L’arte del compromesso: brevi riflessioni sulle conclusioni dell’Avvocato generale De La Tour sulle cause Alace e Canpelli
- L’Avvocato generale De La Tour, lo scorso 10 aprile 2025, ha reso le proprie conclusioni in merito alle cause riunite C‑758/24 (Alace) e C‑759/24 (Canpelli), le note cause relative all’interpretazione del concetto di paese di origine sicuro (v., in proposito, E. Colombo, I grandi assenti: il principio del primato e la disapplicazione della normativa nazionale in contrasto con il diritto UE. Alcune riflessioni a margine dell’udienza del 25 febbraio 2025 sulle cause riunite C‑758/24 e C‑759/24; S. Morlotti, Mattoncini di Lego in Corte di giustizia: la designazione dei Paesi di origine sicuri. Udienza di Grande Chambre del 25 febbraio 2025, cause riunite C-758/24 Alace e C-759/24 Canpelli; M. Zamboni, The Italy-Albania protocol before the Court of Justice of the European Union – hearing of the CJEU). Le questioni sottoposte alla Corte di giustizia si inseriscono in un contesto di particolare sensibilità politica e giuridica, poiché investono il delicato bilanciamento tra l’efficienza amministrativa nelle procedure d’asilo e la garanzia effettiva dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale. Proprio in ragione della complessità e della rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte, le conclusioni dell’Avvocato generale erano attese con particolare attenzione da parte della dottrina e degli operatori del settore, poiché in grado di offrire un primo orientamento sull’interpretazione che la Corte potrebbe adottare nella futura pronuncia. Occorre dunque ripercorrere ciascuna delle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Roma per esaminare compiutamente la posizione espressa dall’Avvocato generale.
- La prima questione sollevata dal giudice nazionale ha riguardato la forma dell’atto di designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro e, nello specifico, l’utilizzabilità, ai sensi del diritto UE, di un atto legislativo primario. L’Italia, infatti, con il D.L. n. 158/2024, ha affidato il compito di procedere a detta designazione direttamente al legislatore: l’articolo 2-bis, d.lgs. n. 25/2008 individua direttamente l’elenco dei paesi terzi qualificati come paesi di origine sicuri. Come evidenziato dallo stesso Avvocato generale, le maggiori preoccupazioni destate da tale intervento legislativo hanno riguardato il fatto che la modifica dell’atto destinato alla designazione dei paesi sicuri – prima un atto amministrativo, oggi una legge –, rischia di limitare, a causa della natura stessa di detta norma, il controllo giurisdizionale di legittimità di tale designazione, comprimendo, conseguentemente, il diritto di difesa del richiedente.
Sul punto, l’AG ha ritenuto ammissibile, ai sensi gli articoli 36, 37 della direttiva 2013/32, che la designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro avvenga attraverso un atto legislativo. Ha evidenziato infatti che nessuna disposizione della direttiva 2013/32 precisa quale sia o quali siano le autorità degli Stati membri cui dovrebbe essere affidata la designazione dei paesi di origine sicuri a livello nazionale, né lo strumento pertinente a tal fine.
Ciò posto non va dimenticato che il margine di discrezionalità di cui gode ciascuno Stato membro non può mai escludere l’operatività dell’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire il primato del diritto dell’Unione e per assicurare la piena efficacia della direttiva di cui trattasi, conformemente all’obiettivo che essa persegue e agli obblighi da essa sanciti. E questo significa che se, in teoria, non può essere contestato l’utilizzo di un atto legislativo per la designazione dei paesi di origine sicuri, ciò che può essere sindacato è l’eventuale violazione dei principi menzionati in ragione dello strumento scelto.
- Venendo alle successive questioni sollevate dal Tribunale di Roma, il secondo e il terzo quesito sono stati esaminati congiuntamente dall’AG, in quanto entrambi riguardanti lo spazio riservato al controllo giurisdizionale sulla sussistenza delle condizioni sostanziali della designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro. Nello specifico, la seconda questione ha riguardato l’accessibilità e la verificabilità delle fonti adoperate dal legislatore nazionale per giustificare la designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro da parte dell’autorità giurisdizionale competente ad esaminare le domande di asilo. La terza, invece, l’utilizzabilità, da parte di tale autorità giudiziaria, di fonti autonome, attinte tra quelle indicate dal paragrafo 3 dell’articolo 37 della direttiva, utili ad accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’Allegato I della direttiva stessa.
In proposito, l’AG ha ritenuto fondamentale una premessa: le questioni richiamate non riguardano il controllo che l’autorità giudiziaria deve operare con riferimento all’attuazione della presunzione correlata al concetto di paese di origine sicuro – che può essere superata con riferimento alla situazione individuale del richiedente, ma, piuttosto, la valutazione rimessa alla suddetta autorità circa la stessa designazione del paese di origine come paese sicuro (punto 41). Quindi, ha affermato che, a fronte della designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro con atto legislativo, l’autorità giudiziaria deve poter disporre, al fine di un esame completo ed ex nunc della domanda di protezione internazionale, delle fonti di informazione sulla base della quale il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza di tale paese. Ciò potrebbe desumersi, malgrado il silenzio dei testi normativi, dall’impianto sistematico su cui si fonda il concetto di paese di origine sicuro e gli obiettivi che il legislatore dell’Unione persegue in tale contesto. Secondo l’AG, in particolare, sono quattro le ragioni che giustificano una simile impostazione: i) la divulgazione delle fonti di informazione rafforza la credibilità e l’autorevolezza della presunzione di sicurezza, il che contribuisce alla rapidità e all’efficacia delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale; ii) il carattere confutabile della presunzione di sicurezza impone che il richiedente sia messo in condizione di conoscere le ragioni per cui si presume sicuro il suo paese di origine; iii) l’effettività del controllo giurisdizionale impone che il richiedente asilo possa conoscere i motivi su cui si fonda la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale, a maggior ragione quando tali motivi coincidono con quelli che hanno fondato la presunzione di sicurezza del suo paese di origine; iv) garantendo la pubblicità delle fonti di informazione, si consente una maggiore armonizzazione delle decisioni nei diversi Stati membri, con l’effetto di limitare i casi di valutazioni diverse con riferimento a richiedenti provenienti da un medesimo paese di origine.
Ebbene, con tali considerazioni, l’AG si colloca nel solco di quanto precedentemente affermato dalla Corte di giustizia nella nota sentenza CV. Egli ha ribadito, innanzitutto, il «dovere imperativo» dell’autorità giudiziaria di accertare l’eventuale violazione delle condizioni sostanziali cui l’Allegato I della direttiva subordina la designazione di paese di origine sicuro; e, in tale ottica, ha imposto la pubblicità delle fonti di informazione utilizzate dal legislatore nazionale. Ha aggiunto poi la configurabilità di un potere ulteriore in capo all’autorità giudiziaria, consistente nella possibilità di reperire altrove le fonti di informazioni da utilizzare per la valutazione di legittimità di detta designazione. Secondo l’AG, un siffatto potere/dovere può/deve esplicarsi: a) qualora le fonti di informazione utilizzate dal legislatore non siano state ritenute accessibili; b) nel caso in cui la valutazione relativa alla sicurezza di un paese non sia stata rivista ad intervalli regolari. Infatti, considerando la mutevolezza cui può essere soggetta la situazione geo-politica di ciascun paese, l’AG ha ammesso la possibilità per il giudice nazionale (investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale) di procedere a un aggiornamento della situazione generale del paese di origine del richiedente.
- Giungiamo così all’ultima questione sottoposta alla Corte, che ha portato l’AG ad occuparsi dell’ammissibilità della designazione di paesi sicuri con eccezioni di carattere personale. Il tema, peraltro, era stato espressamente affrontato anche durante l’udienza pubblica del 25 febbraio 2025, nel corso della quale la Commissione aveva (sorprendentemente) cambiato la propria posizione in merito, allineandosi con la convinzione della maggior parte degli Stati membri, per cui sarebbe compatibile con il diritto UE la previsione di eccezioni personali nella designazione dei paesi sicuri. E, come era prevedibile accadesse, anche l’Avvocato generale De La Tour ha sposato la medesima impostazione. A suo parere, gli Stati membri possono procedere alla designazione di uno Stato terzo come paese di origine sicuro ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale, potendo tuttavia identificare le categorie limitate di persone come suscettibili di essere esposte ad un rischio di persecuzione o ad un danno grave in tale paese. Da un punto di vista interpretativo, l’AG ha costruito le proprie argomentazioni, innanzitutto, sul significato dell’avverbio «generalmente», utilizzato nell’Allegato I alla direttiva 2013/32, sviluppando la lettura proposta dalla maggior parte degli Stati membri. Secondo l’Avvocato generale, la designazione di un paese di origine come sicuro non costituisce una garanzia «assoluta» di sicurezza, ammettendo la possibilità che detto paese – pur assicurando protezione alla maggior parte dei suoi cittadini dal rischio di persecuzioni o violazioni gravi – non garantisce protezione sufficiente contro tali violazioni in situazioni particolari. Pertanto, se, in tali occasioni, il legislatore dell’Unione impone alle autorità nazionali competenti di discostarsi (ex post) dalla presunzione di sicurezza, non ci dovrebbero essere ragioni per escludere (ex ante) dall’ambito di applicazione di detta presunzione la categoria o le categorie di persone che esso ha già identificato come a rischio in tale paese (punto 81). Ha poi avanzato considerazioni particolarmente pragmatiche (per non definirle politiche) collegate, da un lato, alle esigenze di gestione del fenomeno migratorio, e, dall’altro, all’imminente operatività del regolamento 2024/1348, entrato in vigore l’11 giugno 2024 e destinato ad applicarsi a partire dal 12 giugno 2026. Quanto al primo aspetto, in particolare, l’AG ha evidenziato come una siffatta interpretazione del concetto di paese di origine sicuro possa rispondere all’esigenza degli Stati membri di conciliare l’obiettivo di celerità delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale che possono essere manifestamente infondate in ragione del paese di origine dell’interessato (considerando 18 e 20 della direttiva 2013/32), con la contestuale garanzia di un esame adeguato e completo delle domande presentate dalle categorie di persone escluse dall’applicazione di tale concetto. In ogni caso, l’AG ha individuato alcuni limiti che circoscrivono la discrezionalità degli Stati membri rispetto alla possibilità di procedere ad una designazione di tal fatta: i) da un lato, la situazione legale e politica di tale paese deve caratterizzarsi come un regime democratico, in modo tale che la popolazione generale benefici di una protezione durevole a fronte di un tale rischio; ii) dall’altro, tale Stato membro deve esplicitare l’esclusione di queste categorie di persone dall’ambito di applicazione della presunzione di sicurezza associata al concetto di paese di origine sicuro. Ciò presuppone che: a) le eccezioni personali siano circoscritte a un numero molto limitato di persone, salvo rimettere in discussione la presunzione di sicurezza stessa; b) le categorie escluse risultino immediatamente identificabili; c) l’esclusione sia espressamente «formalizzata».
- Ad una prima lettura delle conclusioni in commento, le soluzioni interpretative offerte non destano particolare stupore e fanno emergere un’impostazione “di compromesso”, volta principalmente a contemperare il quadro normativo di riferimento con le esigenze degli Stati membri, mantenendo sullo sfondo l’effettività della tutela dei diritti dei richiedenti asilo. Tuttavia, a ben guardare, ci sono alcuni aspetti che meritano di essere segnalati e che potrebbero avere una certa rilevanza qualora la prospettazione dell’Avvocato generale dovesse venire accolta dalla Corte di giustizia.
Innanzitutto, occorre porre l’accento sulla soluzione data dall’AG alla seconda e alla terza questione pregiudiziale. Come già evidenziato, la posizione dell’Avvocato De La Tour risulta allineata con la precedente giurisprudenza della Corte e, per quanto possibile, ne amplia la portata. Viene in evidenza, in primis, il potere/dovere riconosciuto in capo all’autorità giudiziaria di reperire autonomamente le fonti per effettuare una valutazione circa la legittimità della designazione dei paesi di origine sicuri, che si esplica non solo in caso di mancata condivisione da parte del legislatore delle fonti utilizzate per stilare la suddetta lista, ma anche in caso di necessità di un loro aggiornamento. Questa precisazione è fondamentale se letta unitamente alla scelta del legislatore italiano di affidare ad un atto di rango primario la definizione dei paesi di origine sicuri. Infatti, in ragione della natura stessa dell’atto legislativo, sarà difficile per il legislatore assicurare quel continuo e costante aggiornamento delle fonti di informazione – e, quindi, dell’elenco dei paesi considerati sicuri – imposto dalla necessità che, nell’ottica di determinare la presunzione di sicurezza, siano sempre rispettati i presupposti sostanziali fissati dall’Allegato I. Ne è una dimostrazione lampante il semplice fatto che la relazione prevista dall’articolo 2-bis, comma 4-bis, d.lgs. n. 25/2008, con cui il Governo dovrebbe riferire sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l’inclusione, è stata presentata al Senato il 1° aprile, invece che, come previsto, il 15 gennaio (quasi quattro mesi di ritardo!). Ciò detto, il fatto di attribuire all’autorità giudiziaria il compito di assicurare un esame effettivo ed ex nunc delle domande di asilo anche assicurando il corretto aggiornamento delle fonti, è certamente un segnale importante nell’ottica di delineare lo spazio del sindacato giurisdizionale.
In secondo luogo, occorre rimarcare l’impostazione dell’AG rispetto alla questione relativa al soggetto cui deve essere demandato il controllo sula violazione delle condizioni sostanziali della designazione dei paesi terzi come paesi di origine sicuri. Il punto era stato particolarmente dibattuto nell’udienza del 25 febbraio 2025 e aveva visto contrapporsi la posizione degli avvocati dei ricorrenti nelle cause principali – sostenitori dell’opportunità di assicurare un controllo diffuso sulla corretta qualificazione di un paese come sicuro –, e quella dell’Italia, appoggiata dai Governi degli Stati membri intervenuti, favorevole ad un accentramento del controllo. Ebbene, l’AG, pur non avendo affrontato direttamente la questione, nel trattare la seconda e la terza questione pregiudiziali, ha utilizzato parole inequivocabili. Ricollegando il principio di effettività della tutela alla pubblicità delle fonti di informazioni, ha affermato che «[i]n caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l’autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate nell’allegato I a detta direttiva, sulla base delle fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra quelle menzionate nell’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva medesima». E non c’è dubbio che «l’autorità giudiziaria competente» coincida con il «giudice nazionale investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto paese».
Da ultimo, un risvolto pratico non indifferente potrebbe assumere la questione dell’ammissibilità di eccezioni personali nella designazione dei paesi di origine sicuri. Infatti, pur ammettendo la compatibilità con l’impianto normativo europeo di simili eccezioni, l’AG ha individuato specifici limiti alla loro operatività, che, nei fatti, potrebbero circoscrivere in maniera rilevante la possibilità di inserire nelle liste di paesi sicuri determinati Stati. Si pensi, ad esempio, al riferimento alla situazione giuridica e politica del paese di origine preso in esame, che deve essere caratterizzata da «un regime democratico». O ancora, al limite numerico imposto alla previsione di eccezioni personali (che, in un qualche modo, si ricollega all’esistenza di una struttura democratica del paese preso in considerazione): le eccezioni devono essere circoscritte «a un numero molto limitato di persone» (par. 91). Senza contare il fatto che l’attuale lista dei paesi di origine considerati sicuri dall’Italia non prevede eccezioni per categorie di persone espressamente «formalizzate» (come richiesto dall’AG); e ciò dovrebbe comportare che, per i paesi nella lista, la valutazione di sicurezza è da intendersi senza alcuna esclusione. Ebbene, questi elementi suggeriscono di ritenere che, stando a quanto emerge dalla stessa relazione del Governo sulla situazione dei paesi di origine sicuri, sopra menzionata, almeno alcuni dei Paesi che l’Italia ha inserito nella lista dei paesi di origine sicuri – l’Egitto, il Bangladesh, l’Algeria, la Georgia, giusto per citarne alcuni – non possano essere considerati tali.
In attesa della sentenza della Corte di Giustizia, la corretta applicazione della presunzione di sicurezza di cui agli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 rimane in sospeso: occorrerà attendere (probabilmente) fino al prossimo giugno. E poi si vedrà come deciderà il giudice a quo.
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