La sicurezza alimentare nel TTIP

1. Nonostante le numerose perplessità espresse di recente dall’opinione pubblica e da alcuni dei rappresentanti degli stati membri in merito all’opportunità di portare a termine le trattative del Transatlantic Trade and Investment Partnership, (TTIP), è attualmente in corso di negoziazione il quindicesimo round del Trattato, che terminerà alla fine della prima settimana di ottobre.

Le speranze di concludere le trattative entro il 2016 stanno via via svanendo anche nei più convinti sostenitori del TTIP, come ad esempio il commissario europeo per il commercio, Cecilia Malmstrom, che, durante il meeting dei ministri del commercio degli Stati membri, tenutosi a Bratislava il 23 settembre scorso, ha ammesso che il completamento delle negoziazioni entro la fine dell’anno risulta sempre più difficile da raggiungere.

2. Com’è noto, oggetto del trattato è la creazione di una zona di libero scambio tra USA e UE, in cui le merci, i servizi e i finanziamenti possano circolare più rapidamente. Si tratta di un progetto definito già dai lavori preparatori del High Level Working Group on Jobs and Growth come “ambizioso”, per la vastità dei temi affrontati e per il livello di integrazione economica che lo stesso si propone di realizzare. L’istituzione di un mercato transatlantico fortemente integrato è una idea di molto antecedente all’inizio delle trattative del TTIP. Già dai primi anni ’90, nell’ambito delle relazioni commerciali bilaterali tra USA e la allora CE, era affiorata la prospettiva della creazione di una zona di libero scambio, prima con la Transatlantic Free Trade Area (TAFTA), poi con la New Transatlantic Marketplace Agreement (NTMA). Fino al 2013 però, allo strumento giuridico del trattato erano state preferite strategie di natura più programmatica quali dichiarazioni di intenti, road map o guidelines. La crisi del sistema multilaterale del WTO, in situazione di stallo dai primi anni 2000, congiuntamente alla necessità di rilanciare l’economia europea dopo la crisi economica, hanno orientato le relazioni commerciali transatlantiche verso la negoziazione del TTIP.

Dopo i primi tre round di contrattazione sono cominciati ad emergere importanti punti di conflitto tra le due parti: dalla presenza di una sezione dedicata alle PMI, proposta dall’Unione nel corso del quarto round, all’abolizione degli oneri doganali; dalla necessità di proteggere le indicazioni geografiche dei prodotti alla presenza nei prodotti alimentari di OGM; dalla somministrazione di ormoni agli animali da macello alla disciplina dei servizi finanziari. Particolarmente spinosi sono poi il meccanismo di risoluzione delle controversie (rimasto sospeso fino al febbraio 2016) e la cooperazione regolatoria. Quest’ultima costituisce una delle tre sezioni che compongono il progetto dell’accordo, assieme all’accesso al mercato e alla formulazione di nuove regole.

3. Tra i vari settori interessati, in questa sede ci si concentrerà sulla sicurezza alimentare. La scelta è dettata dal convincimento che questo settore sia particolarmente idoneo ad illustrare le profonde differenze tra le parti contraenti, in termini costituzionali e valoriali, e dimostri il carattere fisiologico delle difficoltà negoziali.

La cooperazione regolatoria consiste nell’avvicinamento delle regolamentazioni di USA e UE in relazione alle modalità di produzione e commercializzazione di numerosi prodotti. Per quanto concerne le misure sanitarie e fitosanitarie, viene affermato l’obiettivo di agevolare il commercio garantendo la protezione della salute umana, delle piante e degli animali e di procedere verso una maggiore integrazione dei mercati, da conseguirsi attraverso la creazione di norme comuni.

Indipendentemente da questi propositi, le differenze nei modelli di regolamentazione negli USA e nell’Unione rende difficile immaginare importanti passi avanti verso l’integrazione senza rinunciare, almeno in parte, ai propri valori, assetti organizzativi e interessi economici. Si pensi, ad esempio, alle normative sugli OGM oppure all’utilizzo di ormoni nell’alimentazione degli animali da macello. Si pensi, ancora, al sistema di immissione sul mercato dei prodotti alimentari. A questo proposito, merita ricordare che mentre la European Food Safety Authority (EFSA) è un’agenzia con il compito di condurre studi scientifici sulla sicurezza dei prodotti alimentari, la Food and Drugs Administration (FDA) si caratterizza per un mandato più ampio, cioè quello di proteggere in generale la salute dei cittadini, che si concretizza nella competenza ad effettuare sia l’attività di risk assessment sia quella di risk management.

4. Nell’Unione, il compito di svolgere il risk management ricade sulla Commissione e sugli Stati membri, i quali, nell’elaborare le strategie per la gestione del rischio, devono, tenuto conto delle evidenze scientifiche, agire in conformità al principio di precauzione. Infatti, il regolamento 178/2002 (cosiddetta General Food Law Regulation, GFL) fornisce un concetto di sicurezza alimentare alquanto ristretto, stabilendo che non possono accedere al mercato alimenti “a rischio” ovverosia quelli “dannosi per la salute” e quelli “inadatti al consumo umano” (art. 14). L’idea di pericolosità di un alimento si basa strettamente sulla valutazione della presenza di qualche “agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute;” (art. 3.14 GFL). Questa definizione crea una zona “grigia”, costituita da quegli alimenti la cui pericolosità derivi ad esempio dalle modalità di consumo. Tale limite del concetto di pericolosità viene però controbilanciato, da un lato, da una ambiziosa politica di informazione del consumatore e, dall’altro, dalla possibilità di considerare nella fase di valutazione del rischio, non soltanto l’evidenza scientifica, ma anche “ulteriori fattori, se pertinenti”.

5. Dal lato statunitense, invece, alla precauzione si contrappone la necessità di una prova positiva circa pericolosità di un prodotto per poterne vietare la commercializzazione. La scelta di mantenere distinti o meno la valutazione scientifica del rischio dalla sua gestione – che sul versante europeo testimonia il timore di competence creepda parte degli Stati membri – incide profondamente sulla differenza di competenze tra FDA e EFSA. Il rapporto tra la posizione di EFSA e quella degli organismi regolatori degli Stati membri consiste in una collaborazione trasversale in cui l’agenzia europea svolge il ruolo di coordinatore. Infatti, nonostante l’importanza centrale del parere scientifico della EFSA, confermata dal valore che la Commissione gli ha riconosciuto in passato, ad esempio nell’Austrian GMO case, essa non ha forza giuridica vincolante. Questa interpretazione del ruolo dell’EFSA è inoltre avvalorata dal fatto che per quanto concerne i possibili contrasti tra agenzie statali e EFSA relativamente ad un parere scientifico, il regolamento si limita a menzionare l’obbligo di cooperare e condividere le informazioni relative alle materie in merito alle quali sorgono le controversie (art. 30 GFL). Ad un sistema così ampiamente ramificato, se ne contrappone uno accentrato, con un’agenzia come la FDA dotata di ampi poteri regolatori e coercitivi.

6. Promuovendo un modello comune di risk assessment, il regolamento introduce una presunzione di sicurezza per i prodotti che sono conformi alla regolamentazione europea. Adottando questa strategia l’Unione evita una vera e propria armonizzazione e promuove, invece, il rispetto delle diversità culturali degli stati e il principio del mutuo riconoscimento. La politica europea della sicurezza alimentare, del resto, rientra nell’ambito della tutela del consumatore, di competenza concorrente. Gli ampi potere di cui dispongono ancora gli Stati membri si riflettono inevitabilmente sull’azione esterna dell’Unione, con la conseguenza che con tutta probabilità la conclusione di un trattato che comprenda la sicurezza alimentare avrà la forma di un accordo misto.

Tali specificità, che riflettono profonde differenze sotto il profilo costituzionale e culturale, non rendono tuttavia impossibile avanzare nelle trattative. L’accoglimento di un sistema come quello d’oltreoceano potrebbe portare verosimilmente alla rinuncia alla possibilità di valutare nel processo di regolamentazione quei fattori che esulano dalle prove scientifiche, come ad esempio le preferenze dei consumatori e la loro percezione del rischio; tuttavia, la sfida che l’Unione si propone di affrontare è proprio quella di concludere l’accordo in questione preservando il suo sistema costituzionale e valoriale. A ben vedere, infatti, il processo di risk assessment e di risk management sono intrinsecamente collegati e si influenzano vicendevolmente, ponendo il piano delle valutazioni scientifiche in continuo dialogo con le problematiche pratiche e tecniche di gestione del rischio, senza però che ciò faccia venir meno la ragione della loro distinzione.

Nelle aree di incertezza scientifica entrano inevitabilmente in gioco scelte politiche che orientano il legislatore da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Inoltre non bisogna lasciarsi ingannare dall’espressione “more evidence-based” o “science-based” che si usa per indicare il sistema di regolamentazione statunitense. Infatti, l’enfasi che si pone sulla dimensione scientifica del meccanismo di valutazione del rischio statunitense non vale a renderlo più oggettivo e imparziale. Nell’Unione la prova scientifica costituisce la soglia limite di protezione al di sotto del quale la normativa dei singoli stati membri non può scendere; dal lato statunitense, invece, essa è il requisito sufficiente e necessario indispensabile per la commercializzazione del prodotto. Ma la scelta di attendere la prova positiva della pericolosità di prodotto prima di introdurlo sul mercato è già una scelta politica che risponde a determinati interessi e caratteristiche giuridiche e politiche.

7. La decisione di dare provvisoria applicazione al Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), accordo commerciale tra Unione europea e Canada, potrà fornire un importante banco di prova per valutare l’opportunità di concludere o meno il TTIP. Il CETA, è un accordo commerciale concluso dall’Unione nell’agosto 2014, a cui ora, a seguito di una decisione presa dal Consiglio, si darà applicazione provvisoria, ovvero preventiva rispetto al completamento della procedura di ratifica da parte di tutti gli Stati Membri. Il CETA presenta dei profili di affinità con il TTIP, in quanto entrambi sono accordi commerciali volti ad incrementare gli scambi nell’ambito del commercio internazionale. Con tutta evidenza, l’attuazione provvisoria del CETA e la sua ratifica da parte dei parlamenti nazionali offriranno numerosi spunti per valutare l’opportunità di proseguire nelle negoziazioni del TTIP.

8. La volontà di continuare nelle negoziazioni e di giungere alla definizione della maggior parte delle posizioni comuni è stato affermato dal Commissario Europeo per il Commercio all’indomani della Brexit e riaffermato durante il round del luglio del 2016. Pare tuttavia pacifico che l’auspicio di conseguire tale obiettivo prima che termini il mandato del Presidente Obama è alquanto poco probabile. In questo senso, il futuro del TTIP sarà fortemente condizionato all’esito delle elezioni presidenziali negli USA. Infatti, entrambi i candidati alla presidenza statunitense hanno apertamente dichiarato di essere sfavorevoli al proseguimento delle trattative.

Proprio da questo fattore derivano posizioni espresse da alcuni ministri e capi di stato europei al termine della pausa estiva. Oltre al futuro estremamente incerto dovuto ai sostanziali cambiamenti politici oltreoceano sono state evidenziate la lentezza delle trattative, la difficoltà di giungere ad un punto di convergenza su svariate posizioni e la preoccupazione di concludere un accordo altamente squilibrato a discapito dei Paesi dell’Unione. La dichiarazione del vice cancelliere tedesco Gabriel, che definiva il TTIP un accordo ormai arenato, ha sollevato diverse polemiche. Nonostante queste dichiarazioni siano state prontamente ribattute dalla Commissione europea, che ha ribadito l’importanza di proseguire le negoziazioni, le opinioni espresse da alcuni rappresentanti degli Stati membri non possono e non devono essere sottovalutate.

9. Lo scorso 14 settembre, infatti, solo dodici dei ventotto stati membri hanno espresso il loro supporto alle trattative in una lettera indirizzata al commissario europeo per il commercio. A sostegno del TTIP si sono schierati apertamente: Gran Bretagna, Svezia, Italia, Spagna, Portogallo, Lituania, Lettonia, Iralanda, Estonia, Finlandia, Repubblica Ceca e Danimarca. Sebbene la Germania non figuri tra i firmatari della lettera, in occasione del vertice di Bratislava il Governo tedesco ha espresso la volontà di continuare le negoziazioni. Per altro verso, merita ricordare la proposta adottata durante la riunione dello scorso 23 Settembre, da Fekl, ministro del commercio francese e da Mitterlehner, ministro per il commercio austriaco, volta a richiedere la sospensione delle negoziazioni fino alle elezioni presidenziali americane e cominciare nuove trattative per la conclusione di un accordo commerciale con una denominazione diversa da TTIP.

Ciò detto, la maggioranza degli Stati membri ha concesso al trattato un nuovo round di negoziazione che sarà fondamentale per potere definire le sorti dell’accordo oggetto del quale sarà verosimilmente anche la palese opposizione al trattato dichiarata dai due candidati americani Clilton e Trump. A causa della crisi del sistema del WTO si stanno creando nuovi equilibri economici mondiali incentrati su singoli accordi regionali, contesto in cui l’Europa deve ancora pienamente conquistare la sua posizione. In particolare, con la conclusione dell’accordo TPP tra Stati Uniti e Paesi Asiatici, l’Unione deve potersi garantire una partecipazione attiva nella definizione delle regole del commercio internazionale concludendo autonomi accordi commerciali. Ciò non può però portare l’Unione a rinunciare alla sua identità, concludendo un accordo che contrasta, almeno in parte, con l’obbligo di rispettare le diversità nazionali e che divide profondamente l’opinione pubblica. E’ in questo frangente che l’Unione deve dimostrare di essere in grado di raggiungere quell’equilibrio tanto ricercato tra la promozione delle libertà economiche, su cui si basa il suo mercato interno, il rispetto delle specificità nazionali e la tutela dei diritti dei suoi cittadini. Tuttavia, la scelta dello strumento adatto per il perseguimento di tale fine, è tutt’altro che scontata.


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