La liberalizzazione del cabotaggio copre anche i servizi crocieristici svolti in acque interne che iniziano e terminano nello stesso porto.

La Corte di Giustizia torna a occuparsi di libera prestazione dei servizi di cabotaggio marittimo. Tale termine indica i trasporti, di cose o persone, eseguiti in un singolo Stato.

Fino alla realizzazione del mercato interno, la prestazione di detti servizi viene generalmente riservata agli armatori nazionali. Ad esempio, l’art. 224 cod. nav. assegna il cabotaggio «alle navi nazionali, salvo che diversamente stabilito dalle convenzioni internazionali». Tali regimi protezionistici sono largamente inefficienti. L’assenza di concorrenza innalza i prezzi di trasporto a danno dei consumatori (cfr. Power, EC Shipping Law, Londra, 1998, 225). Ciò viene tuttavia giustificato dagli Stati alla luce di finalità extraeconomiche. Le riserve sono infatti considerate necessarie per garantire la continuità territoriale, per rafforzare le flotte nazionali, per preservare l’occupazione dei marittimi, nonché per ragioni di sicurezza nazionale (cfr. Munari, Il diritto comunitario dei trasporti, Milano, 1996, 146; Macrì, Maritime cabotage services between liberalisation and Member States’ intervention, in DCI, 2003, 477, 482-283).

Il Trattato CEE non modifica tale situazione. Viene infatti esclusa l’applicabilità al settore marittimo (e aereo) tanto delle regole in materia di servizi quanto di quelle in tema di trasporto (artt. 61 e 84 CEE, oggi 58 e 100 TFUE). Inoltre, le prime riforme adottate in virtù degli articoli citati (su pressione della Corte: v. Bulgherini, Cabotaggio, Feederaggio, Short Sea Shipping e autostrade del mare, in Antonini, Trattato breve di diritto marittimo, Milano, 2007, 457) liberalizzano i soli trasporti marittimi internazionali (Reg. 4055/86 del Consiglio, 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, GU-L 378, 31 dicembre 1986, 1; cfr. Carbone-Munari, La nuova disciplina comunitaria dei traffici marittimi, in RDIPP, 1989, 293; Nascimbene, Diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi delle compagnie marittime europee, in DM, 1989, 39; Slot, Freedom to provide service, ivi, 51; Aussant, Freedom to provide service in shipping in the European Communities, ivi, 59).

La prospettiva cambia con il Reg. 3577/1992 (Reg. del Consiglio, 7 dicembre 1992, concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo), GU-L 364, 12 dicembre 1992, 7). La libera prestazione dei servizi (anche) marittimi appare infatti necessaria per realizzare il mercato interno entro la scadenza del 1992. Viene quindi imposta l’apertura dei mercati del cabotaggio. Agli armatori dell’Unione (nozione definita dall’art. 2(2) Reg. 3577/1992) che utilizzano navi registrate in uno Stato membro, che ne battono la bandiera, e che sono ivi autorizzate a prestare tali servizi, è riconosciuto il diritto di effettuare trasporti marittimi interni a ciascun altro Stato membro (art. 1(1) Reg. 3577/1992). I servizi di cabotaggio sono meglio definiti dall’art. 2(1) Reg. 3577/1992 e comprendono «in particolare […] il trasporto via mare di passeggeri o merci» effettuato fra porti situati sul territorio principale degli Stati (cabotaggio continentale), da tali porti verso le strutture sulla piattaforma continentale (cabotaggio off-shore), nonché verso e fra le isole (cabotaggio insulare).

Le menzionate preoccupazioni extraeconomiche si riflettono nella normativa in discussione. Si prevede infatti che le barriere all’ingresso al mercato del cabotaggio siano rimosse gradualmente con un periodo transitorio superiore ai dieci anni (art. 6 Reg. 3577/1992; ulteriori deroghe sono previste nel Trattato di adesione della Croazia). Viene poi inserita una clausola di salvaguardia secondo cui, «in caso di grave perturbazione del mercato interno dei trasporti», gli Stati (autorizzati dalla Commissione o, per le emergenze, unilateralmente) possono adottare le necessarie contromisure, compresa la sospensione fino a un anno del regolamento (art. 5 Reg. 3577/1992). Ma soprattutto, gli Stati possono concludere contratti di servizio pubblico, ovvero imporre analoghi obblighi, agli armatori nazionali o di altri Stati membri (art. 4 Reg. 3577/1992). Ciò, ad esempio, per garantire la continuità territoriale anche su rotte antieconomiche.

Il regolamento impone la modifica delle legislazioni nazionali protezioniste. Per quanto qui interessa, viene rivisto l’art. 224 cod. nav. che, oggi, riserva il cabotaggio «nei termini di cui al [Reg. 3577/1992] agli armatori comunitari»che utilizzano navi che rispettino i citati requisiti previsti dall’art. 1(1) Reg. 3577/1992 (registrazione, bandiera, etc.). Proprio il riferimento della norma nazionale al regolamento quale parametro per determinare la portata materiale della riserva origina la sentenza in commento.

La pronuncia riguarda una crociera organizzata da un armatore svizzero su nave battente la medesima bandiera con partenza da Venezia, attraversamento della laguna fino a Chioggia, navigazione fino a Porto Levanto, risalita del Po, e rientro a Venezia seguendo l’itinerario inverso. Inquadrando tale trasporto come cabotaggio ai sensi del Reg. 3577/1992, le autorità italiane si oppongono in virtù della riserva prevista dall’art. 224 cod. nav. Secondo l’armatore, la crociera non costituisce invece cabotaggio e non è quindi riservata alle navi “europee”. Nominando «i porti» degli Stati membri, l’art. 2 Reg. 3577/1992 sembra infatti presupporre luoghi distinti per partenza e arrivo. La crociera, viceversa, inizia e termina a Venezia. Inoltre, il viaggio si svolge principalmente in acque (la laguna di Venezia e la foce del Po) non marittime secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982). Si è quindi fuori dal campo applicativo del regolamento che disciplina i soli trasporti marittimi. Anche sotto tale profilo, la crociera non sarebbe quindi soggetta ad alcuna riserva, a nulla valendo il breve tratto marittimo fra Chioggia e Porto Levanto.

La controversia arriva innanzi al Consiglio di Stato che, ex art. 267 TFUE, chiede chiarimenti circa la portata della riserva prevista dal combinato disposto dell’art. 224 cod. nav. e dell’art. 2 Reg. 3577/1992. Il regolamento non è dunque invocato per ottenere l’apertura del mercato nazionale ma, piuttosto, con finalità protezionistiche degli armatori europei. Infatti, l’art. 224 cod. nav. opera solo se una crociera, pur iniziando e terminando nello stesso porto, può costituire cabotaggio ai fini del Reg. 3577/1992. Altrimenti, tale attività è aperta alla concorrenza anche di armatori e navi di Stati terzi.

Peraltro, non è la prima occasione in cui la Corte interpreta il Reg. 3577/1992. Ad esempio, sono state già chiarite sia la nozione di porto che quella di viaggio che segue o precede un cabotaggio (rispettivamente, Corte, 9 marzo 2006, C-323/06, Commissione c. Spagna, in DM, 2006, 1130, annotata da Casanova, Cabotaggio marittimo insulare e continentale nei fiordi e negli estuari. Il caso della ria di Vigo e Corte, 6 aprile 2006, C-456/04, Agip Petroli Spa, in Raccolta I-3395, e in DM, 2006, annotata da Casanova, Cabotaggio insulare occasionale e viaggi in zavorre: una postilla alla luce della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee). Inoltre, sono state precisate le condizioni che consentono agli Stati di restringere la prestazione dei servizi di cabotaggio (cfr. Corte, 17 marzo 2011, C-128/10 e C-129/10, Naftiliaki,in Raccolta I-1885, e in Dir. trasp., 2013, 167, annotata da Favella-Antonini, Cabotaggio marittimo e limitazioni al principio di libera prestazione dei servizi; Corte Giust., 20 febbraio 2001, C-205/99, Analir, in Raccolta, I-1271, e in DM, 2003, 1256, annotata da Carpaneto, Considerazioni a margine del caso “Analir”). Altre questioni rimangono invece aperte, come la corretta qualificazione dei servizi di feederaggio (cfr. Antonini, Il “feederaggio” e la liberalizzazione del cabotaggio comunitario, in DM, 1998, 895; Bulgherini, cit.).

Ma, per quanto qui interessa, sono state soprattutto riconosciute sia la natura esemplificativa dell’elenco di servizi previsto dall’art. 2(1) Reg. 3577/1992 (cfr. Corte, 11 gennaio 2007, C-251/04, Commissione c. Grecia, in Raccolta I-84, e in DM, 2009, 414, annotata da Casanova, Cabotaggio e rimorchio tra porti di uno stesso Stato, dove si è però escluso che il rimorchio in mare aperto costruisca cabotaggio), sia l’irrilevanza, ai fini del regolamento, della nozione di mare contenuta nella Convenzione di Montego Bay (cfr. C-323/03 cit.).

La sentenza si conforma a tali precedenti. Viene quindi ribadito che «la nozione di “mare” di cui al [Reg. 3577/1992] non si limita al mare territoriale ai sensi della Convenzione [di] Montego Bay […] ma include altresì le acque marittime interne situate al di qua della linea di base del mare territoriale» (cfr. § 19). Atteso che navi e servizi di crociera sono richiamati dagli art. 3(1) e 6 Reg. 3577/1992, viene poi affermato «inequivocabilmente che le crociere rientrano tra i tipi di trasporto disciplinati» dalregolamento (cfr. § 24). Ciò non cambia anche se l’art. 2(1) Reg. 3577/1992 descrive il cabotaggio (continentale, off-shore e insulare) come avente distinti porti di partenza e arrivo. Infatti, giacché «introdotto dall’espressione “in particolare”», tale elenco «non è tassativo e non può […] escludere dall’ambito di applicazione di detto regolamento servizi di trasporto che presentano tutte le caratteristiche essenziali del cabotaggio marittimo» (cfr. § 28) ma partono e arrivano nello stesso porto.

La pronuncia è certamente condivisibile e respinge la lettura troppo formalistica della normativa rilevante proposta dall’armatore. Del resto, tale approccio è condiviso dalla Commissione secondo cui «il trasporto di passeggeri via mare per scopi turistici che inizia e termina nello stesso porto è disciplinato dal [Reg. 3577/1992]» (cfr. Comunicazione al Parlamento, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni sull’interpretazione del Regolamento (CEE) n. 3577/92, COM(2003)595, Bruxelles, 22 dicembre 2003, § 3.3). Tuttavia, si è osservato (cfr. Cellerino, La (libera) prestazione dei servizi di cabotaggio marittimo nell’Unione europea: una ricostruzione a latere di due recenti casi dinanzi alla Corte di Giustizia, in DM, 2013, 600, 605) che la questione avrebbe potuto trovare diversa soluzione sulla base dell’Accordo fra UE, Stati membri e Svizzera in materia di libera circolazione delle persone (cfr. Agreement between the European Community and its member States, of the one part, and the Swiss Confederation, of the other, on the free movement of persons, OJ-L 114, 30 aprile 2002, 6; in argomento Condinanzi, Unione europea e svizzera tra cooperazione e integrazione, Milano, 2012). Da un lato, l’art. 5 dell’Accordo riconosce infatti il «diritto di fornire sul territorio dell’altra parte contraente un servizio per una prestazione di durata non superiore ai 90 giorni di lavoro effettivo per anno civile». Dall’altro lato, gli artt. 17 e 19 dell’Allegato I all’Accordo vietano invece «qualsiasi limitazione a una prestazione di servizi transfrontaliera sul territorio di una parte contraente» e tutelano il diritto di esercitare, «a titolo temporaneo, la propria attività nello Stato in cui la prestazione è fornita alle stesse condizioni che lo Stato in questione impone ai suoi cittadini». Tali aspetti non sono però stati menzionati né nelle difese dell’armatore né nel rinvio pregiudiziale. Detta normativa non è quindi stata considerata dalla Corte di Giustizia.


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