La nuova proposta della Commissione europea sul concetto di Paese terzo sicuro: revisione del connection criterion e dell’effetto sospensivo dell’impugnazione

  1. Il contesto in cui si inserisce la proposta del 20 maggio 2025

Secondo quanto previsto dall’art. 77 del regolamento 2024/1348 che disciplina la procedura comune di protezione internazionale nell’Unione (c.d. regolamento “procedure”) la Commissione europea, entro il 12 giugno 2025, è tenuta a rivedere la nozione di Paese terzo sicuro disciplinata dallo stesso regolamento (art. 59) e, laddove lo ritenga opportuno, a proporre eventuali emendamenti rispetto al concetto in questione. Dando seguito a tale previsione, il 20 maggio 2025 la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento procedure proprio in relazione al concetto di Paese terzo sicuro.

La proposta fa seguito ad una precedente, presentata il 16 aprile 2025, con la quale la Commissione ha avanzato l’ipotesi di anticipare l’applicazione di alcune componenti del Patto sulla Migrazione e l’Asilo, inizialmente prevista per il giugno 2026 (per uno sguardo di insieme agli atti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo si vedano, tra gli altri, A. Di Pascale, Pubblicati gli atti che compongono il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo e B. Nascimbene, Editoriale). In particolare, si fa riferimento alla modifica che il regolamento 2024/1348 apporta alla direttiva 2013/32, la quale attribuisce alle autorità nazionali la competenza per la designazione dei Paesi di origine sicuri, introducendo la possibilità di predisporre una lista a livello dell’Unione. Pertanto, la Commissione ha presentato un primo elenco di Paesi di origine sicuri, comprendente Kosovo, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco e Tunisia. Ha inoltre previsto la possibilità di applicare la procedura accelerata alle domande di asilo di richiedenti provenienti da Paesi terzi con un tasso di riconoscimento della protezione internazionale inferiore al 20%. La Commissione ha altresì proposto l’applicazione anticipata di quelle disposizioni che consentono la designazione di un Paese terzo o di un Paese di origine come “sicuri” stabilendo eccezioni relative a specifiche regioni dello Stato o categorie di soggetti chiaramente identificabili (per un’analisi approfondita della proposta, si veda ASGI, Il concetto di Paese di Origine Sicuro e il diritto d’asilo: una forbice che si allarga sempre di più).  

Guardando alla più recente proposta presa in esame, la fattispecie di Paese terzo sicuro è disciplinata attualmente dall’art. 33 della direttiva 2013/32 e, in applicazione di tale concetto, gli Stati membri possono ritenere inammissibili le domande di protezione internazionale di richiedenti provenienti da tali Paesi, evitando un’analisi nel merito della richiesta. Già il reg. 2024/1348 ha apportato alcune modifiche al concetto del Paese terzo sicuro, cercando di renderlo maggiormente flessibile e di ampliarne l’applicabilità. In particolare, ha esteso i criteri che consentono di qualificare un Paese terzo come “sicuro”, ammettendo che possano rientrarvi anche Stati che non sono parte della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951, purché siano in grado di offrire una adeguata protezione. Inoltre, si fa un esplicito riferimento ai legami familiari o alle esperienze di soggiorno nel Paese come indici di una connessione con lo stesso. È altresì possibile che un Pease terzo sia qualificato come “sicuro” prevedendo eccezioni per parti individuate del suo territorio o per categorie di soggetti chiaramente identificabili. Ancora, il regolamento stabilisce una presunzione di sicurezza rispetto a quei Paesi con cui l’Unione europea abbia concluso accordi internazionali ai sensi dell’art. 218 TFUE. Infine, l’UE può disporre elenchi comuni di Paesi qualificati come “sicuri”, non precludendo tuttavia agli Stati membri la possibilità di individuarne ulteriori a livello nazionale.

L’analisi della Commissione europea, che ha condotto all’elaborazione della proposta presentata il 20 maggio scorso, si è incentrata sugli elementi costitutivi del concetto di Paese terzo sicuro e le sue modalità di applicazione ai sensi del regolamento procedure. In primo luogo, sono state esaminate le condizioni affinché un Paese sia qualificato come “sicuro”, alla luce dei criteri individuati all’art. 59 del medesimo regolamento, quali l’assenza di un rischio di persecuzione o danno grave, la possibilità di richiedere e ricevere protezione effettiva ai sensi dell’art. 57 (se sono rispettati i necessari presupposti), e il rispetto del principio di non refoulement. In seguito, è stato analizzato l’elemento concernente l’esistenza di un legame tra il richiedente asilo e il Paese in questione e, infine, il tema del rispetto delle garanzie del giusto processo, con riferimento all’accertamento della sicurezza del Paese terzo, alla possibilità di contestare in giudizio l’esistenza di un legame con il Paese terzo e al carattere automatico dell’effetto sospensivo dell’impugnazione.

Alla luce di queste valutazioni, la Commissione è giunta alla conclusione di poter rivedere, in primis, il c.d. connection criterion, vale a dire il criterio di connessione che evidenzia un legame significativo intercorrente tra il richiedente e il Paese terzo sicuro, tale da giustificarne il trasferimento in tale Stato. In secondo luogo, ha ritenuto di poter apportare alcune modifiche all’effetto sospensivo automatico dell’impugnazione avverso i provvedimenti di diniego della protezione internazionale adottati sulla base del concetto di Paese terzo sicuro. Secondo la Commissione, gli altri aspetti concernenti i criteri di sicurezza sono già in linea con gli standard minimi richiesti dal diritto internazionale e, di conseguenza, non vi sarebbero altri margini di revisione. Gli ulteriori elementi connessi al tema del giusto processo sono requisiti previsti, sia dalla normativa dell’Unione europea, che dal diritto e dalla giurisprudenza internazionali, come essenziali alla garanzia del principio di non refoulement e dei diritti fondamentali del richiedente, ragione per cui, in considerazione della natura vincolante di tali prescrizioni, non possono essere rivisti.

  1. La modifica del criterio di connessione (connection criterion)

La Commissione ha ritenuto che vi sia spazio per una modifica del criterio di connessione, visto che lo stesso non è imposto né dalla Convenzione di Ginevra, né dal sistema europeo di tutela dei diritti umani. L’esigenza di modifica di tale criterio si giustifica, secondo la Commissione, anche in ragione del fatto che gli Stati membri lo hanno individuato come l’elemento che impatta maggiormente su una più agevole applicazione del concetto di Paese terzo sicuro. Sulla base di queste considerazioni, la Commissione ha valutato tre diverse alternative di revisione del criterio di connessione, giungendo, infine, a formulare la proposta definitiva.

La prima opzione consiste nella rimozione della natura vincolante del criterio di connessione dal diritto dell’Unione europea, lasciando agli Stati membri la possibilità di applicarlo o meno, e di definirlo autonomamente secondo la legge nazionale. Una simile modifica consentirebbe un ampliamento del novero di soggetti cui potrebbe applicarsi il concetto di Paese terzo sicuro e di Stati terzi con cui collaborare in applicazione di questo principio, senza che sia più richiesto un legame con gli stessi. Ad ogni modo, questa modifica dovrebbe comunque applicarsi rispettando i presupposti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e prevedendo la possibilità di escludere specifici gruppi di richiedenti ritenuti vulnerabili o introducendo apposite misure per prevenire la fuga dei richiedenti cui si applica il concetto di Paese terzo sicuro, come una presunzione di rischio di latitanza in queste ipotesi o forme di detenzione per contenere il pericolo. Questo scenario richiederebbe anche la conclusione di accordi con Stati terzi affinché siano esaminate nel merito le domande di protezione internazionale ritenute inammissibili sulla base del concetto di Paese terzo sicuro.

La seconda alternativa prevede di considerare sufficiente, ai fini dell’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro, il transito del richiedente attraverso un Paese terzo ritenuto tale. Si introdurrebbe così un criterio di connessione che consente di individuare un legame oggettivo con un Paese terzo sicuro, lasciando in capo alle autorità competenti dello Stato membro l’onere di provare che tale transito è avvenuto. Potrebbe inoltre essere introdotta una presunzione relativa di transito in un Paese terzo sicuro, in base alla quale dovrebbe ritenersi che un individuo che sia arrivato in modo irregolare sul territorio dell’Unione europea, e non sia in grado di dimostrare il tragitto percorso, si consideri transitato almeno in un Paese terzo. Tuttavia, la Commissione ha osservato che l’introduzione di una tale presunzione implicherebbe un incremento del contenzioso, aspetto del tutto contrario all’obiettivo di semplificazione che si persegue tramite il concetto di Paese terzo sicuro.

Da ultimo, la terza alternativa consiste nel proporre di definire la “connessione” in ragione di legami culturali o in base alla conoscenza della lingua, in aggiunta al criterio del transito, ritenendoli sufficienti per stabilire una connessione tra il richiedente e il Paese terzo. Questo consentirebbe di ampliare il novero di potenziali Paesi terzi sicuri, andando oltre quelli che si collocano sulla rotta verso l’Unione europea, e dovrebbe facilitare l’integrazione del richiedente una volta trasferito nel Paese con il quale manifesta tali legami. Ciononostante, l’onere di provare questa connessione ricadrebbe nuovamente sulle autorità competenti dello Stato membro, aspetto non in linea con lo scopo di semplificazione perseguito con le modifiche proposte.

All’esito di tali valutazioni, la proposta della Commissione ridefinisce il criterio di connessione nei seguenti termini: gli Stati membri possono applicare il concetto di Paese terzo sicuro quando sussiste un legame tra il richiedente e il Paese terzo in questione; quando il richiedente vi ha transitato e tale transito è dimostrato; quando è stato stipulato un accordo con un Paese terzo sicuro, con il quale quest’ultimo si impegni a garantire l’esame nel merito della domanda di protezione internazionale del richiedente trasferito sul suo territorio. Tale soluzione non può essere applicata alle domande di asilo dei richiedenti che siano minori non accompagnati, per i quali sarà comunque necessario individuare un legame con il Paese terzo sicuro o provare il transito attraverso lo stesso.

  1. L’eliminazione dell’effetto sospensivo dell’impugnazione

Il secondo aspetto sul quale ha inciso la proposta di revisione della Commissione europea consiste nell’eliminazione dell’automatico effetto sospensivo della proposizione di un’impugnazione delle decisioni di rimpatrio basate sul concetto di Paese terzo sicuro. Attraverso questa modifica, i richiedenti destinatari di una decisione di inammissibilità della domanda che presentino un ricorso avverso tale provvedimento, non avranno più diritto a rimanere nello Stato membro nel corso del giudizio di impugnazione. Questo assume un rilievo particolarmente significativo se si considera che le domande dei richiedenti provenienti da Paesi terzi sicuri non vengono esaminate nel merito, e, dunque, il richiedente può essere trasferito o rimpatriato ancor prima che il giudice abbia valutato il suo caso. In quest’ottica, l’effetto sospensivo automatico dell’impugnazione costituisce un baluardo del principio di non refoulement e dei diritti fondamentali, poiché evita che sia data esecuzione al trasferimento del richiedente nel Paese terzo ritenuto sicuro fino a quando il giudice non abbia confermato quanto deciso con il provvedimento di diniego. Secondo la Commissione, tuttavia, una tale modifica consentirebbe di rendere più rapido il meccanismo di attuazione dei provvedimenti di inammissibilità delle domande di richiedenti provenienti da Paesi terzi sicuri, consentendone il trasferimento anche in pendenza di giudizio. Un’ulteriore conseguenza di questa modifica è la riduzione dell’uso strumentale del ricorso, quando esso viene presentato al solo scopo di ritardare il trasferimento verso il Paese terzo, senza basarsi su motivazioni fondate o pretese effettive. A tutela del richiedente rimane comunque la possibilità di formulare un’istanza di sospensione dell’effetto del provvedimento e, in ogni caso, l’effetto sospensivo automatico permane quando si supponga che, in caso di trasferimento nel Paese terzo, il richiedente possa subire un danno grave o trattamenti inumani e degradanti, oppure che sia violato il principio di non refoulement.

  1. Le consultazioni con le parti interessate

La revisione del connection criterion e dell’effetto sospensivo dell’impugnazione sono stati oggetto delle consultazioni che la Commissione ha svolto, tra dicembre 2024 e febbraio 2025, con le parti interessate. I soggetti coinvolti sono gli Stati membri, il Parlamento europeo, le organizzazioni della società civile e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

La Commissione, pur evitando di precisare (tanto all’interno della proposta, quanto nello Staff Working Document) quali sono le posizioni dei singoli Stati membri, riporta che la maggioranza di questi ha espresso pareri favorevoli circa le modifiche, sottolineando, in particolare, come la rimozione del criterio di connessione consentirebbe maggior efficienza e flessibilità nella gestione delle domande di protezione internazionale, soprattutto nei momenti di forte pressione migratoria. Le modifiche proposte permetterebbero altresì di agevolare la collaborazione con gli Stati terzi, attraverso la stipula di nuovi accordi relativi alla gestione congiunta del fenomeno migratorio. Tale modalità di coordinazione tra Stati membri e Paesi terzi comporta una condivisione e una ridistribuzione della responsabilità tra le parti rispetto agli obblighi connessi al sistema di protezione internazionale, alleggerendo il carico di lavoro delle amministrazioni del singolo Paese. Dunque, secondo la Commissione, gran parte degli Stati membri guarda con favore alla proposta del 20 maggio, visto che la stessa permetterebbe di ampliare il novero di Paesi qualificabili come “sicuri” e di richiedenti ai quali può applicarsi tale concetto, di snellire i procedimenti amministrativi, velocizzando le procedure di valutazione delle richieste di asilo, e semplificando i rapporti di collaborazione con gli Stati terzi.

Vi sono tuttavia alcuni (non meglio specificati) Stati membri che hanno espresso un parere contrario, sottolineando come la rimozione del criterio di connessione potrebbe mettere a repentaglio l’integrazione dei richiedenti nei Paesi terzi sicuri e incrementare il rischio di nuove migrazioni irregolari, finalizzate a rientrare nel territorio dell’Unione europea una volta avvenuto il trasferimento nel Paese terzo ritenuto sicuro. Ulteriore criticità sottolineata dagli Stati contrari alla modifica attiene al fatto che questa iniziativa potrebbe portare a ulteriori spostamenti interni all’Unione, verso Stati membri in cui il concetto di Paese terzo sicuro non è applicato o, comunque, è applicato mantenendo il criterio di connessione. Alcuni Stati hanno poi messo in evidenza come le Corti nazionali potrebbero sospendere i trasferimenti ai sensi del regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (che sostituisce il regolamento c.d. Dublino III) verso altri Stati membri in cui il concetto di Paese terzo sicuro è applicato in modo illegittimo. Ulteriore valutazione attiene al rischio di fuga dei richiedenti ai quali può applicarsi questo concetto. Tuttavia, la maggior parte degli Stati membri interpellati ritiene che gli strumenti previsti dalla direttiva 2024/1346, quali restrizioni della libertà di movimento e detenzione, siano sufficienti a contenere il pericolo. In linea generale, è stata manifestata una complessiva preoccupazione circa la necessità di assicurare il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, di proteggere i richiedenti vulnerabili e di evitare di trasferire la responsabilità di gestione delle domande di protezione internazionale verso i Paesi terzi.

Le consultazioni con il Parlamento europeo hanno evidenziato profonde divergenze tra i membri, alcuni dei quali hanno accolto con entusiasmo le proposte, mentre altri hanno espresso profonde preoccupazioni al riguardo. I primi hanno enfatizzato i risvolti positivi che la modifica avrebbe sull’efficienza del sistema e sulla riduzione dei movimenti secondari, laddove i secondi hanno sottolineato come l’eliminazione del criterio di connessione renderebbe maggiormente difficoltosa l’integrazione del richiedente nel Paese terzo ritenuto sicuro, potrebbe lasciarlo privo di protezione e porterebbe, al contrario, a un incremento dei movimenti secondari. Una ulteriore valutazione negativa attiene al fatto che l’eliminazione dell’effetto sospensivo automatico dell’impugnazione incrementerebbe il lavoro dei giudici nazionali e il rischio di refoulement. In posizione intermedia si collocano coloro che invitano le istituzioni europee ad accompagnare le modifiche al concetto di Paese terzo sicuro con solidi accordi con gli Stati terzi, per garantire una effettiva protezione ai richiedenti.

Le organizzazioni della società civile, infine, hanno complessivamente espresso un parere sfavorevole alla revisione del concetto di Paese terzo sicuro, evidenziando come l’applicazione massiva del concetto in questione potrebbe persino avere l’effetto di disincentivare i Paesi terzi a sviluppare un adeguato sistema di protezione, onde evitare di essere considerati per l’applicazione di tale concetto. In aggiunta, l’UNHCR, pur riconoscendo che il criterio di connessione non è obbligatorio secondo il diritto internazionale, ha comunque manifestato perplessità circa la rimozione dello stesso, in particolare rispetto alla sostenibilità dei trasferimenti verso i Paesi terzi sicuri in assenza di alcun legame con il richiedente.

Rispetto alla rimozione dell’automatismo nell’effetto sospensivo dell’impugnazione, la maggior parte degli Stati membri e alcuni membri del Parlamento europeo si sono espressi a favore, nell’ottica di ridurre i ritardi procedurali, evitarne un utilizzo abusivo, e ridurre l’impegno finanziario necessario a provvedere alle esigenze del richiedente nel corso dell’esame del suo ricorso. UNHCR, le organizzazioni della società civile e solo alcuni Stati membri e componenti del Parlamento europeo hanno espresso preoccupazioni, ritenendo che sarebbe incrementato significativamente il lavoro dei giudici dell’impugnazione e si esporrebbero i richiedenti al rischio di refoulement, di detenzione nel corso del giudizio e di trasferimenti ingiusti dei richiedenti a rischio.

  1. Considerazioni conclusive

La proposta della Commissione si pone nell’ottica di favorire l’efficienza del sistema di asilo, ampliando il concetto di Paese terzo sicuro e privandolo di alcuni vincoli che ne ostacolano il pieno funzionamento. Attraverso queste modifiche, infatti, sarebbe possibile ampliare il novero dei Paesi terzi qualificabili come “sicuri” e, dunque, il numero di richiedenti cui può applicarsi questo criterio. Questo comporterebbe sicuramente una semplificazione, nonché una velocizzazione, della procedura di valutazione della domanda di protezione internazionale, alleggerendo il peso che grava sulle Autorità nazionali competenti. Tale intervento, inoltre, aprirebbe la strada ad accordi con i Paesi terzi nell’ottica di una gestione condivisa del fenomeno migratorio, redistribuendo ed esternalizzando la relativa responsabilità.

Non possono però ignorarsi i possibili risvolti negativi di una tale modifica, evidenziati anche nelle consultazioni con le Parti interessate. Difatti, eliminare il criterio di connessione o, comunque, renderne più blanda l’applicazione, rischia di comportare il trasferimento forzato dei richiedenti verso Paesi con i quali non hanno legami, complicando, se non impedendo, una loro corretta integrazione. In ragione di questo è presumibile un aumento dei casi di movimenti secondari dei richiedenti che siano stati trasferiti nel Paese terzo individuato come “sicuro” allo scopo di rientrare nel territorio dell’Unione (sul tema dei movimenti secondari v. D. Thym, Secondary Movements: Lack of Progress as the Flipside of Meagre Solidarity). Ciò si inserisce in un quadro normativo disomogeneo, dal momento che agli Stati sarà comunque lasciata la possibilità di definire autonomamente l’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro sulla base del criterio di connessione. Già dall’analisi della normativa attuale interna agli Stati membri è evidente una eterogeneità di soluzioni, dal momento che non tutti prevedono il concetto di Paese terzo sicuro nella legislazione nazionale e, tra coloro che lo prevedono, vi sono significative differenze nell’applicazione. Vi sarà dunque una frammentazione nel trattamento dei richiedenti provenienti da Paesi terzi sicuri e una ulteriore spinta migratoria verso quegli Stati membri che adottano parametri di decisione più favorevoli.

Anche a livello delle stesse istituzioni dell’Unione non vi è concordanza circa i confini della fattispecie di Paese terzo sicuro. Ne costituisce un esempio la proposta di modifica del 16 aprile sopra menzionata, con la quale la Commissione intende consentire eccezioni territoriali e personali all’applicazione del concetto in questione. Ebbene, su questo punto si è già espressa la Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 4 ottobre 2024, con la quale ha sottolineato che i criteri per la designazione di un Paese di origine come “sicuro” devono essere rispettati in modo generale e uniforme in tutto il territorio del Paese interessato. La Corte ha evidenziato come una eventuale interpretazione derogatoria dell’art. 37 della direttiva 2013/32, che regola la materia, è del tutto contraria al tenore letterale dello stesso “il quale, conformemente al suo titolo, riguarda la designazione, da parte di uno Stato membro, di paesi terzi quali paesi di origine sicuri, […] senza indicare che, ai fini di siffatta designazione, tali termini possano essere intesi come riguardanti solo una parte del territorio del paese terzo considerato” (v. punto 66). A conferma di questo, si ricorda come l’attuale direttiva abbia sostituito quella precedente, la quale consentiva, al contrario, l’esclusione di parti del territorio di uno Stato e di determinate categorie di individui dalla sua qualificazione come “sicuro”; con la conseguenza che non è ammissibile una lettura dell’art 37 che riproponga le norme abrogate. La citata pronuncia si inserisce in un’ampia casistica di rinvii pregiudiziali pendenti davanti alla Corte in materia di Paesi terzi sicuri e Paesi di origine sicuri, tra i quali rilevano le cause riunite C-758/24 e C-759/24, nelle quali si discute, tra l’altro, della compatibilità del diritto dell’Unione con la possibilità di designare Paesi sicuri prevedendo eccezioni di carattere personale (si veda, sul punto, E. Colombo, I grandi assenti: il principio del primato e la disapplicazione della normativa nazionale in contrasto con il diritto UE. Alcune riflessioni a margine dell’udienza del 25 febbraio 2025 sulle cause riunite C‑758/24 e C‑759/24; sulle conclusioni dell’Avvocato generale in merito alle due cause v. E. Colombo, L’arte del compromesso: brevi riflessioni sulle conclusioni dell’Avvocato generale De La Tour sulle cause Alace e Canpelli; per una ricognizione sul punto dei rinvii pregiudiziali pendenti davanti alla Corte v. P. Iannuccelli, “Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia). Le questioni pendenti sono dunque ancora molte e ciò contribuisce ad alimentare l’incertezza sulla disciplina applicabile, compromettendo ulteriormente la tutela effettiva dei richiedenti coinvolti.

Inoltre, legittimare i partenariati con i Paesi terzi può condurre a una de-responsabilizzazione degli Stati membri e un abbassamento nella qualità della tutela fornita ai richiedenti. Difatti, come già evidenziato in dottrina (v. S. Peers, Towards a Euro-Rwanda policy? The proposed new EU asylum law rules on ‘safe third countries), nelle relazioni tra gli Stati membri e i Paesi terzi non sussiste alcuno degli elementi che caratterizzano il sistema migratorio europeo, quali la fiducia reciproca tra gli Stati membri e il loro assoggettamento a numerosi obblighi in materia di diritti umani; la previsione di criteri di determinazione dello Stato competente a valutare la domanda di asilo e l’obbligo per lo stesso di accettare il richiedente per il quale è responsabile; la previsione di dettagliate disposizioni relative alla procedura di trasferimento del richiedente verso lo Stato membro competente. Rispetto al rapporto con i Paesi terzi, questi elementi dovrebbero essere sviluppati, ferma restando la necessaria volontà politica del Paese in questione di aderire a tali indicazioni e avendo prima risolto la questione centrale, ossia se tale Paese sia effettivamente da ritenersi “sicuro”.

Con riguardo, poi, all’eliminazione dell’effetto sospensivo dell’impugnazione, nonostante sia evidente la finalità di velocizzazione dei trasferimenti verso i Paesi terzi sicuri, le persone richiedenti asilo potrebbero essere sottoposte a trasferimento forzato verso il Paese di destinazione mentre il loro ricorso è ancora in fase di esame e, dunque, prima che siano valutati i presupposti su cui si fonda l’impugnazione. D’altro canto, deve sottolinearsi che il ricorrente potrà richiedere di rimanere nel territorio dello Stato membro per la durata del giudizio di impugnazione, con la congruenza che il carico di lavoro pendente sulle Corti subirà un significativo incremento (ECRE, Proposed reform of the Safe Third Country concept).

In conclusione, sebbene sia essenziale trovare soluzioni condivise che consentano di agevolare la gestione del fenomeno migratorio, è opportuno ponderare la scelta tra l’efficienza e la semplificazione del sistema e la garanzia dei diritti dei richiedenti, onde evitare che le prime istanze prevalgano su quella di tutela.