La relazione sull’attuazione dell’articolo 43 della direttiva 2013/32/UE denuncia le criticità derivanti dall’applicazione della procedura di frontiera

In data 20 gennaio 2021 la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo ha pubblicato la Relazione sull’attuazione dell’articolo 43 della Direttiva 2013/32/UE.

La direttiva 2013/32/UE, che costituisce rifusione della direttiva 2005/85/CE, è finalizzata a sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, così da costituire una procedura comune di asilo nell’Unione. L’articolo 43, in particolare, prevede, a discrezione degli Stati membri, la possibilità di adottare la procedura di frontiera: la domanda di protezione internazionale deve essere scrutinata in tempi ragionevolmente brevi, ma pur sempre nel rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie procedurali di cui al capo II della direttiva. Tuttavia, la norma stabilisce che se la domanda non viene esaminata entro le quattro settimane, il richiedente è ammesso nel territorio dello Stato membro, affinché la sua domanda sia esaminata seguendo la procedura ordinaria.

I dieci casi tassativi, ai quali è possibile applicare la procedura di frontiera, sono elencati all’art. 31 paragrafo 8 della direttiva e sono alternativi fra loro, definiti in maniera piuttosto vaga da lasciare un grande margine di manovra agli Stati, con conseguente mancanza di uniformità nell’UE in sede di applicazione della procedura di frontiera.

Il documento fornisce in maniera sintetica e schematica i profili critici che accomunano le varie e differenti discipline della procedura di frontiera previste negli ordinamenti giuridici degli Stati membri che hanno deciso di dare attuazione all’art. 43. La relazione presenta, in particolare, due aspetti rilevanti:

  1. In primo luogo, la Commissione europea dall’adozione della direttiva non ha mai presentato una relazione di esecuzione delle procedure di asilo nei vari Stati membri, nonostante ciò fosse ricompreso nei suoi compiti, e nello specifico non ha mai presentato una relazione sulle modalità con le quali gli Stati membri applicano le procedure di frontiera, nonché sui problemi e le lacune di applicazione.
  2. In secondo luogo, la procedura di frontiera è un elemento chiave e assume un ruolo cruciale nella nuova Proposta modificata di regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/ UE avanzata dalla Commissione europea. Difatti, la proposta prevede l’obbligatorietà della procedura di frontiera in determinati – e più estesi – casi.

 

Pertanto, alla luce dei menzionati elementi, il documento pubblicato dalla Commissione per la libertà civili, la giustizia e gli affari interni assume un valore di rilievo, sebbene, come viene specificato nella relazione, non intenda sostituire la completa (e attesa) relazione di esecuzione della direttiva da parte della Commissione, né valutare gli impatti delle nuove proposte avanzate. La finalità della relazione in esame è da individuarsi, invece, nella volontà di fornire dati concreti al Parlamento europeo con il proposito di rendere quest’ultimo in grado di adottare decisioni informate nei prossimi negoziati per il Patto sull’immigrazione e sull’asilo.

Passando, dunque, al contenuto della relazione, redatta sulla base dei dati forniti dall’EPRS (Servizio Ricerca del Parlamento europeo), in merito all’attuazione della procedura di frontiera nei vari ordinamenti giuridici degli Stati membri, emergono una serie di criticità ravvisabili in pratiche illegittime di trattenimento dei richiedenti asilo, nella violazione dei diritti fondamentali e nella mancanza di garanzie procedurali.

Un primo aspetto problematico, che emerge dalla valutazione dell’attuazione dell’art. 43, è dato dalla la circostanza che vede, di fatto e in maniera sistematica, i richiedenti asilo nell’ambito delle procedure di frontiera trattenuti, anche qualora non venga riscontrato uno dei motivi di trattenimento previsti nella direttiva 2013/33/UE (direttiva sulle condizioni di accoglienza). Questa pratica, oltre al fatto di basarsi su una finzione giuridica di non ingresso, privando la libertà personale del richiedente asilo, va a ledere i diritti fondamentali della persona. In aggiunta, una diretta conseguenza di tale prassi è l’impossibilità di accedere a garanzie procedurali, come il controllo giurisdizionale del trattenimento.

Per scongiurare tale pratica, la Commissione ravvisa nell’adozione di meccanismi di monitoraggio indipendenti una possibile soluzione: con l’istituzione di organismi preposti al controllo sarebbe possibile prevenire pratiche illegittime, garantire che gli Stati membri rispettino il diritto internazionale e dell’UE alle frontiere esterne e assicurare che presso le strutture di frontiera non vi sia una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Un secondo rilievo riguarda la violazione del diritto internazionale e dell’Unione: sono stati riscontrati numerosi casi di rifiuto di ingresso o di respingimento di persone durante le procedure di frontiera, senza che sia stata svolta una valutazione delle esigenze di protezione del singolo caso e senza la registrazione delle domande di protezione internazionale, ciò in netto contrasto con il diritto della persona straniera di presentare domanda di asilo.

Emerge dalla relazione un ulteriore elemento allarmante: gli Stati membri non dispongono di meccanismi adeguati al fine di verificare le situazioni di vulnerabilità, che per la loro natura necessiterebbero di garanzie procedurali speciali e un sostegno adeguato, come nel caso di minori e delle persone con vulnerabilità invisibili, quali vittime di tortura o abusi sessuali.

Infine, la relazione segnala problemi significativi per quanto concerne le garanzie procedurali: la compressione del diritto del richiedente di essere informato in merito alla procedura di asilo e dei propri diritti, la contrazione del diritto all’assistenza da parte di un interprete e di un avvocato e la limitazione del diritto a un ricorso effettivo sono la diretta conseguenza dei tempi davvero ristretti previsti per la procedura di frontiera e della pratica di trattenimento dei richiedenti.

La conclusione a cui giunge la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni è la seguente: la procedura di frontiera non costituisce una procedura equa poiché, se si dovesse seguire il paradigma della celerità, che caratterizza tale procedura, si avrebbe una notevole contrazione delle garanzie procedurali; se, invece, si volesse operare nel rispetto di tali garanzie, il trattenimento (che di fatto avviene nelle procedure di frontiera) si protrarrebbe per un periodo troppo lungo, comportando così una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Pertanto, la Commissione invita gli Stati membri a non adottare tale procedura e, anzi, sottolinea che gli Stati non dovrebbero essere in ogni caso obbligati ad applicarla: le implicazioni, che deriverebbero dalla obbligatorietà di tale procedura, sarebbero problematiche e non di poco conto.

Difatti, come risulta dalle modalità con le quali i vari Stati membri hanno dato attuazione all’art. 43 della direttiva, la procedura di frontiera, sebbene sulla carta sia prevista una serie di garanzie a tutela del richiedente asilo, per la celerità che la contraddistingue, di fatto comporta una vera compressione delle libertà fondamentali della persona straniera. Quindi, dalla previsione di obbligatorietà di tale procedura, non accompagnata da una disciplina uniforme chiara e precisa da parte del legislatore europeo, che abbia effettivamente tenuto conto delle criticità che sono emerse dalla prassi, e priva della contestuale istituzione di un meccanismo di controllo in capo a un’autorità indipendente sul rispetto delle garanzie in favore del richiedente, conseguirebbe la violazione – senza menzionare il potenziale contrasto di tale procedura con le Carte costituzionali degli Stati membri – dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea di cui all’ art. 4 (il divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti); art. 6 (diritto alla libertà e alla sicurezza); art. 18 (il diritto di asilo); art. 24 (diritti del minore); art. 47 ( il diritto a un ricorso effettivo).

A parere della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, se si vuole comunque perseguire la strada dell’applicabilità della procedura di frontiera, questa dovrebbe essere limitata ai casi meno complessi, come la circostanza in cui al richiedente sia stata già concessa la protezione in un altro Stato membro o i casi che sollevano solo questioni non pertinenti ai fini dell’esame della procedura di asilo.

In conclusione, la relazione in esame, mettendo in luce le diverse e significative questioni problematiche relative all’attuazione della procedura di frontiera, rappresenta una svolta decisiva su due piani distinti.

Da una parte, in mancanza della relazione della Commissione europea sull’attuazione dell’art. 43 della direttiva, manifesta una prima e aperta denuncia, a livello europeo, delle pratiche illegittime e della violazione sistematica dei diritti fondamentali della persona perpetrate nell’ambito delle procedure di frontiera dai vari Stati membri; dall’altra, offre elementi dai quali il legislatore europeo e i legislatori dei singoli Stati membri dovrebbero comprendere l’opportunità di rivalutare la disciplina in materia, in modo tale da poter definire un sistema – non solo sulla carta ma anche al momento della sua attuazione – che possa conciliare gli interessi degli Stati membri con l’indefettibile garanzia dei diritti spettanti in capo a chiunque voglia presentare domanda di protezione internazionale.


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