La Relazione dei cinque Presidenti sul completamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa

Come sovente accade, i problemi contingenti (Grexit) hanno distolto l’attenzione da questioni più generali che pure ben potrebbero, se non risolvere quegli stessi problemi, quantomeno ostacolarne la riproposizione.

Vero è, però, che la Relazione “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa”, presentata il 22 giugno 2015 dai cinque Presidenti di Commissione, Consiglio europeo, Eurogruppo, Banca centrale europea e, per la prima volta, Parlamento europeo, ha fatto ben poco per mettersi in mostra, proponendo obiettivi modesti e procrastinando quelli più ambiziosi.

Questo documento costituisce l’ultimo atto del ricco dialogo interistituzionale (nei cui lavori preparatori, però, “Member States will be closely involved”) che ha preso le mosse dal c.d. Rapporto Van Rompuy del giugno 2012, seguito da una relazione intermedia ad ottobre 2012 e dalla Relazione degli allora quattro Presidenti intitolata “Verso un’autentica Unione economica monetaria”, presentata il 5 dicembre 2012. Esso è stato poi affiancato dall’iniziativa autonoma di Commissione e Parlamento europeo, e precisamente dal “Piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita” pubblicato dalla prima il 30 novembre 2012 e dalla Risoluzione del 20 novembre 2012 adottata dal secondo. Il dibattito è stato poi riacceso dall’invito dell’Euro Summit del 24 ottobre 2014, che ha portato alla Nota analitica del 12 febbraio 2015 curata dal Presidente Juncker, (su cui v. F. Croci, in questa Rivista) che costituisce espressamente la base negoziale della Relazione in esame. La partecipazione del Presidente del Parlamento alla preparazione di quest’ultima, peraltro, non era prevista nel “mandato” contenuto nelle conclusioni del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014; essa si deve alla volontà del Presidente della Commissione, che ha espresso tale intenzione proprio nella già citata Nota analitica (p. 9).

Nel merito, la Relazione conferma il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria (UEM) sulla base dei quattro “pilastri” dell’Unione economica autentica, dell’Unione finanziaria, dell’Unione di bilancio e dell’Unione politica, già noti dai precedenti passaggi del dialogo interistituzionale in materia. Di questi, sono i primi due settori a godere della maggiore attenzione, soprattutto nell’immediato. Spicca, da una prospettiva generale, l’assenza di menzioni ad un’unione più stretta tra i soli Paesi dell’Eurozona – un’idea sempre più ricorrente tra i commentatori e che ha avuto anche solidi appoggi politici da alcune cancellerie – così come la superficialità di molti passaggi, teoricamente chiamati a rispondere ai quesiti, piuttosto incisivi, che la Nota analitica anzidetta aveva posto alla base delle successive discussioni.

L’approccio proposto, in ogni caso, si divide in tre fasi.

La prima è chiara e dettagliata, anche se di certo poco ambiziosa; si tratta di un periodo di due anni da ora al 30 giugno 2017, in cui i cinque Presidenti propongono una nutrita serie di provvedimenti chiamati a rilanciare la competitività dei Paesi membri e la convergenza delle loro politiche economiche e di bilancio. Le proposte più complete e che sembrano dimostrare il grado maggiore di sintonia tra gli Stati membri e le istituzioni vertono sul completamento dell’Unione bancaria (sia nel suo secondo, sia nel suo terzo e ancora instituendo pilastro), sulla creazione in ogni Stato membro dell’Eurozona di un’autorità incaricata di monitorare i risultati e le politiche in materia di competitività e sull’istituzione di un Comitato europeo per le finanze pubbliche, di carattere consultivo. In entrambi questi ultimi casi, non può non sottolinearsi come, una volta di più, l’Unione sembra individuare nella sola via tecnocratica lo strumento migliore per garantire il perseguimento di determinati obiettivi. Infatti, il rafforzamento istituzionale e democratico è sì previsto, ma con un grado di dettaglio ed incisività sensibilmente minore: Parlamento europeo e Parlamenti nazionali potrebbero, genericamente, rafforzare la loro cooperazione, magari invitando Commissari o rappresentanti del Consiglio durante le proprie riunioni congiunte; la Commissione potrebbe presentare al Parlamento europeo, in seduta plenaria, l’analisi annuale della crescita dell’Eurozona prevista dalle modifiche al semestre europeo proposte nella stessa Relazione.

La seconda fase andrebbe dal 30 giugno 2017 fino, al più tardi, al 2025 (!): è a tale lasso di tempo che vengono confinati  gli impegni più importanti, che vengono sì menzionati, ma trattati molto superficialmente. È questo soprattutto il caso dell’integrazione del MES e della relativa governance nell’ordinamento giuridico dell’Unione, dell’individuazione – eventuale – di una Presidenza fissa dell’Eurogruppo (benché la rappresentanza esterna dell’UEM venga astrattamente descritta come obiettivo di fondamentale importanza), dell’istituzione di una tesoreria autonoma dell’Eurozona, della creazione di una funzione di stabilizzazione macroeconomica per l’Eurozona.

Dell’ultima fase, da attivarsi entro il 2025, non si dice alcunché – ulteriore segnale di un documento tanto pragmatico quanto poco ambizioso e lungimirante. Il Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015 avrebbe dovuto discutere questa Relazione, così come le proposte formulate autonomamente da alcuni Stati membri (si veda l’interessante e coraggioso documento proposto dal Governo Italiano, così come il più accorto contributo franco-tedesco). Come accennato, il momento non pare propizio e, anzi, la questione è stata rimessa al Consiglio, che è stato “invitato ad esaminare [la Relazione] rapidamente” – nella speranza, evidentemente, che gli esiti della questione greca non impongano una revisione ben più profonda dell’UEM.


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