L’Odissea delle concessioni demaniali marittime tra principi di libera circolazione, proroghe e interessi di categoria*

L’Odissea narra che, finita la guerra di Troia, giunge il momento per gli eroi sopravvissuti di ritornare in patria: questo ritorno si presenterà molto travagliato soprattutto per Ulisse, che peregrinerà per mare per circa dieci anni, tra infinite peripezie. Stesso destino tormentato, se vogliamo, è quello con cui debbono fare i conti i concessionari demaniali marittimi, la c.d. categoria dei “balneari”, composta da 87 mila imprese, la quale vive da più dieci anni in balia dell’incertezza sul loro destino.

La Corte di Giustizia, il 14 luglio 2016, ha dichiarato, infatti, l’illegittimità della proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per finalità turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura trasparente di selezione tra i potenziali candidati, e qualora queste presentino un interesse transfrontaliero certo. Bisognerà, dunque, vedere come il giudice nazionale utilizzerà l’interpretazione fornita per risolvere in modo conforme alla decisione della Corte le cause pendenti. Oltremodo, la pronuncia vincola, nel contempo, gli altri giudici nazionali chiamati a statuire su questioni simili.

La questione “balneare” e il vagare per mare

Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, in Italia, hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia, bene pubblico demaniale (art. 822 cc) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), comincia dove finisce il lido e si estende verso terra per una larghezza variabile. Essa è costituita, non solo da quei tratti di terra prossimi al mare, ma anche da tutta la zona alluviata sorta per effetto del movimento geologico di retrocessione del mare, il cosiddetto arenile. L’accesso alla battigia (fascia di 5 metri dal limitare del mare) è sempre libero e gratuito anche in caso di presenza di stabilimenti balneari (art. 1, c. 251, lettera e) L. 296/2006).

L’art. 49 TFUE stabilisce il diritto vero e proprio di accesso ed esercizio di attività in uno Stato membro diverso dal proprio. Per quanto attiene le concessioni demaniali, esse sono inquadrate come concessioni di “servizio” (per approfondimenti G. RIZZO, La concessione di servizi, Giappichelli, 2012) dal momento che, ai sensi del diritto europeo, per servizio si intende, appunto, ogni “attività che viene remunerata” (Cfr. art. 57 TFUE e CG 263/86 Humbel e Edel ). Partendo, perciò, dal presupposto che l’operatore balenare offre servizi come quello dell’utilizzo della spiaggia e della possibilità di balneazione dietro la corresponsione di un prezzo/tariffa, la pubblica amministrazione non affiderebbe in concessione tanto il bene spiaggia, quanto piuttosto la possibilità di remunerarsi tramite i “servizi” messi a disposizione dei turisti.

In altre parole, l’interesse pubblico di tutela del bene “spiaggia” non è più primario, si guarda alla sostanza dell’attività, vale a dire, per l’Italia, la possibilità di sfruttare economicamente il bene (in tal senso, Cons. Stato Sez V, 3250/2011).

La libertà di stabilimento è così basata, in particolare, sul “principio della parità di trattamento” (in tal senso, Considerando 65, Direttiva 2006/123/CE, c.d. Bolkestein o servizi). Un cittadino deve, perciò, avere la possibilità di esercitare la libertà di stabilimento alle stesse condizioni definite dalla legislazione dello Stato di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (cfr. C-55/94 Gebhard, p.to 33-34). Nel diritto europeo, poi, è bene sottolineare, viene ignorata la distinzione tra concessione e autorizzazione conosciuta, invece, dal diritto nazionale. Già nel considerando 39 della Direttiva Bolkestein, che ha tentato di dettare regole comunitarie comuni in materia di servizi, nella consapevolezza dell’esistenza di ostacoli comuni negli Stati membri e nei diversi settori, si fa genericamente riferimento ai “regimi di autorizzazione” (art. 9) ribadendo come le procedure e le formalità di autorizzazione debbano essere chiare, rese pubbliche preventivamente, e tali da garantire, ai richiedenti, che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità (art. 13, par. 1, Direttiva Bolkestein). Pertanto, sia il meccanismo di rinnovo automatico, che impedisce -di fatto- l’accesso a nuovi potenziali operatori (cfr. Corte Cost., 180/2010, Corte Cost. 340/2010, Corte Cost. 213/2011), sia la preferenza sostanziale accordata al concessionario demaniale uscente, sono discriminatorie per le imprese provenienti da altri Stati membri, e vietate in quanto già contrarie all’art. 49 TFUE.

La Direttiva c.d. servizi 2006/123/CE all’art. 12 “selezione tra diversi candidati” ha chiarito, in particolare, come la pubblica amministrazione si debba comportare nell’assegnazione del titolo concessorio, nel caso in cui il numero di autorizzazioni rilasciabili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, o per le capacità tecniche specifiche richieste per il suo esercizio. La procedura di selezione tra i candidati potenziali dovrà assicurare trasparenza ed imparzialità, nonché un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e delle modalità di svolgimento e completamento. La contendibilità economica del bene aumenta, perciò, proprio dove la risorsa è limitata.

L’obbligo di conformare la legislazione nazionale a tale disposizione era previsto entro il termine del 28 dicembre 2009. Contro l’Italia, successivamente alle segnalazioni dell’AGCM,la Commissione ha avviato la procedura di infrazione 2008/4908per incompatibilità del “diritto di insistenza” previsto dall’ art. 37 c.2 del Codice della navigazione con l’ordinamento UE. Tale procedura sarà poi chiusa con la legge comunitaria del 2010 (art. 11 L. 217/2011) e il diritto di insistenza abrogato.

Il D.lgs 59/2010 ha poi recepito la Direttiva servizi e, nel suo art. 16, per quanto concerne le procedure di selezione tra diversi candidati, ha ripreso quasi alla lettera l’art. 12 Direttiva. Sovrapponendo i due testi emerge come l’art. 16, c.1 della norma nazionale di recepimento, specifichi, in modo inequivocabile, l’obbligo per le autorità competenti di applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali che assicuri la predeterminazione e la pubblicazione dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi. Il c.3 dell’art. 16, ribadisce come l’osservanza dei criteri e delle modalità dettate dal c.1 debbano essere desunte dai singoli provvedimenti di autorizzazione. Nel frattempo, per quanto concerne le concessioni demaniali marittime che volgono a scadenza, non sono state ancora individuate le modalità per aprire le procedure di aggiudicazione della concessione ai principi europei di libera concorrenza, come invece già lo stesso art. 16 del D.lgs 59/2010 imporrebbe. La legge comunitaria del 2010 aveva previsto un riordino della materia tramite decreto legislativo entro il 2013. Invece, laL. 25/2010 ha, di fatto, prorogato sino al 31 dicembre 2015 le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere al 31 dicembre 2009 e anche quelle in scadenza entro tale termine del 2015. Il D.L 179/2012 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221) ha prorogato fino al 31 dicembre 2020 le concessioni in essere.

Il legislatore italiano ha più volte tentato di riordinare la materia, ad esempio proponendo la soluzione del c.d doppio binario, tra concessioni già in essere e nuovi affidamenti. Per quanto riguarda le concessioni in essere, ricorrendo al legittimo affidamento, principio generale del diritto(causa 112/77 Töpfer e cause riunite C-37/02 e C-38/02 Di Lenardo, p.to 70)i concessionari potrebbero ottenere una proroga del titolo concessorio, per il periodo necessario all’ammortamento degli investimenti fatti. Nel caso –oppure – di ricorso inevitabile alle procedure di evidenza pubblica, si richiederebbe un indennizzo adeguato agli investimenti ancora da ammortizzare per l’operatore uscente. Le associazioni balneari hanno, infatti, chiesto che questo “periodo transitorio”- ben diverso dalla proroga- sia di minimo 30 anni (riferendosi alle legislazioni nazionali in vigore in Spagna e Portogallo ). Per quanto attiene invece le nuove concessioni, vale a dire le spiagge ancora prive di un concessionario, esse sarebbero affidate secondo procedure di evidenza pubblica.

Alcuni operatori, tuttavia, hanno in qualche modo arginato l’incertezza giuridica dello status quo, esponendosi con nuovi investimenti e richiedendo ai propri comuni, ex novo con atto formale, una concessione demaniale fino a 20 anni a seguito di esperimento dell’istruttoria, in funzione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare (art. 1, c. 253, L. 296/2006). Se la concessione fosse già in essere l’operatore dovrà dunque rinunciare alla precedente. Si tratta, infatti, di una nuova concessione, non di rinnovo del vecchio titolo. In caso contrario si sarebbe elusa la legge che prevedeva la proroga fino al 2020.

Il Governo ha poi recentemente deliberato l’impugnativa per la legge della Regione Toscana n. 31 del 09/05/2016 in materia di concessioni demaniali marittime dal momento che una norma riguardante le nuove concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo, invade la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di tutela della concorrenza e di tutela del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), e) e s), della Costituzione.

La sentenza: un ineluttabile destino?

Mentre i vari governi ritardavano la soluzione definitiva, attraverso un riordino normativo della materia, venivano sottoposti alla Corte di Giustizia UE due rinvii pregiudiziali C-458/14 Promoimpresa e C-67/15 sig. Melis, rispettivamente dal Tar Lombardia e dal Tar Sardegna, sull’incompatibilità della proroga disposta dal legislatore italiano. Di conseguenza, la pronuncia della Corte è importante perché ricorda che, in base a quanto disposto dalla Direttiva Servizi, le concessioni in essere dovrebbero avere durata limitata, seppur stabilita dal singolo Stato membro.

I giudici amministrativi italiani sono stati investiti di alcuni ricorsi di annullamento di decisioni amministrative che negavano il rinnovo di concessioni relative allo sfruttamento di aree demaniali sul Lago di Garda (C-458/14 Promoimpresa) e sulle coste della Sardegna (C-67/15 sig. Melis), per inapplicabilità della proroga prevista dalla L. 221/2012, con cui il legislatore ha spostato in avanti, per un totale complessivo di 11 anni, la scadenza delle concessioni (rispetto alla fine del 2009 in cui la Direttiva avrebbe dovuto esser recepita). In concreto, nel 2010, la Promoimpresa aveva presentato domanda per il rinnovo della concessione di cui già beneficiava. La domanda era stata però respinta dal Consorzio dei Comuni della sponda bresciana, sia perché la concessione non poteva essere rinnovata automaticamente, sia perché questa non poteva essere ottenuta con una mera domanda di rinnovo, senza ricorrere all’evidenza pubblica. Tale decisione veniva così impugnata per violazione dell’art. 1, c. 18 del D.L 194/2009, convertito con legge 25/2010, che prorogava fino al 2015 la scadenza delle concessioni in essere. Invece, nel caso del sig. Melis, egli aveva presentato una richiesta formale di provvedimento di proroga, cui non era susseguita risposta, pertanto il ricorrente aveva presunto che si fosse formato, ex lege, il silenzio-assenso ed egli fosse legittimato a proseguire la propria attività. Senonché, successivamente, il Comune di Loiri Porto San Paolo aveva pubblicato un bando per l’aggiudicazione di sette nuove concessioni demaniali marittime, alcune delle quali riguardavano aree già oggetto delle concessioni in possesso del sig. Melis. Entrambi i giudici del rinvio precisano che, il rapporto intercorrente tra la Promoimpresa e il Consorzio, così come quello tra il sig. Melis e il Comune sardo presenta i caratteri di una “concessione”, come definita dal diritto dell’Unione. Il concessionario gode, per l’appunto, della facoltà di utilizzare il bene pubblico demaniale dietro il versamento periodico di un canone all’amministrazione concedente e il rischio di impresa rimane a carico del concessionario (p.ti 16 e 23 sentenza). Entrambi i giudici del rinvio pongono così ai giudici del Lussemburgo la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento, non discriminazione e di tutela della concorrenza (di cui agli artt. 49, 56, 106 TFUE), ostino ad un normativa nazionale che determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo di rilevanza economica. Il giudice sardo nello specifico chiede se tale incompatibilità sia rinvenibile direttamente da quanto previsto dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE.

L’art. 12 riguarda, come visto, specifici casi in cui le autorizzazioni sono limitate per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. In generale, l’art. 9 della Direttiva subordina l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione a determinate condizioni (il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore; la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale; l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia). Il ricorso a tali “regimi”, oltre a essere limitato a casi specifici, deve essere basato su criteri che escludano l’arbitrarietà della scelta da parte dell’amministrazione concedente. La durata di un’autorizzazione, non è limitata (art. 11), a riprova della volontà del legislatore europeo di favorire l’esercizio delle prestazioni. Fa eccezione il caso in cui l’autorizzazione prevede il rinnovo automatico o è esclusivamente soggetta al costante rispetto dei requisiti; il numero di autorizzazioni disponibili è limitato da un motivo imperativo di interesse generale o una durata limitata è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

Tali concessioni, sono “genericamente” qualificabili come “autorizzazioni”, ai sensi delle disposizioni qui richiamate, “in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica” (p.to 41 sentenza). Le concessioni non hanno come oggetto una prestazione di servizio determinata a priori dall’ente aggiudicatore, bensì l’autorizzazione ad esercitare un’attività economica su un’aria demaniale (p.to 47, sentenza. Per analogia, C-221/12, Belgacom, p.ti 26-28). La stessa Direttiva 2014/23/UE, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione esclude, dal suo campo di applicazione, ai sensi del considerando 15, “gli accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico (…) in particolare nel settore dei porti marittimi o interni (…)” (per approfondimenti G. Greco, La Direttiva in materia di concessioni, in RIDPC, 2015, n. 5). E’ palese la primaria importanza, per il diritto europeo, della natura economica dell’attività, indipendentemente dal fatto che la gestione affidata sia di un bene pubblico. Il bene è, dunque, “pubblico” nel senso che deve essere affidato in maniera trasparente e non discriminatoria (per approfondimenti G. Piperata, Formazione, traiettoria e significato attuale della proprietà pubblica in Italia, Giustamm.it, 2015, n. 7).

Nello specifico, poi, l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE, esclude un rinnovo automatico, ai sensi del paragrafo 2 (p.to 83 Conclusioni A.G. M. Szpunar), che impedirebbe anche di organizzare procedure di selezione imparziali e trasparenti. Tuttavia, stando al par. 3 dell’art. 12, gli Stati membri possono tenere conto “di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”, ovviamente da far presente nel momento in cui si stabiliscono le regole e i criteri di selezione. (p.to 54 sentenza).

Tale passaggio potrebbe essere cruciale per quanto riguarda il contenuto della legge delega di riordino della materia delle concessioni demaniali da parte del Governo italiano, sempre più urgente, data l’illegittimità della proroga. La Corte, infatti, non esclude la possibilità di invocare un motivo imperativo di interesse generale: resta assodato che non lo si potrà addurre per perpetuare la proroga sine die. Secondo la Corte, poi, già la proroga fissata per il 31 dicembre 2015 è di per sé illegittima (anche se ormai superata rationae temporis). La questione pregiudiziale riguarda, infatti, l’ipotesi generale di una normativa nazionale che preveda la proroga automatica e ripetuta della data di scadenza di concessioni dei beni del demanio marittimo e lacuale, non incidendo però sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali formulate in merito al fatto per cui le disposizioni nazionali applicabili ai ricorrenti debbano essere quelle che rinviano la scadenza delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015 o al 31 dicembre 2020 (p.to 34 sentenza e p.to 37 Conclusioni A.G. M. Szpunar). Nel rinvio del Tar Lombardia, per quanto attiene l’analogia tra la concessione che riguarda il demanio lacuale e quelle marittime, si deve rilevare come sia la stessa ricorrente a richiamare la proroga prevista e, comunque, la domanda proposta dal giudice nazionale ha stretta relazione con la realtà effettiva (p.to 30, sentenza). Inoltre, lo stesso diritto nazionale, all’art. 1, c. 547, L. 228/2012(legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, anche  al demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalità turistico-ricreative e sportive.

Seppure marginalmente, i giudici affrontano la questione relativa all’ammortamento degli investimenti fatti. La questione “balneare” è, come visto, strettamente legata agli interessi economici connessi alle attività esercitate sui beni demaniali, ma anche alle opere e ai beni costruiti sul demanio dato in concessione (per approfondimenti: Cons. Stato, VI sez, 626/2013). Le legittime aspettative formatesi in seguito al rinnovo automatico, nonché – prima che venisse abrogato l’art. 37 c. 2- alla preferenza accordata al concessionario uscente, hanno indotto, per decenni, gli operatori balneari ad effettuare alti investimenti di capitale fisso. Il ricorso al legittimo affidamento, secondo il giudice, richiederebbe una valutazione caso per caso, volta a verificare se davvero il concessionario poteva aspettarsi, in buona fede, il rinnovo dell’autorizzazione nel momento in cui ha effettuato gli investimenti che deve ancora finire di ammortizzare. “Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione” (p.to 56, sentenza). Servirà, perciò, una valutazione sulle modalità di affidamento della singola concessione, un’analisi dei reali investimenti posti in essere dal concessionario e della reale presenza di un numero cospicuo di concessioni non affidate. Ancor di più, rispondendo all’altra questione pregiudiziale, vale a dire l’interpretazione degli artt. 49, 56 e 106 TFUE rispetto alla normativa nazionale, bisogna in primis, precisare che, laddove il diritto UE ha operato un’opera di armonizzazione delle misure nazionali – come nel caso della Direttiva servizi- la norma nazionale deve essere valutata “in rapporto non alle disposizioni del diritto primario, ma a quelle di tale misura di armonizzazione” (p.to 59, sentenza). Pertanto, le questioni pregiudiziali che vertono sull’interpretazione del diritto primario si pongono solo nel caso in cui l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE non sia applicabile al caso di specie. Tale compito, di stabilire l’applicabilità o meno dell’art. 12 alle concessioni di volta in volta oggetto di contenzioso, spetta sempre solo al giudice nazionale. La Corte, dunque, si pronuncia sulla compatibilità dell’istituto della proroga della durata delle concessioni con l’art. 49 TFUE, con tale precisazione e riserva. Non si dice nulla sugli artt. 56 e 106 TFUE poiché, in questo caso, non si tratta, né di libera prestazione di servizi, né di regole di concorrenza: la questione in oggetto riguarda precipuamente “il diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato ad uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi”, ricadendo così nell’ambito specifico dell’art 49 TFUE (art. 63, sentenza). In generale, le autorità pubbliche, quando debbono assegnare una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive specifiche in materia di appalti, sono tenute al rispetto delle regole fondamentali del Trattato, tra cui le regole di concorrenza. Qualora la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza, ad un’impresa avente sede nello Stato membro di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice, è contraria all’art. 49 TFUE e pertanto di per sé vietata (p.to 65, sentenza). L’interesse transfrontaliero, sarà, in generale, valutato sulla base di criteri quali “l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche” (p.to 66, sentenza). Ancor di più ciò vale dal momento che le concessioni oggetto dei ricorsi sono state attribuite quando già erano attuabili gli obblighi derivanti dall’art. 49 del TFUE. Oltre al legittimo affidamento, non può essere invocato il principio della certezza del diritto per giustificare una disparità di trattamento tra gli operatori all’interno dell’UE, tale da consentire un periodo transitorio per ammortizzare gli investimenti (C-221/12, Belgacom, p.to 38).

Conclusioni: il ritorno a Itaca?

Cercando di prevedere quella che sarà la sorte degli operatori balneari, che ineluttabilmente ora devono accettare l’evidenza pubblica, si possono fare alcune considerazioni generali, sull’intera vicenda. Nell’interpretazione fornita dalla Corte, in cui si sottolinea come la concessione di un bene demaniale marittimo presenti i caratteri di una concessione di “servizi”. Ai sensi del diritto europeo, nello svolgimento dell’attività di servizi, rilevanza preminente viene accordata alla concezione economica del servizio. Negli stessi Trattati, il “servizio” è considerato economico (art. 57 TFUE). Ovviamente, il servizio, secondo il diritto europeo è “pubblico” nel senso che è reso al pubblico per il soddisfacimento di un bisogno della collettività, non è più rilevante se il soggetto che fornisce il servizio è pubblico o privato. Appare dunque poco importante insistere sulla nozione in senso oggettivo di bene pubblico: posto che la concessione è di servizi, il bene oggetto del servizio è pubblico perché tali devono essere le procedure utilizzate per determinarne il regime di autorizzazione. La concorrenza tra gli operatori deve, dunque, essere assicurata ex ante (in tal senso Consiglio di Stato, VI sez, 889/2016). Detto ciò, però, il legislatore deve sempre fare i conti con la realtà esistente e deve, in qualche modo, pensare alle conseguenze dei suoi interventi normativi. Per decenni i privilegi concessi sono stati innegabili, a partire dalla quantificazione monetaria del canone demaniale, il cui obbligo di versamento deriva dalla facoltà concessa dall’amministrazione pubblica di utilizzare l’area demaniale, a prescindere dal suo utilizzo effettivo. Solo di recente sono stati infatti aggiornati secondo il valore di mercato. Il legislatore italiano, non solo ha peccato di miopia per quanto riguarda il canone, ma, anche in sede di recepimento della Direttiva servizi con la trasposizione pedissequa dell’art. 12 della direttiva nell’art. 16 del D.lgs 59/2010, ove non ha previsto regimi transitori o specifici per alcune categorie di beni, come invece la Direttiva, prima della sua trasposizione, avrebbe consentito. Gli artt. 17 e 18 della Direttiva avrebbero consentito agli Stati membri di adottare delle “deroghe caso per caso”, da notificare alla Commissione, la quale avrebbe dovuto valutarne la compatibilità con il diritto dell’Unione. Ciò avrebbe permesso al legislatore nazionale, essendo comunque limitate nel tempo, di operare un riordino puntuale e specifico della legislazione di settore, tenendo conto anche delle caratteristiche esclusive e delle tante anomalie. In altri Stati membri, quali Spagna e Portogallo, la negoziazione con la Commissione è stata più accorta e previdente, volta a tutelare alcune peculiarità locali e il turismo. Assodato che, rispetto al rinnovo della concessione demaniale, non possono che essere richiamati principi di imparzialità, trasparenza, parità di trattamento, pubblicità, è evidente tuttavia come in Spagna e Portogallo, attualmente sono in vigore dei regimi transitori nel lungo periodo. Il Portogallo, nel 2007, ha emanato una disciplina la quale ammette che il precedente concessionario possa esercitare un diritto di prelazione nel momento in cui si procede alla riassegnazione della concessione (art. 21, c.7) e contempla concessioni fino a 75 anni. In Spagna, invece, la Ley de Costas del 2013 consente una proroga da 30 a 75 anni sulle concessioni in essere, senza che sia stata avviata alcuna procedura di infrazione. D’altro canto l’avvio di una procedura di infrazione è a totale discrezione della Commissione e non è detto in futuro la Corte non venga investita di alcune questioni pregiudiziali relativamente la compatibilità delle norme spagnole e portoghesi con la Direttiva Bolkestein e, in generale, con la libera circolazione e il diritto di stabilimento. In un periodo ove la sfiducia nei confronti dell’Unione è in aumento, tuttavia, bisogna evitare di far crescere il risentimento antieuropeista attraverso decisioni che penalizzano – soprattutto nell’immediato – l’economia di un paese. Per i paesi del Mediterraneo essa è rappresentata anche dalle imprese turistiche. Anche a partire da impostazioni differenti a livello normativo per quanto riguarda il demanio marittimo e l’istituto della concessione (cfr. F. Di Lascio, La concessione di spiaggia in altri ordinamenti, Amministrazione in cammino), si può, a Trattati e diritto esistente invariato, cercare di trovare la soluzione meno traumatica per la categoria. Da un lato, bisognerà, dunque, bilanciare sia i diritti dei prestatori “uscenti” con quelli degli “entranti”, nella prospettiva di tutelare anche il “turista”, sia dal punto di vista dell’offerta sul mercato, sia dalle conseguenze derivanti dal proliferare di ricorsi amministrativi che potrebbero scaturire in seguito all’incompatibilità della proroga.

I giudici della Corte hanno, infatti, lasciato un buon margine discrezionale per quanto concerne la possibilità di inquadrare la concessione demaniale marittima all’interno dell’art. 12 della Direttiva servizi. Bisognerà, innanzitutto, stabilire se le concessioni demaniali sono realmente scarse, alla luce anche dei tratti di costa non ancora dati in concessione. Di conseguenza, si dovrà capire se sarà possibile invocare motivi di interesse pubblico – proporzionati, adeguati e necessari- nello stabilire determinati criteri per l’aggiudicazione delle nuove concessioni. In fin dei conti, la nozione di “motivi imperativi di interesse generale” è frutto dell’elaborazione dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli in materia di diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi ed è, pertanto, in continua evoluzione. Come lo stesso Commissario al mercato interno E. Bienkowska ha ricordato, rispondendo ad un’interrogazione scritta P-2519/2013, “l’articolo 12, paragrafo 3, della Direttiva Servizi è stato recepito dagli Stati membri in modo orizzontale. Compete alle amministrazioni locali che pubblicano il bando di gara decidere in che modo tener conto della protezione dell’ambiente, del patrimonio culturale e della politica sociale. La Commissione non raccoglie sistematicamente informazioni nel merito”. Il legislatore non dovrà tralasciare i diritti dei “destinatari potenziali” del servizio spiaggia: dal momento in cui si ricade nell’ambito del “mercato dei servizi”; bisognerà migliorare e rendere effettiva l’offerta per i consumatori (Considerando 4, Direttiva Bolkestein). Successivamente, per le varie ragioni elencate, la politica dovrà valutare se il settore e le pubbliche amministrazioni sono davvero pronte per affrontare le evidenze pubbliche d’emblée, vista l’illegittimità della proroga. Una strada ipotizzata, ma non ancora bene esplorata, è quella relativa la sdemanializzazione delle aree date in concessione (art. 35 cod. nav.) sulle quali gli operatori esercitano attività ascrivibili alla categoria “commerciale” o “terziario”. Alternativamente bisognerebbe riconoscere alle aziende il valore economico dell’attività a tutela degli investimenti – se vi sono- e del lavoro svolto, soprattutto poiché tali opere sono state autorizzate dalle stesse amministrazioni. Per ora, pare che si voglia fare in modo di mantenere valide le concessioni in atto degli stabilimenti balneari, attraverso un emendamento ad hoc nel Decreto enti Locali in corso di approvazione. In tale perimetro, non troppo rigido, si dovrà muovere il legislatore italiano, il quale ha promesso dal 2013 un riordino della materia: riordino che deve permettere alla categoria almeno il ritorno a casa, ovvero la certezza sul futuro, qualunque esso sia.

 

* Pubblicazione nell’ambito del progetto PRIN 2012 (2012SAM3KM) sulla codificazione dei procedimenti dell’Unione europea


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