L’impegno del Centro di eccellenza Jean Monnet dell’Università degli Studi di Milano durante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea

Il discorso tenuto il 13 gennaio scorso dal presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, al Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria, rappresenta l’“ultimo atto” del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, il c.d. “semestre italiano”, che, per la verità, si era già formalmente concluso il 31 dicembre 2014 (per la scheda di sintesi dei risultati v. qui).

L’Italia ha avuto occasione di assumere la presidenza del Consiglio dell’Unione nel semestre successivo alle elezioni europee del 2014, giocando un ruolo di primo piano in un momento contraddistinto da delicati passaggi di carattere istituzionale, quali, in particolare, la nomina e l’insediamento della “Commissione Juncker” (v. qui e qui), la scadenza del regime transitorio quinquennale per gli atti del c.d. (ex) terzo pilastro (v. qui e qui), la scelta di raddoppiare il numero dei giudici del Tribunale, la difficoltosa approvazione del progetto di bilancio generale dell’UE per il 2015 (v. qui e qui).

Nel contesto di una maggiore attenzione, da parte dei media e della società civile, nei confronti dell’Unione europea, il Centro di eccellenza Jean Monnet dell’Università degli Studi di Milano, diretto dal prof. Bruno Nascimbene, ha intensificato il proprio impegno, organizzando e sostenendo svariate iniziative, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza dei principali temi attinenti ai profili giuridici dell’integrazione europea. È in questa prospettiva che il Centro ha contribuito attivamente all’organizzazione di tre convegni, nell’ambito dei quali sono intervenuti, in qualità di relatori, esperti di diritto dell’Unione e membri delle istituzioni italiane ed europee, stimolando il dibattito e l’approfondimento riguardo a questioni di grande attualità.

 

Il primo convegno, intitolato “Costa / Enel. Corte costituzionale e Corte di giustizia a confronto, cinquant’anni dopo”, è nato in collaborazione con la Corte d’Appello di Milano e con la Scuola Superiore della Magistratura e, per la sua importanza, è stato inserito nell’ambito degli eventi della Giornata europea della Giustizia civile celebrata il 30 ottobre 2014.

Il convegno ha inteso rievocare una vicenda processuale che, portando all’affermazione del valore giuridico del primato del diritto dell’Unione sui diritti nazionali, ha segnato una tappa di fondamentale importanza nel percorso di integrazione europea.

L’evento, tuttavia, non si è limitato a questo scopo: esso, infatti, ha fornito l’occasione per mettere in luce la grande vitalità che, a distanza di cinquant’anni, ancora caratterizza la pronuncia Costa c. Enel della Corte di giustizia.

Ciò è stato possibile grazie ad una profonda riflessione sul tema della rilevanza dei diritti fondamentali garantiti dai sistemi costituzionali nazionali rispetto al principio del primato.

Quest’ottica innovativa, attraverso la quale ri-leggere la vicenda Costa/Enel, ha consentito di riflettere sul tema, molto attuale, dell’incidenza delle rivendicazioni di sovranità e di identità nazionale degli Stati membri rispetto al sistema nato dai trattati e consolidato dalla giurisprudenza del giudice dell’Unione. Sotto questo profilo, sono state evidenziate le peculiarità del percorso di integrazione europea che, lungi dal costituire una mera consacrazione del pluralismo giuridico, rappresenta un sistema complesso di interazione reciproca tra i valori nazionali e l’acquis europeo. Un ordinamento che, seppur non nato per tutelare i diritti fondamentali degli individui, già nel lontano 1963 (con la nota sentenza van Gend en Loos) li configurava come destinatari – accanto alle istituzioni e agli Stati membri – delle norme giuridiche da esso prodotte; un ordinamento, dunque, che, seppur non sempre sulla base di uno sviluppo “armonioso” rispetto alle posizioni delle Corti Costituzionali nazionali, ha finito per assicurare – ed altrimenti non avrebbe potuto essere – la tutela dei diritti fondamentali (come e più, talvolta, degli stessi ordinamenti statuali).

La rilevanza e l’attualità del tema sono state confermate dall’impegno profuso dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di giustizia che hanno consentito la divulgazione di tutti i materiali relativi ai fascicoli delle due cause.

Il secondo convegno, dedicato al tema della modernizzazione degli aiuti di Stato, è stato oggetto di ampia sintesi, cui si rinvia, su questo blog.

Il terzo convegno, intitolato “Le presidenze dell’Unione europea”, ha consentito di riflettere sul ruolo giocato dai presidenti delle diverse istituzioni politiche dell’Unione, nel tentativo di delineare un profilo “costituzionale” delle rispettive cariche, inquadrando, così, la presidenza italiana del Consiglio dell’Unione nel più ampio contesto istituzionale europeo. La scelta di concentrare l’attenzione sulle istituzioni politiche è stata dettata dalle peculiari prerogative affidate ai soggetti collocati al vertice di queste ultime, prerogative che li distinguono dai presidenti di altre istituzioni dell’Unione, caratterizzate da una preponderante natura giurisdizionale o tecnica. Gli interventi dei relatori hanno messo in luce l’eterogeneità delle “presidenze” dell’Unione, difficilmente riconducibili ad un unico modello, ma non per questo sottratte al gioco degli equilibri politici – e, talvolta, finanche geografici – tra Stati membri, tanto da rischiare di essere considerate, di fatto, quasi interscambiabili, ciò che pare essere poco coerente in un sistema dove ogni istituzione (e, quindi, ogni presidenza) dovrebbe avere un ruolo ben definito.

Seguendo l’ordine con cui le istituzioni sono elencate nei trattati, è stata anzitutto presa in esame la presidenza del Parlamento europeo, che si contraddistingue per la tensione tra la necessità di garantire una posizione di neutralità nell’ambito dei lavori dell’istituzione, composta, come noto, da una pluralità di gruppi politici animati da valori spesso molto diversi, per non dire antagonisti, e il compito di rappresentarla unitariamente, valorizzandone l’autonomia. Si è poi riflettuto sul progressivo indebolimento della presidenza (rectius, delle “presidenze”) del Consiglio dell’Unione, a seguito dell’introduzione, con il trattato di Lisbona, della figura del presidente del Consiglio europeo, la cui carica, benché variamente influente a seconda della personalità di colui che la ricopre, ha una durata – e, dunque, una stabilità – ben maggiore rispetto alla presidenza del Consiglio. Successivamente, è stata presa in considerazione la presidenza dell’Eurogruppo (pur non essendo, questo, un’istituzione ai sensi dell’art. 13 TUE), in ragione della crescente rilevanza assunta da tale organo nel corso della crisi economico-finanziaria, attraverso lo sviluppo di una prassi evolutiva particolarmente significativa. Infine, è stata oggetto di analisi la presidenza della Commissione, che, di recente, ha dato origine ad un tentativo di innovare la struttura interna dell’istituzione stessa, mediante una riorganizzazione in senso “piramidale”.

Il successo riscosso dai tre convegni testimonia il notevole interesse suscitato dalle tematiche inerenti al diritto dell’Unione europea e conferma l’utilità di promuovere riflessioni condivise e dibattiti allo scopo di approfondire e diffondere la conoscenza di tali questioni.


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