L’avvocato specialista in diritto dell’Unione europea

Il professore universitario ha i requisiti per ottenere il titolo di avvocato specialista della materia in cui esercita, che insegna o ha insegnato. Questo è l’orientamento assunto dal CNF dopo che il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (adito da un professore di diritto amministrativo), con sentenza del 1 agosto 2022 n. 10834, ha ritenuto l’art. 2, comma 3, del d.m. n. 163 del 2020 “illegittimo nella parte in cui non prevede che il titolo di avvocato specialista possa essere conferito dal CNF anche ai professori ordinari nei relativi settori di specializzazione. ….”.

Questa breve segnalazione vuole dare conto di un fatto, che non riguarda solo chi ne è il protagonista, potendo interessare una platea di soggetti ben più vasta: i tanti professori universitari che riescono (con fatica) a coniugare le proprie competenze accademiche con quelle professionali.

Il protagonista è il direttore di questa Rivista, al quale (primo, certamente, tra gli iscritti all’Ordine degli Avvocati di Milano, se non addirittura a livello nazionale) è stato riconosciuto il titolo di avvocato specialista in diritto dell’Unione europea.

Lo ha certificato il Consiglio Nazionale Forense con una delibera dello scorso 2 novembre, superando non poche difficoltà di carattere amministrativo – formale, non certo di merito (non erano messe in discussione le competenze di chi chiedeva il riconoscimento del titolo).

Questo riconoscimento è importante poiché non era affatto scontato, in considerazione dei dubbi interpretativi che, fin dall’inizio, hanno riguardato il suo fondamento normativo (di cui si dirà poco oltre).

Prima di darne evidenza, per chiarezza, è opportuno fare qualche cenno, anche di carattere ricostruttivo, alla disciplina delle specializzazioni.

La figura dell’avvocato specialista nasce con la legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, in G.U. 18 gennaio 2013, n. 15) che ha riformato la professione di avvocato. Il suo articolo 9 contiene, appunto, la disciplina di base sulle specializzazioni, rinviando per quella di dettaglio al regolamento che il Ministro della giustizia, previo parere del CNF, avrebbe dovuto adottare.

Così è avvenuto con il decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista.

Il d.m. n. 144 del 2015 non è, tuttavia, stato accolto con grande e unanime favore. Anzi, è vero il contrario, specie in merito alle disposizioni relative all’elenco dei settori di specializzazione e alla disciplina del colloquio diretto ad accertare la comprovata esperienza necessaria per ottenere il titolo di specialista, in assenza del compimento dei previsti percorsi formativi specialistici.

Ne è derivato un vasto contenzioso che ha portato ad un suo parziale annullamento ad opera di alcune sentenze del giudice amministrativo di prime cure, poi confermate dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5575/2017.

È stato, quindi, necessario procedere ad alcune modifiche del d.m. n. 144 del 2015 (il Regolamento sulle specializzazioni) che, prima di essere approvate (con il decreto del 1º ottobre 2020, n. 163), sono state sottoposte ai pareri del Consiglio nazionale forense (del 10 ottobre 2018), del Consiglio di Stato (espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza del 5 dicembre 2019) e delle Commissioni parlamentari competenti.

Limitandoci all’essenziale, va ricordato che il decreto n. 163 del 2020 ha:

  1. modificato, con il suo art. 1, par. 1, lett. b), l’elenco dei settori di specializzazione (l’art. 3 del d.m. 144/2015 è sostituito integralmente) che da 18 si sono ridotti a 13. Alcuni settori, così qualificati in origine, sono divenuti indirizzi (unendosi ad altre materie) che afferiscono al diritto civile, penale o amministrativo;

  2. modificato le modalità per lo svolgimento del colloquio (non [più] un vero e proprio esame, ma solo una discussione dei titoli presentati) che deve essere sostenuto da parte di chi chiede il riconoscimento del titolo di avvocato specialista in ragione della sua comprovata esperienza nei settori e negli indirizzi di specializzazione (modifiche all’art. 6 del d.m. n. 144 del 2015).

  3. modificato i requisiti (l’anzianità di iscrizione all’albo degli avvocati; il numero di anni in cui è stata esercitata in modo continuativo la professione; il numero di incarichi professionali fiduciari, rilevanti per qualità e quantità (dieci per anno e non più i quindici originariamente previsti) ricevuti in relazione a quel dato settore, consentendo alla commissione di valutazione del CNF, in deroga a detto numero di incarichi per anno, di tenere conto (ai fini del conseguimento, ma anche del mantenimento del titolo) della natura e della particolare rilevanza degli incarichi documentati e delle specifiche caratteristiche del settore e dell’indirizzo di specializzazione Analoga previsione opera anche ai fini non già del conseguimento, ma del mantenimento del titolo e

  4. introducendo un regime transitorio che consente a chi abbia ottenuto l’attestato di frequenza di un corso (conforme ai criteri previsti dall’articolo 7, comma 12 del d.m. n. 144 del 2015) che si sia concluso nei cinque anni precedenti all’entrata in vigore (il 27 dicembre 2020) della novella legislativa (comma 1) e a chi l’attestato di frequenza lo otterrà all’esito di un analogo corso che deve però ancora concludersi (comma 2) di conseguire il titolo, previo superamento di una prova scritta e orale. Nel rispetto dei requisiti previsti da tale regime transitorio, l’Università degli Studi di Milano ha, negli anni accademici 2019-2020 e 2020-2021, organizzato, con il patrocinio dell’Unione degli Avvocati europei (UAE), unica associazione ad essere stata accreditata “come maggiormente rappresentativa” della materia, il corso di perfezionamento e specializzazione in diritto dell’Unione europea).

Ebbene, in relazione a tale regime transitorio, si rende opportuna un’ulteriore puntualizzazione non foss’altro perché è proprio di una delle disposizioni in esso previste di cui si è avvalso il direttore di questa Rivista per ottenere il titolo di specialista. Così ha fatto, anche se avrebbe ben potuto ricorrere, avendo i requisiti previsti, all’applicazione di altre disposizioni del d.m. n. 144 del 2015, proprio al fine di denunciarne la palese illogicità, poi sanata in via pretoria.

L’art. 2, comma 3, del d.m. n. 163 del 2020 ha previsto che il titolo di avvocato specialista può essere conseguito anche da chi, avvocato, ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca riconducibile a uno dei settori di specializzazione. Un automatismo che non prevede esami o prove relative a esperienze accademiche o professionali.

Questa disposizione ha suscitato, da subito, non poche perplessità. Leggendone il testo, si dovrebbe concludere che i dottori di ricerca (e loro soltanto) possono, senza dover comprovare altro, ottenere il titolo di avvocato specialista nella materia che hanno approfondito durante questo (breve) periodo di formazione, anche a prescindere dal fatto che successivamente al conseguimento del titolo abbiano coltivato gli stessi interessi scientifici, intraprendendo (ad esempio) la carriera accademica. Invece, per coloro che sono strutturati in un qualsiasi ateneo italiano (con la qualifica di professore, anche di I fascia), questo automatismo non opera, con la conseguenza di vedersi costretti a dimostrare la propria comprovata esperienza nel quadro di una procedura di valutazione, oppure a seguire con profitto percorsi formativi almeno biennali.

Anche al lettore meno attento, questo riferimento ai soli dottori di ricerca è parso una “svista”. Una disattenzione ben più evidente (ma anch’essa grave) di quella che il legislatore ha avuto nell’approvare la legge 31 dicembre 2012, n. 247, il cui articolo art. 46 (Esame di Stato) del Capo II (Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato) prevedeva, nella versione originaria, che fosse materia d’esame il “diritto comunitario ed internazionale privato”. Solo con la l. 27 dicembre 2017, n. 2017 il legislatore ha posto rimedio a questa sua disattenzione sostituendo quell’infelice congiunzione (“ed”) con una semplice virgola [v. la segnalazione in questa Rivista]: così riconoscendo autonomia al diritto dell’Unione europea: autonomia confermata ai fini della specializzazione, i relativi settori essendo diversi (la distinzione è stata mantenuta malgrado il contenzioso di cui si è detto).

Il TAR del Lazio ha, invero, ritenuto (come si è detto) che la disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 2 del d.m. n. 163 del 2020 è “illogica” nella misura in cui consente il riconoscimento automatico del titolo di avvocato specialista solo al dottore di ricerca (definito dall’art. 4 del d.m. 30 aprile 1999, n. 224 colui che è dotato delle “competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione”) e non anche al professore ordinario, che ha raggiunto la “piena maturità scientifica” (v. art. 3, comma 2, lett. a) d.m. 7 giugno 2016, n. 120).

Il TAR del Lazio ha, altresì, opportunamente richiamato l’art. 9, comma 8 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, il quale dispone che “gli avvocati docenti universitari di ruolo in materie giuridiche e coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni”.

Il CFN ne ha preso atto e ha, così, deliberato di conferire il titolo di avvocato specialista al direttore di questa Rivista.

Auguri a lui e a tutti coloro che otterranno il medesimo riconoscimento.

Francesco Rossi Dal Pozzo

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