LA CORTE SI SCHIERA CONTRO IL FENOMENO DEL TURISMO SOCIALE: LA SENTENZA DANO

Con sentenza dell’11 novembre 2014, la Corte di giustizia, in Grande Sezione, seguendo le conclusioni dell’avvocato generale Melchior Wathelet, ha affermato la compatibilità con il diritto UE della normativa tedesca che nega prestazioni sociali non contributive ai cittadini di altri Stati membri, allorché questi non godano di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 nello Stato membro ospitante.

Tale pronuncia è stata resa su rinvio pregiudiziale del tribunale sociale di Lipsia, adito da due cittadini rumeni, la signora Dano e suo figlio, soggiornanti da diversi anni in Germania, che, avverso il diniego della concessione di prestazioni sociali per indigenti, invocavano il principio comunitario di non discriminazione.

A giudizio della Corte, i cittadini di altri Stati membri economicamente inattivi soggiornanti nel Paese ospitante da più di tre mesi ma da meno di cinque anni, possono richiedere la parità di trattamento con i cittadini nazionali sancito dalla direttiva 2004/38/CE e dal regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale n. 883/2004, per quanto riguarda il diritto alle prestazioni sociali, solo se beneficiano del diritto di soggiorno ai sensi della direttiva, ossia se dispongono di risorse economiche sufficienti, per non divenire un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato ospitante. Siffatta potenziale disparità trova fondamento nel rapporto instaurato dalla direttiva tra la necessità di disporre di risorse economiche sufficienti quale condizione di soggiorno e l’esigenza di non creare un onere per il sistema di assistenza sociale degli Stati membri. Ne discende che uno Stato membro deve avere la possibilità di negare la concessione di prestazioni sociali a cittadini che esercitino la libera circolazione con l’unico fine di ottenere il beneficio dell’aiuto sociale di un altro Stato membro, pur non disponendo delle risorse sufficienti per poter rivendicare il beneficio del diritto di soggiorno.

La Corte sbarra poi la strada all’invocabilità della Carta dei diritti fondamentali e del principio di non discriminazione ivi contenuto, escludendo che si tratti di una situazione di attuazione del diritto UE ex art. 51 Carta, dato che la concessione delle prestazioni sociali in questione è regolata dal diritto nazionale.

Questa sentenza rappresenta solo l’ultimo esempio del rigore interpretativo che ha contraddistinto la giurisprudenza europea sulla mobilità del cittadino negli ultimi tempi (cfr. Sanna, la crisi economica impone restrizioni alla libera circolazione delle persone?). Pone però degli interrogativi non trascurabili quanto alla portata attuale del diritto fondamentale alla libera circolazione: la Corte, infatti, chiamata a prendere posizione (politica?) nella lotta al c.d turismo sociale pare trascurare la necessità di una valutazione globale dell’onere che, concretamente, la concessione della prestazione rappresenterebbe per il sistema di assistenza sociale nazionale nel suo complesso, il principio di proporzionalità, nonché il principio della solidarietà finanziaria dei cittadini dello Stato ospitante verso quelli degli altri Stati membri(Brey, causa C-140/12, parr. 64 e 72).


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