Prime osservazioni sul regolamento che istituisce la Procura Europea

1. Introduzione

Il Consiglio dell’Unione europea ha approvato il 12 ottobre scorso il regolamento relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea che sarà applicabile in venti Stati membri. Specificatamente, in Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia. Gli altri Stati membri, ai sensi dell’art. 328, par. 1, TFUE, potranno aderire successivamente, previo il rispetto degli atti eventualmente già adottati.

Affinché la Procura europea sia effettivamente operativa sono previsti tempi molto lunghi che si aggiungono a quelli che, come noto, hanno preceduto la sua approvazione; infatti, nell’art. 120 del regolamento è espressamente stabilito che essa assumerà i compiti di indagine e di azione penale non prima di tre anni a partire dalla sua adozione.

È utile ricordare che l’istituzione dell’Ufficio del pubblico ministero europeo, noto anche come EPPO(acronimo dell’inglese European public prosecutor’s office), è previsto dall’art. 86, par. 1, TFUE, al fine di contrastare le frodi al bilancio dell’Unione, tra cui particolarmente rilevanti sono quelle transnazionali sull’Iva. Nel corso dei difficili negoziati volti a definire il campo di azione, gli obiettivi e l’organizzazione della Procura europea, l’ambizione originaria di farne un organo inquirente sovranazionale si è spesso scontrata con l’opposizione di molti Paesi membri, che, in forza di una rinnovata ritrosia, si sono avvalsi della clausola di cd. opt-out. Invero, le resistenze a cedere la sovranità nazionale in campo giudiziario hanno fatto sì che, il 7 febbraio 2017, il regolamento non registrasse, in seno al Consiglio, l’unanimità (richiesta dall’art. 86 TFUE) a sostegno della proposta. Ed è stato necessario procedere ad un vero e proprio “annacquamento” dei compiti e delle modalità di azione originariamente affidati all’organo. In realtà, si è abbandonata l’idea di un “Ufficio europeo” con il potere di indagare su tutto il territorio dell’Unione e di esercitare l’azione penale davanti al Tribunale di una giurisdizione nazionale prescelta, finendo per sostenere un meno invasivo “collegio” di pubblici ministeri designati dai governi nazionali, preposto al solo coordinamento delle attività di indagine e di accusa condotte nei e dai singoli Stati membri.

Va rammentato altresì che il governo italiano si era opposto a questa oggettiva rivisitazione del progetto originario. Tant’è che, ad inizio anno, quando in mancanza delle condizioni per un’approvazione unanime, sedici Paesi hanno deciso di dare vita alla nuova Procura europea, sfruttando il meccanismo delle c.d. cooperazioni rafforzate, l’Italia aveva scelto di non partecipare. Solo all’indomani di un incontro con Francia e Germania, il rifiuto del Governo italiano è stato superato e ora, come anticipato, sono venti gli Stati che parteciperanno alla Procura europea. Tra di essi l’Italia, in particolare, si è fatta portatrice di una proposta di grande rilievo, chiedendo l’estensione della competenza del nuovo Ufficio ai reati di terrorismo, sinora limitata, come anticipato, alla sola difesa degli interessi finanziari dell’Unione Europea, come espressamente stabilito dall’art. 86 TFUE.

Il fondamento logico-giuridico dell’EPPO rispecchia le motivazioni avanzate dalla Commissione (COM 2013(534)), che si fondano principalmente sulla necessità, da un lato, di assicurare una tutela più pregante agli interessi finanziari dell’Unione e, dall’altro, di ovviare alle deficienze funzionali degli organismi dell’Unione, quali Eurojust ed Europol, dedicati alla cooperazione giudiziaria in materia penale ed alla cooperazione di polizia, e OLAF, preposto alle indagini ammnistrative sulle eurofrodi, dotati solo di poteri di impulso e di coordinamento delle azioni degli organi giurisdizionali dei singoli Stati membri.

Sotto il primo aspetto, il nuovo regolamento evidenzia, conformemente alla proposta delle Commissione, che allo stato, nonostante gli sforzi profusi dagli Stati membri e dall’Unione, il sistema attuale non tutela adeguatamente gli interessi finanziari dell’Unione. Ciò è dovuto ad un concorso di cause: in primis, le indagini e le azioni penali riguardanti i reati a danno dei fondi UE sono di competenza esclusiva degli Stati membri, non avendo l’Unione di fatto alcun potere di intervento in caso di distrazione a fini illeciti di tali risorse; in secundis, le indagini penali relative a casi di frode lesive degli interessi finanziari sarebbero ostacolate dalle differenze degli ordinamenti nazionali e dalla disomogeneità delle attività di contrasto negli Stati membri. In particolare, il tasso di successo delle azioni penali, riguardanti i reati a danno del bilancio dell’UE, sarebbe compromesso dalla mancanza di risorse nazionali e dalla frequente necessità di raccogliere prove al di fuori dal territorio nazionale. A tanto si aggiunga che le autorità giudiziarie e di polizia degli Stati membri sarebbero in grado di agire solo entro i confini nazionali, incontrando invece forti limitazioni rispetto alla capacità di trattare reati di dimensione transfrontaliera. Pertanto, in ottemperanza al principio di sussidiarietà, il regolamento, dopo aver constatato l’incapacità delle autorità statali responsabili delle indagini penali e dell’azione penale di garantire un livello equivalente di protezione e contrasto, ritiene che l’Unione non solo è competente, ma ha anche l’obbligo di intervenire.

Per quanto concerne il secondo profilo critico evidenziato dalla Commissione, a sostegno della istituzione dell’EPPO, le agenzie di Europol, Eurojust e OLAF, non sono legittimate a svolgere indagini o avviare azioni penali negli Stati membri, sicché mancherebbe tra i loro compiti la possibilità di intraprendere attività strettamente operative.

2. Le competenze della Procura europea

Aggiungendosi, senza sostituirsi agli organismi già esistenti, il pubblico ministero europeo garantirà comunque una stretta cooperazione e uno scambio efficace di informazioni tra le autorità europee e le autorità nazionali competenti, onde aumentare l’effetto dissuasivo sulla commissione dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

Non solo. Alla luce delle criticità emerse nel contrasto dei fenomeni criminosi lesivi degli interessi finanziari dell’UE, l’istituzione della Procura europea mira a realizzare plurimi obiettivi: innanzitutto, quello di introdurre un sistema europeo coerente di indagine e azione penale per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, offrendo un contributo concreto a rafforzare la tutela di tali interessi e lo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e ad accrescere la fiducia delle imprese e dei cittadini dell’Unione nelle sue istituzioni, nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Più precisamente, per quanto riguarda la competenza materiale, l’art. 22 del regolamento espressamente rinvia alla direttiva (UE) 2017/1371 sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione (direttiva PIF). Tale direttiva include, fra l’altro, le frodi all’IVA, anche se limitatamente alle ipotesi in cui le relative condotte siano connesse al territorio di due o più Stati membri e comportino un danno complessivo pari alla considerevole cifra di almeno 10 milioni di EUR, le condotte di corruzione attiva e passiva e quelle di appropriazione indebita che ledano gli interessi finanziari dell’Unione, nonché quelle di partecipazione ad un’organizzazione criminale (di cui alla decisione quadro 2008/841/GAI), quando l’attività dell’organizzazione criminale sia incentrata sulla commissione dei reati PIF.

Va notato che il regolamento, affidando all’attuazione che daranno gli Stati membri alla direttiva PIF, il compito di individuare e definire i reati oggetto della competenza della Procura europea, apre la strada ad un’armonizzazione minima che, senza dubbio, nuoce alla stessa Procura europea e pregiudica l’uniformità del funzionamento del sistema.

Con specifico riferimento poi all’opportunità di limitare l’azione di un organo tanto potente alla tutela del solo bilancio dell’Unione, tuttavia, già all’indomani della presentazione della proposta della Commissione, da più parti (Cfr. ex multis S. Allegrezza, Verso una procura europea per tutela gli interessi finanziari dell’Unione, in Dir. Pen. Con. del 31 ottobre 2013; R. Sicurella, Il diritto penale applicabile dalla Procura europea: diritto penale sovrannazionale o diritto nazionale armonizzato? Le questioni in gioco, in Dir. Pen. Con. del 17 dicembre 2013; S. Monici, Botta e risposta sulla Procura europea tra il Sottosegretario alla Giustizia e l’Unione delle Camere Penali. Resta ancora lontana la sua realizzazione? su questa rivista) era stato evidenziato come vi fossero anche altri delicatissimi settori che giustificherebbero un’azione investigativa centralizzata. Basterebbe pensare, a titolo meramente esemplificativo, al terrorismo, alla tratta di esseri umani, al traffico illecito di organi, alla pedopornografia digitale, tutti reati caratterizzati da transnazionalità, difficili da contrastare con un’azione repressiva esclusivamente nazionale. Era, pertanto, preferibile che la competenza della Procura europea fosse stata estesa “alla lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale”, così come previsto dall’art. 86, par. 4, TFUE. Nondimeno, l’ostacolo all’estensione della competenza ratione materiae è insito nel dettato dell’art. 86 TFUE, che richiede necessariamente una decisione unanime del Consiglio per ampliare le attribuzioni della Procura europea alla “lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale”. Vale a dire che manca, per quest’ipotesi di estensione di competenza, un’esplicita alternativa all’unanimità in termini di cooperazione rafforzata fra alcuni Stati membri. Invero, la previsione dell’unanimità fa sorgere taluni dubbi, in quanto avendo imboccato la strada della cooperazione rafforzata, non ha senso ritenere che gli Stati non partecipanti possano ostacolare l’ampliamento delle attribuzioni della Procura europea alla cui istituzione hanno scelto di non aderire.

Ciò posto, conformemente al principio di proporzionalità, il regolamento si limita a fissare una cornice molto generale, da integrare costantemente con il diritto nazionale dello Stato in cui il procuratore europeo sta agendo, in un sistema di competenze concorrenti tra l’EPPO e le autorità nazionali, basato sul diritto di avocazione dell’EPPO, in un armonico e reciproco sostegno e scambio di informazioni (coerentemente al principio di leale collaborazione).

3. La struttura e l’indipendenza della Procura europea

Sul versante strutturale, il testo del regolamento ex art. 3 prevede che la Procura europea sia istituita quale nuovo organo dell’Unione indipendente e dotato di personalità giuridica con una duplice anima, in grado di consentire un processo decisionale rapido ed efficiente nello svolgimento delle indagini e dell’azione penale che coinvolgono uno o più Stati membri. In particolare, l’EPPO sarà organizzata su un livello centrale, costituito dal collegio, da un procuratore capo europeo e da due suoi sostituti, dalle camere permanenti, dai procuratori europei e dal direttore amministrativo, e su un livello decentrato, costituito dai procuratori europei delegati (PED) aventi sede negli Stati membri (art. 8).

Emerge così il sistema del cd. “doppio cappello”: infatti, i PED sono e restano pubblici ministeri incardinati nei sistemi nazionali, ma quando agiscono come membri dell’EPPO sono sottoposti alla «autorità esclusiva del procuratore europeo e si attengono alle sue sole istruzioni, linee guida e decisioni» (art. 13).

In dettaglio, a livello delle competenze funzionali, il procuratore capo europeo costituisce il vertice dell’EPPO, ne dirige e ne organizza l’attività. Il collegio dei PED, ai sensi dell’art. 9, formato dal procuratore capo europeo e da un procuratore per Stato membro, istituisce le camere permanenti (su proposta del procuratore capo europeo), definisce le priorità e la politica dell’EPPO in materia di indagini e azione penale, nonché su questioni di ordine generale derivanti da singoli casi (per esempio in merito all’applicazione del regolamento, alla corretta attuazione della politica dell’EPPO in materia di indagini e azione penale o a questioni di principio o di notevole importanza per lo sviluppo di una politica coerente dell’EPPO in materia di indagini e azione penale). Le camere permanenti di cui al successivo art. 10, presiedute dal procuratore capo europeo, da uno dei sostituti del procuratore capo europeo o da un PED, invece, indirizzano e monitorano le indagini, assicurando coerenza alle attività dell’EPPO. Infine, i procuratori europei supervisionano lo svolgimento delle indagini di competenza dei PED (art. 12).

L’ufficio, così composto, mostra una forte verticalizzazione interna, tanto che lo svolgimento delle indagini e l’esercizio dell’azione penale, affidati in primis ai PED, possono essere oggetto di avocazione ogni qual volta il Procuratore capo europeo lo reputi necessario, considerata la gravità del reato, le circostanze particolari del caso o su sollecitazione delle autorità nazionali.

I PED, conformemente all’art. 13, nello svolgimento della loro attività, devono seguire le istruzioni fornite dalle camere permanenti e dal procuratore europeo e, laddove dovessero rilevare che talune istruzioni si pongano in contrasto con la legislazione nazionale, comportando l’adozione di un provvedimento ad essa non conforme, dovranno chiederne il riesame al procuratore capo europeo.

La procedura di nomina del procuratore capo europeo e dei procuratori europei deve garantirne l’indipendenza. La loro legittimazione deve discendere dalle istituzioni dell’Unione coinvolte nella procedura di nomina.

La scelta del Procuratore capo europeo viene lasciata al Consiglio di comune accordo con Parlamento europeo, nell’ambito di una rosa di candidati selezionati dalla Commissione, con il supporto di un comitato di selezione, sulla base di candidature personali presentate in seguito alla pubblicazione del relativo invito sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, per un mandato non rinnovabile di sette anni. Il Consiglio delibera a maggioranza semplice. Per la nomina si richiede la garanzia di piena indipendenza, il godimento delle condizioni richieste per l’esercizio delle alte funzioni giurisdizionali ed una grande esperienza in tema di indagini ed azione penale.

I due sostituti del procuratore capo europeo sono nominati dal collegio per un mandato rinnovabile di tre anni di durata non superiore a quella dei loro mandati di procuratore europeo. Infine, i procuratori europei sono selezionati e nominati dal Consiglio, ricevuto il parere motivato del comitato di selezione, in numero di uno per ciascuno Stato membro, a cui compete designare almeno tre candidati, per un mandato non rinnovabile di sei anni. Al termine di suddetto periodo il Consiglio può decidere di prorogare il mandato di ulteriori tre anni.

La revoca dell’incarico dei membri dell’EPPO inadempienti, negligenti o macchiatisi di colpa grave è compito esplicitamente assegnato alla Corte di giustizia.

Diversa la procedura per la nomina dei procuratori europei delegati: è il collegio a nominarli su proposta del Procuratore capo europeo e la scelta avviene fra tre candidati selezionati dagli Stati membri. Una volta nominati, tali procuratori rispondono solo al Procuratore europeo, che può revocare il loro incarico o impedire la loro revoca qualora siano gli Stati membri a chiederla. Ad ogni modo, per assicurare l’agevole svolgimento delle attività di indagine per le fattispecie che investono gli interessi finanziari dell’Unione, il regolamento prescrive che ciascuno in Stato membro ci siano due o più PED.

L’indipendenza della Procura europea (in tutte le sue articolazioni) rispetto ad eventuali indicazioni o influenze da parte di Stati membri, istituzioni, organi o organismi dell’Unione, o di qualunque altro soggetto, è garantita dall’articolo 6 del regolamento. Il legislatore europeo prevede, d’altro canto, che la Procura europea risponda delle attività generali al Parlamento europeo, al Consiglio, e alla Commissione europea, mediante gli strumenti previsti dall’art.:

– la trasmissione al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali, nonché al Consiglio e alla Commissione di una relazione annuale sulle sue attività generali;

– l’audizione, una volta all’anno, del procuratore europeo dinanzi al Parlamento europeo e al Consiglio per rendere conto delle attività generali della Procura europea (tenendo conto dell’obbligo del segreto e della riservatezza);

– su richiesta, l’audizione presso la Commissione;

– la possibilità che i Parlamenti nazionali invitino il procuratore europeo o i PED a partecipare a uno scambio di opinioni sulle attività generali della Procura europea.

4. L’esercizio delle competenze della Procura europea

Sotto il profilo procedurale, le autorità nazionali competenti, ma anche fonti private in taluni casi, devono comunicare all’EPPO senza ritardo i fatti di cui vengano a conoscenza suscettibili di ledere il bilancio dell’Unione. La segnalazione, a norma dell’art. 24, par. 4 del regolamento deve connotarsi di un contenuto minimo necessario, esponendo la descrizione dei fatti con una valutazione del danno effettivo o potenziale, una possibile qualificazione giuridica e qualsiasi informazione utile ai fini della identificazione di potenziali vittime, dell’indagato e di qualsiasi altra persona coinvolta.

Se, a seguito della segnalazione, conformemente al diritto nazionale, sussistono ragionevoli motivi per ritenere che sia stato commesso un reato suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell’UE e, dunque, di competenza dell’EPPO, un PED nello Stato membro avvia un’indagine e lo annota nel sistema informatico di gestione dei fascicoli (art.26).

Sul punto, il regolamento stabilisce, all’art. 26, par. 4 che un caso normalmente è aperto e trattato da un PED nello Stato membro in cui si trova il centro dell’attività criminosa o, in caso di pluralità di reati, nello Stato membro ove è stata commessa la maggior parte di essi. Un PED di un altro Stato membro può essere incaricato di svolgere indagini solo qualora una deviazione dalla previsione normativa precedente sia giustificata dai criteri puntualmente indicati dal legislatore europeo, in ordine di priorità, quali il luogo di residenza abituale dell’indagato o dell’imputato; la nazionalità dell’indagato o dell’imputato; il luogo in cui si è verificato il danno finanziario principale.

Inoltre, per assicurare l’efficienza delle indagini penali e il rispetto del principio del ne bis in idem può essere necessario, in alcuni casi, estendere le indagini ad altri reati ai sensi del diritto nazionale, qualora questi ultimi siano indissolubilmente connessi a un reato che lede gli interessi finanziari dell’Unione. La nozione di“reati indissolubilmente connessi” si ricava alla luce della relativa giurisprudenza (fra le pronunce più rilevanti, causa C-436/04, Van Esbroeck; causa C-467/04, Gasparini; causa C-150/05, Van Straaten; causa C-288/05, Kretzinger; causa C-617/10, Fransson) che, per l’applicazione del principio del ne bis in idem, adotta come criterio pertinente l’identità dei fatti materiali (o fatti sostanzialmente identici), intesa come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro nel tempo e nello spazio.

Nel perseguimento delle fattispecie criminose lesive degli interessi finanziari dell’Unione, in ogni caso, la competenza dell’EPPO deve essere considerata prevalente rispetto alle eventuali rivendicazioni delle competenze nazionali, sicché in relazione ad esse gli Stati membri devono astenersi da qualsivoglia azione, fatta salva la necessità di adottare misure eccezionali, fino a che la Procura europea non abbia deciso se svolgere o meno le opportune indagini.

Inoltre, in caso di disaccordo sulle questioni relative all’esercizio di competenza, è opportuno che siano le autorità nazionali competenti a decidere in merito all’attribuzione della stessa.

Le indagini e l’azione penale dell’EPPO dovrebbero informarsi ai principi di proporzionalità, imparzialità ed equità nei confronti dell’indagato o dell’imputato. Ciò implica l’obbligo di raccogliere tutti i tipi di prova, sia a carico che a discarico, di propria iniziativa o su richiesta della difesa.

A tal fine, quanto alle misure investigative, il regolamento prescrive l’indispensabilità della regola per cui l’organo possa fare ricorso ad un insieme minimo di misure investigative (perquisizioni, congelamento di strumenti o proventi di reato, intercettazioni… ), suscettibile di essere integrato ove sia necessario, e possa ricorrere a tutti gli strumenti giuridici utili nell’ottica del reciproco riconoscimento e della cooperazione transfrontaliera, almeno nei casi in cui il reato oggetto d’indagine è soggetto ad una pena massima di quattro anni di reclusione (art. 30). In materia di libertà personale, inoltre, l’art 33 stabilisce che i PED competenti, conformemente al diritto nazionale applicabile, potranno disporre misure cautelari personali, anche tramite lo strumento del mandato di arresto europeo.

Tali disposizioni, tuttavia, non affrontano la materia nel dettaglio, avendo il legislatore europeo, in linea di massima, optato per il rinvio al diritto nazionale: in particolare, per le misure investigative con più alta capacità di compressione delle garanzie di libertà dell’individuo deve essere comunque previsto dagli ordinamenti nazionali che sia necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente dello Stato membro in cui tali misure devono essere eseguite. Per le altre misure investigative (meno invasive della sfera individuale) la necessità di autorizzazione giurisdizionale è rimessa al diritto nazionale.

Non appare pienamente condivisibile, per la scarsa portata innovativa, la scelta della lex loci quale criterio unico per determinare la legge applicabile alle attività d’indagine, per cui è la normativa nazionale del luogo in cui la misura deve essere adottata a stabilire i presupposti di adozione, l’esecuzione e l’eventuale impugnazione della stessa. Questo implica la rinuncia non solo ad una disciplina parzialmente uniforme, ma anche una retrocessione rispetto a quanto previsto dalla proposta di direttiva sull’ordine europeo d’indagine penale. Quest’ultimo strumento, pur con alcune cautele, riconosceva una validità europea alle decisioni relative alle indagini da compiere. Il principio di territorialità europea, riconosciuto dal regolamento all’art. 23, secondo cui il territorio degli Stati membri dell’Unione è considerato un unico spazio giuridico in cui la Procura europea può esercitare la sua competenza, attiene esclusivamente all’estensione geografica dei poteri dell’organo, ma non legittima l’uso del diritto interno oltre i confini nazionali. Sarà il risultato probatorio a circolare, non le regole per la sua acquisizione, con la conseguenza di non poco conto che l’inquirente europeo raccoglie atti d’indagine formati secondo norme nazionali diverse. Pertanto, se è innegabile che il principio della lex loci presenti il vantaggio di un centenario rodaggio e non chiede al giudice di applicare un diritto diverso dal proprio, che sia europeo o straniero, è pur vero che esso non risolve il problema delle indagini transnazionali, poiché al superamento della frontiera esso postula il mutamento del sistema di riferimento, con un ovvio aggravio delle procedure e con la dubbia utilizzabilità delle prove raccolte. Viene ancora una volta in rilievo il tema della diversità delle regole processuali nei diversi Stati membri: invero, non tutti gli ordinamenti hanno optato per un rito che, in ossequio al principio di oralità e del contraddittorio nella formazione della prova, prevede una scissione netta tra la fase delle indagini e quella del contraddittorio, come quella costituzionalizzata nell’ordinamento italiano. Nell’ambito del processo penale italiano, infatti, difficilmente supererebbero il vaglio di ammissibilità elementi di prova dichiarativa raccolti nella fase delle indagini, dato che il diritto di difesa nel nostro ordinamento è inteso quale diritto alla formazione della prova in contraddittorio.

5. Segue: l’azione penale.

All’esito delle indagini la decisione dell’inquirente europeo può concludersi seguendo strade diverse: l’esercizio dell’azione penale, l’archiviazione, il rinvio del caso o l’esercizio di una procedura semplificata di azione penale, nota anche come “compromesso” (art. 35).

In particolare, la Sezione Terza, del Capo V, del regolamento de quo, attribuisce alla Procura europea l’esercizio dell’azione penale; ciò implica la formulazione di capi d’accusa nei confronti dell’indagato o dell’imputato e la scelta dello Stato membro i cui organi giurisdizionali saranno competenti a procedere. Tali poteri, tuttavia, potranno essere esercitati da parte dell’EPPO solo davanti le autorità giurisdizionali degli Stati e solo nel caso in cui la condotta oggetto di indagine sia stata posta in essere nel territorio di tali Stati oppure da un loro cittadino, con l’inevitabile conseguenza che permarrà la frammentazione dell’azione repressiva. Ciononostante, non può essere taciuto il vantaggio di indagini penali condotte da un unico Ufficio che abbia una visione dei fatti più completa e che sia capace di raccogliere le prove necessarie in tutti i Paesi coinvolti, anche in quelli out, con maggior facilità rispetto alle autorità nazionali.

La decisione di incriminare l’indagato o l’imputato, in linea di principio, deve essere adottata dalla camera permanente competente sulla base di un progetto di decisione del PED, onde garantire una politica comune in materia di azione penale.

La camera permanente (come previsto dall’art. 36) dovrà prendere una decisione entro 21 giorni dal ricevimento del progetto di decisione, anche richiedendo ulteriori prove, prima di decidere di esercitare o no l’azione penale dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale, di disporre un rinvio del caso, una archiviazione o una procedura semplificata di azione penale, ai sensi degli artt. 34, 39 o 40. Decorso il termine indicato, la proposta di decisione si intende comunque accettata.

Nondimeno, se il PED richiede espressamente che il caso al suo esame sia portato in giudizio, la camera permanente non potrà disporne l’archiviazione.

Proprio l’archiviazione è qualificata dal legislatore europeo, all’art. 39, come l’alternativa all’esercizio dell’azione penale, qualora quest’ultima sia divenuta impossibile per il diritto dello Stato membro del PED incaricato del caso. In particolare, si segnala che tra i motivi fissati dal regolamento per l’archiviazione, in linea di massima corrispondenti alle cause di archiviazioni più diffuse negli ordinamenti nazionali, figurano la morte dell’indagato o dell’imputato; l’infermità mentale dell’indagato o dell’imputato; l’amnistia concessa all’indagato o all’imputato; la mancanza di prove pertinenti; la scadenza del termine previsto dalla normativa nazionale per l’esercizio dell’azione penale; la mancanza di prove pertinenti e la pronuncia del provvedimento definitivo nei confronti dell’indagato o dell’imputato in relazione ai medesimi fatti.

Quando il caso è archiviato, la Procura europea, ai sensi dell’art. 39, par. 4, ne dà comunicazione ufficiale agli organi europei e alle competenti autorità nazionali, nonché, ove opportuno, all’imputato o all’indagato e alle vittime. Nel caso da ultimo menzionato, non è tuttavia escluso che la fattispecie sia rinviata all’OLAF per un seguito amministrativo di altro tipo.

Al termine delle indagini, tuttavia, l’art. 40 prescrive che se la disciplina nazionale lo prevede, il procuratore incaricato potrebbe proporre alla camera permanente competente di procedere per mezzo di una procedura semplificata di azione penale per l’adozione del provvedimento definitivo (cd. compromesso). In tale evenienza, la camera permanente adotta una decisione tenendo conto dei seguenti motivi: la gravità del fatto e del danno arrecato, la volontà dell’indagato di riparare il danno e la conformità dell’uso della procedura ai principi generali e agli obiettivi dell’EPPO.

A fare da cornice alla normativa menzionata, una apposita sezione (Capo VI) è dedicata al rispetto dellegaranzie difensive e alla doverosa osservanza delle Carte dei diritti e delle direttive sulla tutela dell’imputato (la direttiva 2010/64/UE, 2012/13/UE, 2013/48/UE, la direttiva (UE) 2016/343, (UE) 2016/1919, del Parlamento europeo e del Consiglio quali attuate dal diritto nazionale), stabilendo, all’art. 41, che dei diritti ivi previsti, come pure dei diritti previsti dal diritto nazionale di chiedere la nomina di periti o l’escussione di testimoni ovvero che l’EPPO produca in altro modo prove per conto della difesa, dovrebbe beneficiare qualunque indagato o imputato in relazione al quale l’EPPO avvia un’indagine.

Le attività della Procura europea, pertanto, devono svolgersi secondo modalità che siano pienamente conformi al diritto ad un giudice imparziale, al diritto di difesa e alla presunzione di innocenza sanciti dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali. L’art. 50 della Carta, inoltre, che tutela il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato (ne bis in idem), garantisce che l’azione penale promossa dall’EPPO non porti ad una doppia condanna.

6. Il controllo giurisdizionale sugli atti della Procura europea

Quanto al controllo giurisdizionale sugli atti procedurali dell’EPPO, suscettibili di produrre effetti nella sfera giuridica di terzi, esso è affidato alle regole e agli organi giurisdizionali nazionali: la previsione normativa, di cui all’art. 42, sembrerebbe sottrarre l’attività di indagine e di azione penale condotta da un organo europeo al controllo della Corte di Giustizia a ciò deputata, ma fa salva la possibilità che gli organi nazionali sottopongano questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia, qualora nutrano dubbi in ordine alla legittimità degli atti di indagine in relazione al diritto UE, con esclusione dei casi relativi all’applicazione delle regole processuali nazionali e delle disposizioni interne di recepimento delle direttive europee.

Invero, risulta difficile condividere la scelta di riconoscere natura nazionale dell’EPPO, ai fini del controllo giurisdizionale. Di certo, sarebbe stato preferibile affidare tale sindacato alla Corte di Giustizia o ad un tribunale specializzato istituito ad hoc ai sensi dell’art. 257 TFUE. A tale Tribunale avrebbe potuto essere attribuito, ad esempio, il contenzioso relativo alla verifica della conformità degli atti investigativi compiuti dal Procuratore europeo alle norme contenute nel regolamento che ne disciplina l’azione.

Peraltro, dotare la Corte di giustizia della competenza sul controllo giurisdizionale dell’operato dell’EPPO, avrebbe recato con sé il grande vantaggio di avere una giurisprudenza coerente sulle fattispecie relative alla lesione degli interessi finanziari dell’UE, tale da assicurare un’uniforme interpretazione della normativa rilevante.

Va pure sottolineato che, contrariamente a quanto suggerito dal Parlamento europeo (Risoluzione del Parlamento europeo, del 29 aprile 2015, sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea), né la risoluzione dei conflitti di giurisdizione tra organi giudicanti nazionali e il Procuratore europeo controversie, né le controversie relative all’archiviazione sono state attribuite alla Corte di giustizia.

La regolarità e l’efficace svolgimento delle operazioni investigative è, infine, assicurata dalle previsioni in materia di protezione dei dati personali e dalla necessità che tutti gli Stati membri siano affiliati all’INTERPOL, per uno scambio dei dati personali che sia rispettoso del diritto e delle libertà fondamentali attinenti allo scambio automatizzato degli stessi. Al monitoraggio affidabile e coerente dell’applicazione e del rispetto del regolamento è, infatti, preposto il garante europeo della protezione dei dati, che a tal fine può esercitare poteri di indagine, consultivi e correttivi.

7. Alcune questioni irrisolte

L’istituzione dell’EPPO porta con sé una serie di interrogativi e taluni dubbi. In primis, non possono essere ignorate le controindicazioni derivanti da tale istituzione attraverso il ricorso alla cooperazione rafforzata, non solo sotto il profilo dell’uniforme applicazione del diritto dell’UE, ma anche per quel che riguarda l’efficace protezione degli interessi finanziari dell’Unione (Cfr. M. Fidelbo, La cooperazione rafforzata come modalità d’istituzione della Procura europea. Scenari futuri di un dibattito ancora in evoluzione, in Dir.Pen.Cont.  2016, 3, pp. 92-125). Infatti, va rilevato che il processo di repressione delle fattispecie lesive degli interessi finanziari dell’UE rischia di rimanere confinato tra gli Stati partecipanti all’EPPO. Sotto questo aspetto, l’istituzione della Procura europea metterà alla prova l’operatività del principio del mutuo riconoscimento, che dovrà essere sostenuto dalla condivisione da parte degli Stati out e dovrà essere agevolato dalla stipula di accordi tra essi e il nuovo organo (sulla rilevanza, in tale contesto, del principio, cfr. M Fidelbo, op.cit., p.102). Pertanto, sugli Stati out incombe l’onere di mettere in atto un importante sforzo di collaborazione in virtù dell’obbligo gravante su di essi dall’art. 325 TFUE di combattere le attività lesive degli interessi finanziari dell’Unione, di quello, sancito dall’art. 327 TFUE, di non ostacolare la regolare attuazione della cooperazione rafforzata da parte degli Stati membri partecipanti, nonché del più generale obbligo di leale cooperazione di cui all’art. 4, par.3 TUE.

In secundis, com’è stato opportunamente rilevato (cfr. M. Fidelbo, op. cit.,p.104), occorre interrogarsi circa la validità di un’azione penale europea esercitata solo davanti ad alcune giurisdizioni nazionali e sulle prospettive che si profileranno dinanzi ad una disciplina giuridica applicabile e vincolante solo in alcuni Stati membri.

Particolari questioni applicative potrebbero sorgere quando, nella repressione di reati transfrontalieri, le misure investigative devono essere eseguite in uno Stato membro diverso da quello in cui l’indagine è stata avviata e non partecipante alla cooperazione rafforzata. In tali circostanze, il PED titolare delle indagini e che ha disposto il loro avvio non potrebbe fare affidamento sulla collaborazione del suo omologo dello Stato in cui deve essere eseguita la misura investigativa, proprio perché mancante. Con la conseguenza che la prova potrà essere ottenuta facendo ricorso alle modalità già vigenti, quali gli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie di un altro Stato membro, l’attività di coordinamento delle indagini penali svolta a livello sovranazionale da Eurojust, o, da ultimo, la presentazione di rogatorie nei vari Stati interessati. Sarebbe, dunque, necessario contemplare tali situazioni negli accordi tra l’EPPO e gli Stati non partecipanti alla cooperazione rafforzata.

Non può non essere menzionata, ancora, la questione relativa al valore da attribuire al principio del giudice naturale ( sul principio cfr. M. Fidelbo, op. cit.,p.97) in tutti i casi in cui siano coinvolti Stati membri partecipanti e non, quando i criteri di individuazione della giurisdizione radicherebbero la competenza giurisdizionale di uno Stato non partecipante. In simili casi, la Procura europea, in ossequio alle disposizioni del regolamento, non potrebbe esercitare l’azione penale dinanzi alle autorità giudiziarie di tale Paese né potrebbe decidere di farlo altrove, pena la violazione del principio del giudice naturale di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Quid iuris, poi, se gli organi competenti dello Stato out decidono di non perseguire la fattispecie lesiva degli interessi finanziari dell’Unione? Oltre all’inefficacia dell’azione repressiva, di fronte a casi trattati da Stati membri non partecipanti e azioni esercitate dalla Procura europea, potrebbe configurarsi (cfr. M.Fidelbo op.cit.,p.104) la violazione, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, del principio di uguaglianza davanti alla legge, che richiede che casi uguali siano trattati con procedure uguali. Infatti, fattispecie criminose perseguibili dall’EPPO, se poste in essere negli Stati in o dai cittadini di tali Stati, potrebbero restare impunite se commesse negli Stati out. Si sottolinea, pertanto, ancora una volta, la necessità che simili ipotesi trovino puntualmente regolamentazione negli accordi tra gli Stati out e la Procura europea.

8. Qualche riflessione conclusiva

La Commissione ha già annunciato per il prossimo anno che le disposizioni del regolamento in esame saranno accompagnate da nuove misure, in parallelo con una radicale revisione dello statuto dell’OLAF, per adeguare l’Ufficio alla nuova realtà e con l’adozione di una comunicazione “in prospettiva 2025”, in occasione della quale sarà affrontato il tema di una possibile estensione della competenza dell’EPPO anche ai reati di terrorismo.

Il nuovo organo, frutto di un vero e proprio compromesso, con tanti limiti e numerosi difetti, rappresenta dunque un punto di partenza, non certo di arrivo, verso risultati più ambiziosi. Invero, come già notato, la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione non può più essere affidata alle sole “risorse” sanzionatorie degli Stati membri anche perché come sottolineato dalla Commissione europea nella Relazione sulla proposta di Direttiva PIF del 2012, l’attuazione degli strumenti PIF negli Stati membri ha dato risultati assolutamente insoddisfacenti, in specie sotto il profilo dell’armonizzazione e prassi sanzionatoria; sicché sarebbe necessario, in una cornice di contestualità temporale, l’ “equivalenza” della tutela penale mediante norme incriminatrici comuni e sanzioni omogenee, come richiesto dall’art. 325 TFUE; equivalenza essenziale, anche e soprattutto, per un corretto ed “efficace” funzionamento della Procura europea.


facebooktwittergoogle_plusmailfacebooktwittergoogle_plusmail