Opposizione a decreto penale di condanna e rimessione in termini: compatibilità con il diritto all’informazione nei procedimenti penali
Con sentenza del 22 marzo 2017 (Tranca e a.), a seguito della proposizione di tre domande di pronuncia pregiudiziale da parte di altrettanti giudici tedeschi, la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi sull’interpretazione della direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali. I giudici del Lussemburgo avevano, infatti, già avuto occasione di intervenire sull’argomento nell’ambito di un precedente rinvio pregiudiziale, concluso con sentenza del 15 ottobre 2015 (in seguito, caso Covaci), parimenti promosso da un giudice tedesco (v. in questa Rivista).
Il caso affrontato dalla Corte nelle cause riunite C-124/16, C-188/16 e C-213/16 concerne la disciplina nazionale in tema di decreto penale di condanna, ossia quella pronuncia emessa da un giudice penale, inaudita altera parte, che diventa definitiva e, conseguentemente, esecutiva allo scadere del termine previsto per la sua impugnazione, decorrente dalla notifica al destinatario. Nell’ipotesi in cui detto provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto non avente residenza nello Stato emittente, il decorso del termine per l’impugnazione è ancorato al momento della notifica al domiciliatario nominato dal soggetto destinatario. In tal modo, il provvedimento potrebbe diventare definitivo senza che quest’ultimo ne abbia avuto effettiva conoscenza, salvo chiedere, ove ne ricorrano i presupposti, la rimessione in termini.
I giudici del rinvio, dinnanzi ad una situazione come quella appena prospettata, hanno ritenuto profilabile una violazione della direttiva sul diritto all’informazione, nella parte in cui prescrive la necessità che l’indagato/imputato sia reso edotto dell’accusa a proprio carico in tempo utile, al fine di potersi difendere ed esercitare le correlate facoltà che l’ordinamento gli riconosce. Dubitando, pertanto, della conformità alla citata direttiva della normativa nazionale sono state solevate tre distinte questioni interpretative che, alla luce del carattere omogeneo, sono state riunite dalla Corte di giustizia nel seguente quesito: «se l’art. 2, l’art. 3, paragrafo 1, lettera c), nonché l’art. 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto dei procedimenti principali, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, prevede che l’imputato che non risiede in tale Stato membro né dispone di un domicilio abituale in quest’ultimo o nel suo Stato d’origine è tenuto a nominare un domiciliatario al fine di ricevere la notifica di un decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti e che il termine per presentare opposizione avverso tale decreto, prima che quest’ultimo diventi esecutivo, decorre dalla notifica di detto decreto a tale domiciliatario, fermo restando che la persona interessata può chiedere la rimessione in termini se non ha ricevuto effettiva conoscenza del decreto penale di condanna in questione» (v. par. 35 della sentenza).
Richiamando la precedente pronuncia, resa nel caso Covaci, la Corte di giustizia ha ribadito che il decreto penale di condanna costituisce una forma di comunicazione dell’accusa, agli effetti della direttiva 2012/13. Per tale ragione, sebbene la direttiva non specifichi le modalità attraverso le quali detta comunicazione debba avvenire, lasciando tale scelta alla discrezionalità del legislatore nazionale, è necessario che, in concreto, non sia pregiudicato l’obiettivo perseguito, che è quello di garantire il diritto di difesa. Ancorché intervenga successivamente alla valutazione di un giudice, infatti, la notifica del decreto penale di condanna costituisce il primo momento nel quale il destinatario è reso edotto dei fatti contestati e dunque può esercitare le facoltà difensive che gli sono riconosciute dall’ordinamento.
La circostanza che il destinatario di un decreto penale di condanna abbia o meno la residenza o il domicilio all’interno dello Stato emittente non può costituire motivo per operare una discriminazione e per accordare un diverso livello di garanzia della conoscenza del contenuto del provvedimento: entrambi i soggetti, residenti e non, devono poter beneficiare integralmente del termine per proporre opposizione. I giudici rilevano come tale risultato sia pienamente assicurato dall’ancorare la decorrenza del termine per proporre opposizione al momento dell’effettiva conoscenza del decreto penale di condanna da parte del suo destinatario. La direttiva 2012/13, tuttavia, non impone un tale onere in capo agli Stati membri, sicché la garanzia di potersi avvalere per intero del termine per l’opposizione può essere riconosciuta anche mediante modalità differenti, ad esempio ricorrendo all’istituto della rimessione in termini.
Il diritto tedesco contempla, in effetti, una simile possibilità, sicché spetta al giudice del rinvio interpretare il proprio diritto nazionale nel senso di assicurare al soggetto destinatario di un decreto penale di condanna, privo di residenza nello Stato, che potrà essere messo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se il decreto gli fosse stato notificato personalmente. Le modalità della richiesta di rimessione in termini devono, pertanto, consentire al destinatario del provvedimento, qualora ne sia venuto a conoscenza successivamente alla decorrenza del termine per poterlo opporre, di beneficiare per intero del termine per proporre opposizione.
La decisione della Corte di giustizia appare pienamente in linea con quanto dalla stessa enunciato nel sentenza Covaci. L’interpretazione del diritto a essere informati sull’accusa che i giudici forniscono è emblematica del necessario bilanciamento che deve essere operato tra, da un lato, le garanzie difensive e, dall’altro lato, la celerità del giudizio. La diversa soluzione di lasciare decorrere il termine per proporre opposizione solo dal momento della conoscenza effettiva da parte del destinatario rischierebbe, a ben vedere, di paralizzare per un lasso di tempo indefinito la possibilità che il decreto penale emesso diventi definitivo e quindi esecutivo. Poiché l’emissione del decreto penale di condanna persegue lo scopo di assicurare una rapida definizione del processo, le garanzie difensive non possono assumere una portata assoluta, bensì, fermo restando la necessità di garantirne la massima tutela, queste devono assumere una portata tale da non vanificare la ratio sottesa a tale peculiare forma di giudizio.