favorevole all’adozione del piano finanziario pluriennale 2021-2027 e del piano Next Generation EU, per la cui approvazione era invece richiesta l’unanimità costringendo a modifiche e interpretazioni del regolamento che di fatto ne hanno diluito l’efficacia rispetto alla proposta originaria. Successivamente, anche l’applicazione del regolamento condizionalità ha subito dei ritardi a causa dei ricorsi di annullamento presentati da Polonia e Ungheria, respinti con le sentenze del 16 febbraio 2022 (C-156/21 Ungheria c. Parlamento e Consiglio e C-157/21 Polonia c. Parlamento e Consiglio) ritenendo la Corte che il regolamento fosse stato adottato sul fondamento di una base giuridica adeguata, ovvero l’art. 322, par. 1, a) TFUE; che lo stesso è compatibile con la procedura prevista all’art. 7 TUE in quanto non istituisce una procedura parallela a quella da questo prevista; e che, più in generale, il regolamento rispetta i limiti delle competenze attribuite all’Unione e il principio della certezza del diritto.  Infine, è seguita l’adozione da parte della Commissione degli orientamenti sull’applicazione del regolamento 2020/2092, in quanto condizione necessaria decretata nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020.   

L’applicazione del regolamento 2020/2092 d’altro canto presenta un ulteriore aspetto di particolare rilievo ovvero quello di riportare l’accertamento delle violazioni della rule of law a livello istituzionale laddove sino ad oggi, complice il fallimento della procedura di cui all’art. 7 TUE (sul punto cfr. da ultimo la risoluzione del PE del 15 settembre 2022), l’esame ha avuto luogo sul piano giurisdizionale, generando un pericoloso contrasto fra la Corte di giustizia e le Corti costituzionali sul tema del primato del diritto UE (cfr. in questa Rivista, 2021).  

In quest’ottica, sebbene, non è dato sapere se, in concreto, il meccanismo di condizionalità finanziaria saprà contrastare le derive illiberali poste in essere da alcuni Stati membri, certo ha dimostrato di poter incanalare la scontro sui principi dello Stato di diritto in un dialogo tra governi nazionali e istituzioni UE che sebbene non disgiunto da valutazioni di ordine politico (cfr. in particolare la posizione della Polonia in A. Grimaldi, G. Gioia Il senso dello Stato di diritto per l’Unione: l’approvazione del PNRR polacco nelle urgenze della guerra) riconduce la possibile risoluzione della crisi a quell’approccio funzionalista proprio del processo d’integrazione europea.  


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