“La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale”: qualche riflessione sul volume di Vittorio Manes e Valerio Napoleoni (Torino, Giappicchelli, 2019)

Dopo “Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni fra diritto penale e fonti sovranazionali” (Roma, Dike, 2012), dove Vittorio Manes esamina con acume il “nuovo” ruolo dell’interprete, chiamato a confrontarsi non più soltanto con le regole di diritto positivo contenute nelle tradizionali fonti nazionali, ma anche con “disposizioni senza norme”, come le Carte (internazionali e sovranazionali) dei diritti, che sanciscono principi fondamentali senza necessariamente fornire specifiche concretizzazioni, e con “fonti senza disposizione”, quali le pronunce delle Corti europee idonee ad impattare sulla legislazione interna anche a livello paracostituzionale, in questo volume l’Autore – insieme con Valerio Napoleoni – affronta un tema altrettanto complesso e per alcuni versi correlato a quello della monografia del 2012: il tema del giudice che – districandosi in un dedalo di fonti domestiche, internazionali e sovranazionali, anche di origine giurisprudenziale – è chiamato a verificare se e in che misura una certa disposizione interna confligga con un precetto costituzionale e a sollevare dunque, laddove ne ricorrano i presupposti, una questione di legittimità costituzionale.

Il tema è sviluppato in relazione alla materia penale, dove – come gli Autori ben evidenziano sin dalla prefazione – «la dialettica tra autorità e libertà si fa più serrata, e il confronto con i diritti fondamentali più radicale e a volte vertiginoso; e dove, al contempo, più accentuata appare la tendenza della legge a colorarsi di connotazioni politiche, e più forte – conseguentemente – la tentazione del legislatore a rivendicare piena autonomia», che il giudice deve fare attenzione a non “calpestare”, superando i limiti della riserva di legge di cui all’art. 25, comma 2, Cost. Tuttavia, gli insegnamenti che si possono trarre dallo studio del volume sono trasponibili, mutatis mutandis, in ogni altro settore del diritto, specie se influenzato, in misura più o meno lata, dalle fonti internazionali e sovranazionali (che possono creare campi di overlapping protection) e dalle pronunce delle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo.

Il volume è rivolto, in prima battuta, al giudice e ai suoi possibili interlocutori (avvocato ed evidentemente, quanto al penale, pubblico ministero) che – in un sistema come quello italiano di giustizia costituzionale, declinato su un “modello accentrato ad iniziativa diffusa” – possono coadiuvarlo nella sollecitazione della questione di legittimità costituzionale. Esso si presenta come un “manuale”, basato sulla giurisprudenza costituzionale che i due Autori – Vittorio Manes, professore ordinario di diritto penale e per 4 anni (2010-2014) componente del Servizio Studi della Corte costituzionale e Valerio Napoleoni, consigliere della Corte di Cassazione e ancora oggi assistente di studio presso la Consulta – ben conoscono e alla cui evoluzione spesso hanno “assistito” direttamente e dall’interno. E nessuno come chi lavora all’interno di una istituzione è in grado di fornire, con dovizia di particolari e una prospettiva davvero unica – quella del vero conoscitore dei meccanismi di funzionamento dell’istituzione e delle sue dinamiche decisorie –, indicazioni su come approcciarsi a quella istituzione, in tal caso la Corte costituzionale, e su come affrontare il processo che si svolge dinanzi ad essa, evitando le relative insidie. Un manuale che nasce dalla pratica e dall’esperienza, dunque, un testo che – a detta degli Autori – mira a «fornire una guida essenziale per chi si scopra a rimuginare il dubbio di costituzionalità»: essenziale non certo nel senso di scarna, sintetica, quanto nel senso di fondamentale, indispensabile al fine di evitare che la rimessione alla Corte costituzionale appaia, e possa risolversi, in un «imponderabile “lancio di dadi”».

Particolarmente interessanti per un comunitarista sono le tematiche dell’interpretazione conforme, del contrasto della norma interna con fonti internazionali (specie la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) e sovranazionali (diritto dell’Unione europea), nonché della doppia pregiudizialità e della riserva di legge.

L’interpretazione conforme viene esaminata nel Capitolo II, con riguardo all’onere in primis rispetto alla Costituzione – concentrandosi sulla sua natura ed evoluzione nella giurisprudenza costituzionale (senz’altro fattore di crisi del controllo accentrato di costituzionalità, cui si è cercato di far fronte con la nuova impostazione di cui alla sentenza n. 42/2017, che apre all’ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale di leggi di cui «sia improbabile o difficile prospettar[…]e un’interpretazione costituzionalmente orientata») – , e poi rispetto alle norme interposte/internazionali e a quelle sovranazionali. In relazione a queste ultime, l’interpretazione conforme, oltre che tecnica di risoluzione delle antinomie (legalità legale/legalità costituzionale), diviene regolatore dei rapporti tra l’ordinamento nazionale e quello internazionale/sovranazionale volta a volta rilevante. L’interpretazione conforme viene così analizzata non solo nella sua componente più squisitamente “applicativa” (mettendo bene in rilievo il dato di partenza: quando occorre procedere a interpretazione convenzionalmente o comunitariamente orientata i canoni ermeneutici sono quelli propri dell’ordinamento “altro” di provenienza; e i limiti – logici e assiologici – che essa incontra), ma altresì in quella valoriale, orientando l’interprete nel suo eventuale dialogo con il giudice delle leggi e con la Corte EDU e quella di giustizia dell’Unione europea. Corti che, in tempi più risalenti, sono state riconosciute dalla stessa Consulta come “interpreti qualificati” delle norme convenzionali e di quelle dell’Unione europea, ma le cui pronunce sembrano oggi costituire vincoli interpretativi più attenuati per il giudice comune (v. la sentenza n. 49/2015), oltre che per il giudice delle leggi (anche laddove formalmente la giurisprudenza di Lussemburgo venga richiamata in senso adesivo: v. la sentenza n. 115/2018).

Il contrasto con le fonti internazionali e sovranazionali viene esaminato nel Capitolo III, concentrandosi in particolare – dopo una ricostruzione teorica del rapporto tra ordinamenti – sullo scrutinio di costituzionalità effettuato dalla Consulta in relazione a parametri europei e a parametri costituzionali interni e ben evidenziando il diverso atteggiamento del giudice delle leggi a seconda della fonte e della Corte europea che viene in considerazione. Si analizza, quindi, la rilevanza dei controlimiti al primato del diritto dell’Unione, specie sulla base delle indicazioni emerse nel corso della “saga” Taricco, in cui il conflitto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona pur sommamente improbabile (si) è (rilevato) pur sempre possibile, così da sbarrare senza eccezioni l’ingresso nell’ordinamento interno della “regola” Taricco; e altresì la rilevanza e la portata dei c.d. “controlimiti allargati” rispetto al sistema convenzionale, le cui disposizioni sempre si pongono – se costituzionalmente conformi – quale parametro interposto nel giudizio di legittimità costituzionale.

Anche il tema della doppia pregiudiziale (ovvero il conflitto della norma interna tanto con la Costituzione quanto con una norma di diritto dell’Unione) è sapientemente esaminato, insieme con le altre insidie che deve affrontare il giudice che intenda proporre una questione di legittimità costituzionale, nel Capitolo III, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale più recente, di cui si dà atto già nel capitolo I. Con il «penetrante e discusso» obiter dictum di cui alla sentenza n. 269/2017, il giudice delle leggi – a fronte del “declino” del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, dovuto tra l’altro all’estensione del dovere di disapplicazione di una norma interna contrastante con una norma dell’Unione direttamente applicabile o dotata di effetto diretto – cerca di riacquisire centralità nella tutela dei diritti della persona e il ruolo di cui esso si era privato, escludendosi dal dialogo diretto con la Corte di giustizia. Attenuato nelle sentenze nn. 20 e 63 e nell’ordinanza n. 117/2019, il nuovo orientamento della Corte costituzionale implica oggi soltanto una possibile inversione della doppia pregiudiziale “classica”, data la mera opportunità (e non più doverosità) della previa rimessione alla Consulta laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità in riferimento tanto ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria. Tuttavia è evidente che per i penalisti – così come per la maggior parte dei costituzionalisti – nel caso di doppia pregiudiziale in cui siano in gioco i diritti della persona sia preferibile una rimessione innanzitutto al giudice delle leggi, a meno che il diritto dell’Unione già non assicuri un livello di tutela più elevato. Spetterà al limite a quest’ultimo, qualora ne riscontri la necessità (come avvenuto con la citata ordinanza n. 117), esperire rinvio ex art. 267 TFUE alla Corte di giustizia, potendo esso porsi quale interlocutore (più) qualificato e autorevole nella formulazione dei quesiti pregiudiziali e contribuire «per la propria parte» alla “definizione” (ad opera del giudice del Kirchberg) delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, chiarendo, meglio dei giudici comuni – come la “saga” Taricco dimostra – le specificità del nostro ordinamento costituzionale ed evitando, possibilmente, l’attivazione di un controlimite.

Infine, la riserva di legge – oggetto di analisi nel Capitolo IV, dedicato al sindacato di costituzionalità in malam partem – presenta particolare interesse perché si configura quale controlimite possibile – nella prospettiva del comunitarista – e certo in materia penale – nell’impostazione della Consulta, quale da ultimo confermata nella sentenza n. 115/2018, a chiusura della “saga” Taricco, benché non si possa concludere (e si tratta di impostazione ragionevole e condivisa) che l’intera materia penale sia sottratta dagli obblighi di adeguamento di cui all’art. 11 (e all’art. 117) Cost. E ciò non solo perché – nella pluralità di casi – l’intervento del legislatore nazionale è comunque indispensabile per garantire piena efficacia alla normativa penale di derivazione sovranazionale, definitivamente colmando il deficit di democraticità che il trattato di Lisbona pare comunque aver (già) superato; ma anche, direi, (e ancor prima) perché – ratificando e rendendo esecutivi i trattati sull’Unione – il nostro ordinamento ha consentito a quelle limitazioni di sovranità (ex art. 11 Cost.) che si concretizzano anche nell’esercizio della competenza penale da parte del legislatore sovranazionale (pure nella misura in cui esso sia legittimato ad intervenire per il tramite di regolamenti: v. artt. 82, par. 1, e 86 TFUE). L’analisi è oltremodo interessante anche laddove si esaminano i confini di “legittimità” dell’intervento della Consulta con riguardo alla riserva di legge, evidenziandosi il ruolo che il giudice delle leggi può svolgere per assicurare il rispetto degli obblighi posti dal legislatore dell’Unione (violati dal legislatore nazionale), contribuendo così, per la propria parte, ad evitare procedure di infrazione contro il nostro Paese.

Come anche queste poche righe dimostrano, il volume, per quanto dichiaratamente rivolto innanzitutto agli operatori del diritto, tutto è tranne che un manuale di taglio pratico. Ricchissimo di riferimenti bibliografici oltre che giurisprudenziali, esso analizza infatti con maestria le più rilevanti problematiche legate al giudizio incidentale di costituzionalità e fornisce una presa di posizione chiara e acuta sulle stesse, senza dubbio contribuendo al relativo dibattito dottrinale e così arricchendo l’impianto teorico del processo costituzionale.


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