Post Danmark II: nuove indicazioni dalla Corte di giustizia sulla legittimità dei sistemi di sconto praticati da un’impresa in posizione dominante

1. Introduzione

Con sentenza pronunciata il 6 ottobre 2015 nella causa C-23/14, Post Danmark A/S contro Konkurrencerådet (di seguito “Post Danmark II”, per distinguerla da un precedente procedimento che ha visto coinvolte le medesime parti), la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi sul tema della legittimità, con riferimento all’articolo 102 TFUE, dei sistemi di sconto applicati da imprese che detengono una posizione dominante nel mercato.

2. I fatti all’origine del rinvio pregiudiziale

La vicenda all’attenzione della Corte di giustizia trae origine da una controversia sorta tra il Consiglio per la concorrenza danese e la Post Danmark A/S (nel prosieguo, la “Post Danmark”), con riferimento a un sistema di sconti attuato da quest’ultima nel 2007 e 2008 per le spedizioni pubblicitarie inviate in massa.

Nel periodo controverso, la Post Danmark era controllata dallo Stato danese e, come tale, era incaricata del servizio postale universale con riferimento ad alcune categorie di spedizioni di lettere (in particolare, le spedizioni di massa). Rispetto alle stesse vigeva, inoltre, un regime tariffario unitario obbligatorio, che imponeva alla Post Danmark di applicare una tariffa predeterminata sull’intero territorio nazionale. Tali obblighi trovavano compensazione nell’attribuzione all’impresa stessa di un monopolio ex lege in relazione a tutte le spedizioni di lettere di peso inferiore ai 50 grammi (ivi comprese, quindi, le spedizioni di massa ricadenti entro tale soglia). In ragione di ciò, circa il 70% del mercato delle spedizioni di massa rientrava nel monopolio della Post Danmark.

Dal 2003, la Post Danmark aveva avviato un sistema di sconti per la pubblicità diretta per corrispondenza. Tali sconti, organizzati su una scala standardizzata (dal 6% al 16%) erano accessibili a qualsiasi cliente a identiche condizioni, e venivano applicati in funzione di tutti gli acquisti effettuati nel periodo di riferimento (pari a un anno). Nella pratica, all’inizio di ogni anno le parti si accordavano sulle quantità di spedizioni stimate per tale periodo, sulla cui base la Post Danmark applicava immediatamente gli sconti previsti dalla scala tariffaria. Al termine del periodo di riferimento, poi, veniva effettuato un adeguamento del prezzo applicato, qualora le quantità effettivamente spedite non corrispondessero alle previsioni iniziali, e lo sconto così determinato veniva quindi praticato per tutte le spedizioni effettuate nel corso dell’anno.

Tra il 2007 e il 2010 la Bring Citymail Danmark A/S (in prosieguo, la “Bring Citymail”), società controllata dall’impresa postale di Stato norvegese, aveva iniziato a operare sul mercato danese della spedizione di corrispondenza commerciale (comprese, quindi, le spedizioni pubblicitarie di massa), rappresentando l’unico concorrente serio della Post Danmark nel mercato di riferimento. Tuttavia, nel 2010 la Bring Citymail si era dovuta ritirare dal mercato, per via delle pesanti perdite sofferte.

A seguito di una denuncia depositata dalla Bring Citymail, il Consiglio per la concorrenza ha ritenuto che il sistema di sconti descritto, praticato dalla Post Danmark nel 2007 e nel 2008,  configurasse un abuso della posizione dominante da essa detenuta nel mercato danese della distribuzione delle spedizioni di massa, e le ha vietato di continuare a utilizzare il suddetto sistema. In particolare, l’autorità danese osservava come la Post Danmark costituisse, nel periodo di riferimento, una controparte commerciale ineludibile, detenendo oltre il 95% di un mercato caratterizzato da elevate barriere all’ingresso, e godendo inoltre di speciali vantaggi strutturali per via del monopolio ex lege ad essa attribuito.

Nell’ambito del giudizio di impugnazione promosso dalla Post Danmark avverso la suddetta decisione, il Tribunale degli affari marittimi e commerciali ha ritenuto di investire la Corte di giustizia di tre articolate questioni pregiudiziali. Esse vertono, in particolare,

(i) sui criteri che devono trovare applicazione al fine di stabilire se un sistema di sconti, quale quello praticato dalla Post Danmark nel caso di specie, sia atto ad avere un effetto preclusivo nel mercato, in violazione dell’articolo 102 TFUE;

(ii) sulla rilevanza da attribuire,  nell’ambito della suddetta valutazione, al criterio del c.d. concorrente altrettanto efficiente (“as efficient competitor”, o “AEC”), di cui alla Comunicazione della Commissione contenente gli orientamenti sulle priorità della stessa nell’applicazione dell’articolo 102 TFUE alle pratiche escludenti (G.U.U.E. 2009/C 45/02, § 24);

(iii) sulla necessità che l’effetto anticoncorrenziale di un sistema di sconti quale quello di specie sia, da un lato, probabile, e dall’altro, “grave o notevole” (in altri termini, apprezzabile).

Il 21 maggio 2015, l’Avvocato generale Kokott ha presentato le proprie conclusioni circa la risposta da dare alle questioni sollevate dal giudice del rinvio. Nel merito, tali conclusioni sono state sostanzialmente accolte dalla Corte.

3. La sentenza

3.1: I criteri da applicare al fine di stabilire se un sistema di sconti, quale quello praticato dalla Post Danmark nella vicenda di cui al procedimento principale, sia atto ad avere un effetto preclusivo nel mercato, in violazione dell’articolo 102 TFUE.

In via preliminare (§ 27-28), la Corte ha elencato le diverse categorie di sconti esistenti, distinguendo innanzitutto gli sconti quantitativi, ovvero dipendenti esclusivamente dal volume degli acquisti effettuati presso un determinato produttore. Questi, secondo giurisprudenza costante, non sono di per sé contrari all’articolo 102 TFUE (v. sentenza Hoffmann-La Roche, causa 85/76, § 90). Dai primi si differenziano i c.d. premi fedeltà, i quali mirano a impedire che i clienti possano rifornirsi presso produttori concorrenti, mediante la concessione di vantaggi finanziari: questi, secondo l’orientamento del giudice dell’Unione, sono abusivi (v. sentenze Michelin I, causa 322/81, § 71; Tomra Systems, causa C-549/10 P, § 70). Infine, la Corte ha inquadrato lo schema di sconti praticato dalla Post Danmark, e rilevante nel caso di specie, in una terza categoria ibrida, osservando che, da un lato, esso non può rientrare negli sconti quantitativi, posto che le riduzioni di prezzo sono concesse non per ogni ordinazione individuale, ma in funzione delle ordinazioni effettuate nel corso di un dato periodo; dall’altro, tale sistema non può neppure essere avvicinato ai premi fedeltà, dal momento che manca un obbligo o promessa da parte degli acquirenti di rifornirsi (esclusivamente o per una certa quantità predeterminata) presso la Post Danmark.

Di conseguenza, per valutare la sussistenza dell’abuso in un caso come quello di specie, la Corte ha sottolineato la necessità, in primo luogo,  di “valutare tutte le circostanze, in particolare i criteri e le modalità della concessione degli sconti” (§ 29); in secondo luogo, di considerare le caratteristiche del mercato e “[l]a portata della posizione dominante” rivestita su di esso (§ 30).

Nell’ambito di tali valutazioni, la Corte ha ritenuto dotate di rilievo le circostanze che gli sconti praticati fossero retroattivi (§ 32) e che il periodo di riferimento fosse “relativamente lungo” (ossia, pari a un anno – § 34), accennando in proposito a un “effetto di aspirazione”, da parte della Post Danmark, della quota di domanda soggetta a concorrenza, e quindi contendibile, nel mercato di riferimento (§ 35).

Quanto, poi, alla seconda parte della valutazione, la Corte ha sottolineato in generale come “il possesso di una quota di mercato estremamente elevata” ponga l’incumbent in una situazione di forza che lo rende controparte ineludibile. Nel caso di specie, la quota detenuta dalla Post Danmark (pari al 95% del mercato), le caratteristiche del mercato stesso, i vantaggi strutturali goduti dall’impresa e la sua copertura geografica estesa a tutto il territorio nazionale, sono circostanze tali da far ritenere che si produca un effetto di preclusione concorrenziale. E ciò, nonostante il sistema praticato non vincoli i clienti mediante un obbligo formale (§§ 39-42). In un simile contesto, il fatto che il sistema di sconti sia applicabile alla maggior parte della clientela sul mercato “può costituire un’indicazione utile della rilevanza di tale pratica e del suo impatto sul mercato” (§ 46).

Per finire, la Corte ha ricordato che, in ogni caso, è concessa all’impresa dominante la facoltà di fornire una giustificazione per le eventuali condotte abusive, dimostrando che l’effetto preclusivo della concorrenza sia “controbilanciato, o addirittura superato, da vantaggi in termini di efficienza” dei quali possano altresì beneficiare i consumatori (§ 48; in senso analogo, v. già quanto osservato nella sentenza Post Danmark I, causa C-209/10, al § 42).

3.2: La rilevanza da attribuire,  nell’ambito della valutazione circa il carattere abusivo di un sistema di sconti quale quello considerato nel procedimento principale, al criterio del c.d. concorrente altrettanto efficiente (“as efficient competitor”, o “AEC”).

Con riferimento alla seconda parte delle questioni poste dal giudice del rinvio, la Corte ha innanzitutto voluto chiarire, atteso che il giudice del rinvio aveva effettuato esplicito accenno agli Orientamenti della Commissione sulle priorità nell’applicazione dell’art. 102 TFUE alle pratiche escludenti, che questi ultimi non hanno alcun effetto vincolante né per le autorità nazionali di concorrenza, né per i giudici nazionali. Invero, tale comunicazione avrebbe il solo scopo di elencare le priorità d’azione della Commissione quanto ai casi che essa intende perseguire, senza che sia possibile attribuirvi un’efficacia maggiore (§ 52).

Nel merito del quesito, la Corte ha poi osservato come il criterio in parola consista nell’analizzare la legittimità delle condotte tariffarie di un’impresa dominante alla luce della loro attitudine a precludere il mercato a un concorrente avente le medesime capacità di prestazione dell’incumbent. Tale criterio si fonda quindi su “un raffronto tra i prezzi applicati da un’impresa che occupa una posizione dominante e determinati costi sostenuti da tale impresa nonché sull’analisi della strategia di quest’ultima”. Nella prassi giurisprudenziale della Corte, si è fatto ricorso a tale criterio nell’ambito dell’analisi di pratiche quali i prezzi predatori, i prezzi selettivi e il c.d. margin squeeze, senza tuttavia che da tale orientamento (o dallo stesso articolo 102 TFUE) possa evincersi un obbligo a utilizzare sistematicamente il detto criterio nell’ambito del ricorso a un sistema di sconti (§§ 53-57).

Peraltro, non si può escludere che l’uso del criterio del concorrente altrettanto efficiente sia, nella pratica, privo di rilevanza. Ciò accade, in particolare, nelle situazioni in cui, di fatto, la struttura del mercato stesso renda “praticamente impossibile” la comparsa di un siffatto concorrente. Tale è appunto, secondo la Corte, la situazione che caratterizza il procedimento principale (§ 59).

Alla luce di quanto sopra, il giudice UE ha concluso che il suddetto  criterio non costituisce che “uno degli strumenti utili” cui ricorrere nell’ambito della valutazione della natura abusiva di un sistema di sconti praticato da un’impresa in posizione dominante (§ 61).

3.3: La necessità che l’effetto anticoncorrenziale di un sistema di sconti sia, da un lato, probabile, e dall’altro, “grave o notevole” (in altri termini, apprezzabile).

Quanto all’ultima parte delle questioni pregiudiziali sollevate, due sono le osservazioni rilevanti effettuate dalla Corte.

Da un lato, si è sottolineata la necessità che l’effetto anticoncorrenziale di una pratica abusiva non abbia un carattere “puramente ipotetico”. Tuttavia, secondo la Corte, tale effetto non deve necessariamente essere concreto, ma può anche essere soltanto potenziale. Ciò che rileva, e che di conseguenza richiede apposita dimostrazione, è la probabilità dell’effetto preclusivo (§§ 65-69).

Dall’altro lato, la Corte ha chiarito che, data la speciale responsabilità che incombe all’impresa dominante di non pregiudicare, con le proprie condotte, il gioco della concorrenza, e dato il fatto che il mercato è “già indebolito nella sua struttura concorrenziale” dalla stessa presenza dell’incumbent, non può parlarsi nell’ambito dell’articolo 102 TFUE di una soglia di percettibilità (de minimis) per la rilevanza delle condotte abusive. Invero, l’abuso di posizione dominante, secondo la Corte, è tale, “per sua stessa natura”, a determinare restrizioni della concorrenza apprezzabili. Non occorre dunque dimostrare che l’effetto anticoncorrenziale della pratica di cui al procedimento principale sia grave o notevole (§§ 71-74).

4. Brevi osservazioni

La sentenza in oggetto è degna di nota in quanto, con un’argomentazione per lo più limpida e lineare, la Corte interviene nuovamente in una materia complessa quale è quella degli sconti, già oggetto di una giurisprudenza lunga più di quarant’anni (v. già la sentenza Suiker Unie, cause riunite da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 11/73, 113/73 e 114/73), portando maggiore chiarezza nel quadro di riferimento.

Un primo importante passaggio è costituito da quella che pare essere la delineazione di un test per valutare la legittimità dei sistemi di sconto standardizzati praticati dalle imprese in posizione dominante. Quando la Corte si riferisce alla necessità di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, compresi i criteri di concessione degli sconti, la posizione detenuta dall’impresa sul mercato, e le caratteristiche di concorrenza nel mercato in questione (§§ 29-30), sembra accennare a una vera e propria analisi degli effetti della condotta asseritamente abusiva sul mercato di riferimento (“effect-based analysis”). In tal senso, la categoria ibrida di sconti di cui al procedimento principale (a metà strada, cioè, tra gli sconti puramente quantitativi e gli sconti fedeltà) sembrerebbe rientrare nella categoria degli abusi “per effetto”, giustificando quindi un’approfondita analisi del caso concreto e dell’idoneità della condotta ad avere effetti anticoncorrenziali.

Con riguardo ancora alla prima parte delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, è interessante notare l’accenno alla facoltà dell’impresa dominante di sostenere l’esistenza di giustificazioni per le proprie condotte abusive, in modo simile a quanto previsto in tema di intese restrittive della concorrenza, ai sensi di un immaginario articolo 102(3) TFUE. Per quanto l’affermazione della Corte (“una simile impresa può dimostrare”: § 48) faccia effettivamente pensare alla percorribilità concreta della suddetta difesa, sembra assai difficile, nella pratica, immaginare che essa possa trovare accoglimento in casi simili a quello di specie, posto che l’incumbent dovrebbe dimostrare vantaggi in termini di efficienza che possano andare anche a beneficio dei consumatori. Tuttavia, trattandosi di un rinvio pregiudiziale, correttamente la Corte lascia tale valutazione al giudice a quo (come già fatto analogamente nella sentenza Post Danmark I, già citata supra).

In secondo luogo, con riferimento alla seconda parte delle questioni pregiudiziali, relative alla rilevanza del criterio del concorrente altrettanto efficiente, la sentenza in oggetto conferma che gli Orientamenti della Commissione (v. la Comunicazione già richiamata supra) hanno valore meramente programmatico in relazione all’attività di quest’ultima, e che in particolare il criterio dell’AEC non costituisce sempre una risorsa utile nei casi di condotte tariffarie possibilmente abusive.

Interessante, sul punto, è integrare le affermazioni dei giudici lussemburghesi con quanto sostenuto dall’Avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni. Quest’ultima osserva infatti che: (i) analisi “economicamente impegnative” (come quella dell’AEC) non sempre costituiscono un “evidente” valore aggiunto; (ii) tali analisi possono inoltre comportare un dispendio sproporzionato delle scarse risorse a disposizione delle autorità di concorrenza e dei giudici; (iii) in ogni caso, esse presuppongono la collaborazione dell’impresa, certamente non scontata, e rischiano peraltro di basarsi su dati non attendibili (§ 66). Tale approccio è, del resto, in linea con l’osservazione di apertura delle conclusioni, che sembra costituire una presa di posizione nel dibattito, ormai alla ribalta da qualche tempo, sulla necessità di adottare un “approccio più economico nel diritto europeo (sic) della concorrenza” (“a more economic approach”). Ricordando alla Corte che le questioni poste dal giudice del rinvio sono tali da assumere “un significato particolare” nell’ambito del suddetto dibattito, e che la risposta data ad esse potrebbe avere un’incidenza ben al di là del caso concreto (non a caso, si cita qui il procedimento pendente nella causa Intel, C-413/14 P, che coinvolge alcuni temi propri anche della presente vicenda), l’Avvocato generale ha consigliato alla Corte di non “lasciarsi troppo influenzare dallo spirito del tempo o da tendenze passeggere” e di rimanere ben salda sulle basi giuridiche dell’articolo 102 TFUE (§ 4).

A prescindere da quanto sopra, alla luce della sentenza della Corte, il ricorso al criterio in parola pare essere stato avallato sicuramente con riferimento a prezzi selettivi, prezzi predatori e pratiche di compressione dei margini (§ 55).

Infine, il passaggio in merito al fatto che gli effetti preclusivi dell’abuso devono essere “probabili” (“likely”) costituisce un chiarimento utile, in linea peraltro con gli Orientamenti della Commissione (cfr., inter alia, § 20 degli stessi).

 

Natalia Latronico


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