Il suivi della sentenza della Corte di giustizia sulle concessioni balneari (continua il braccio di ferro tra TAR Lecce e Consiglio di Stato).
1. Continua il braccio di ferro tra TAR Lecce e Consiglio di Stato in ordine alla tormentata questione delle concessioni marittime turistico ricettive. E continua nel segno dell’esatta applicazione del diritto dell’Unione, anche se in realtà tale diritto finisce sovente per essere disatteso.
La recente sentenza del TAR Lecce, sez. I, 2 novembre 2023, n. 1223 afferma di attenersi alla sentenza della Corte di giustizia del 20 aprile 2023 (C-348/22, Comune di Ginosa), ma manifesta una certa insofferenza in ordine alle necessità scaturenti dal diritto dell’Unione. Come si evince dal passo in cui dichiara di lasciare «alla accademia e agli studiosi del diritto unionale ogni altra valutazione o disquisizione sul piano scientifico, disquisizioni che non rilevano invece ai fini della presente decisione».
Ma non è detto che tali disquisizioni siano irrilevanti ai fini della soluzione del caso concreto.
2. Occorre ricordare che oggetto del giudizio innanzi al TAR Lecce era un ricorso promosso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) contro il Comune di Ginosa per l’impugnazione di delibere varie, relative in particolare a talune proroghe di concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033. Si trattava più esattamente di provvedimenti di presa d’atto della proroga fino al 31/12/2033 disposta con la l. n. 145/2018, che poi è stata superata dalla normativa sopravvenuta.
L’AGCM ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 21 bis della l. 287/1990, che, com’è noto, le conferisce una legittimazione speciale «ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». Si è trattato, dunque, di una sorta di ricorso nell’interesse della legge.
Nel corso del giudizio il TAR Lecce ha disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ponendo una serie di quesiti relativi alla validità e all’interpretazione della direttiva Bolkestein.
La Corte di giustizia si è pronunciata con la richiamata sentenza del 20 aprile 2023 (per un commento alla sentenza cfr. D. Diverio e G. Greco), che si è mossa sulla scia (e in continuità) con la prima sentenza sul tema (Corte di giustizia, 14 luglio 2016, in causa C-458/14, Promoimpresa).
3. A questo proposito il TAR Lecce rileva che «a distanza di sette anni dalla Promoimpresa, con la sentenza del 20 aprile 2023, quasi in una sorta di working in progress, la Corte in larga parte conferma ed in parte modifica l’impianto motivazionale e interpretativo precedente».
In particolare, dopo aver elencato tutti i punti per così dire “confermativi” della sentenza Promoimpresa, il TAR Lecce rinviene una «portata invece decisamente modificativa e innovativa […] alla statuizione relativa alla valutazione della scarsità della risorsa e delle autorizzazioni disponibili, sia con riferimento all’individuazione del soggetto cui compete la definizione dei criteri, sia con riferimento al metodo e all’ ampiezza del potere discrezionale riconosciuto allo stato membro, sia infine quanto alla qualificazione di siffatto procedimento come una pre-condizione ovvero come presupposto da accertarsi in via preliminare».
4. Qui si innesta la polemica con le sentenze gemelle n. 17 e 18 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, che avevano fissato il termine ultimo di proroga al 31 dicembre 2023. Infatti, pur affermando di non voler «disquisire – quanto a siffatta statuizione di fissazione del termine da parte del Giudice – se essa sia sussumibile nell’ambito della funzione nomofilattica ovvero se sconfini in quella nomopoietica», il TAR Lecce rileva che «le sentenze Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021 […] pur avendo trovato conferma da parte della Corte di Giustizia U.E. su tutti i più rilevanti profili, risultano invece – come sopra evidenziato diffusamente – contraddette quanto alla valutazione della scarsità della risorsa, sia quanto alla competenza, sia quanto al metodo».
5. La parte motiva della sentenza del TAR si basa su dette asserite innovazioni, che per la verità paiono mere precisazioni di quanto già poteva evincersi dalla sentenza Promoimpresa.
Particolarmente significativi appaiono i seguenti due passaggi della sentenza: «Appare evidente che la Corte di Giustizia, innovativamente e per la prima volta, abbia individuato la valutazione della scarsità delle risorse naturali disponibili come preliminare accertamento, al cui esito risulta subordinata espressamente l’applicabilità stessa dell’articolo 12 paragrafi 1 e 2 della Direttiva.
Appare altrettanto evidente che la Corte di Giustizia, innovativamente e per la prima volta, abbia individuato il soggetto tenuto ad effettuare tale preliminare valutazione nello Stato-amministrazione e anzitutto negli organi di governo degli stati membri, restando pertanto esclusa la legittimità di una valutazione o declaratoria tout court della scarsità della risorsa ad opera del Giudice nazionale in via generale ed astratta (in assenza di criteri trasparenti ed uniformi e di attività istruttoria)».
Si tratta delle premesse da cui il TAR Lecce fa scaturire le sue conclusioni. Le quali tengono conto anche (e anzitutto) della circostanza che la l. 5 agosto 2022 n. 118 ha abrogato tutte le norme della citata l. 145/2018 (con cui si disponeva la proroga automatica fino al 31 dicembre 2033) ed ha fissato viceversa termine di scadenza delle concessioni di demanio marittimo al 31 dicembre 2023. Termine, quest’ultimo, ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2024 con D.L. n. 198/2022.
6. Tenuto conto di tutte le circostanze sopra esposte il TAR Lecce ha dunque dichiarato improcedibile il ricorso dell’AGCM per «sopravvenuto difetto di interesse, sotto un duplice profilo: l’uno formale e l’altro – per così dire – sostanziale».
Sotto il primo profilo ha ritenuto che «Il paventato danno derivante alla ricorrente AGCM dalla proroga delle CDM al 31/12/2033 risulta quindi definitivamente venuto meno, atteso che tutte le CDM in essere verranno a scadere – ex lege – alla data del 31 dicembre 2024».
Sotto il secondo profilo ha rilevato che «comunque risulta mutato il contesto giuridico e fattuale di riferimento». Intendendo per tale (almeno così pare) il necessario completamento della «valutazione della scarsità della risorsa, di competenza del Governo-Amministrazione, condizionato dalla tempistica connessa all’attività istruttoria e connotato da ampia discrezionalità, step individuato invece come centrale e preliminare adempimento nella direttiva come interpretata dalla C.G.U.E. con la sentenza C.G.U.E. del 20/4/2023».
7. Le richiamate conclusioni fanno insorgere talune perplessità.
Se pure è vero, infatti, che la recente sentenza della Corte pare rimettere in discussione gran parte dell’apparato logico-motivazionale delle pronunce dell’Adunanza Plenaria, non per questo le conclusioni del TAR Lecce risultano prive di criticità.
E così, ad esempio, l’anticipazione del termine di proroga dal 31 dicembre 2033 al 31 dicembre 2024 può non essere significativo ai fini dell’interesse a ricorrere. Si tratta pur sempre di una proroga automatica stabilita ex lege, di per sé incompatibile con l’art. 12 della Direttiva Bolkestein (e dunque disapplicabile), così come giudicato da entrambe le sentenze della Corte di giustizia più volte richiamate; si tratta, in altri termini, di legge di proroga che avrebbe dovuto essere disapplicata con tutte le conseguenze del caso in ordine all’esito del ricorso.
Altra criticità riguarda l’affermazione che l’accertamento della scarsità delle risorse condizioni l’applicabilità dell’art. 12, par. 1 e 2 della Direttiva Bolkestein. Tale affermazione pare contrastare con il carattere self executing della direttiva, il cui effetto diretto non può essere ritardato dagli adempimenti istruttori del singolo Stato membro. Il che non significa che detti adempimenti istruttori non debbano essere compiuti, al fine di stabilire (ferma l’applicabilità della direttiva) se sia necessario o meno la gara per l’assegnazione della singola concessione; significa, viceversa, che risulta di per sé illegittima la proroga della concessione senza l’accertamento della mancanza di scarsità delle risorse, che spetta anche alla singola amministrazione effettuare (con il controllo del giudice).
Un’ultima criticità riguarda l’ammissibilità in sé del ricorso proposto dall’AGCM. Come già altrove rilevato (cfr. G. Greco) l’AGCM è un’autorità dell’apparato dello Stato (in senso lato), sicché non può far valere l’efficacia diretta della direttiva nei confronti dei singoli concessionari. Si tratterebbe, infatti, di una forma di efficacia verticale invertita, che com’è noto preclude alle amministrazioni di uno Stato membro di trarre vantaggio da un proprio inadempimento (sub specie, in questo caso, di cattiva attuazione della direttiva, a causa delle reiterate leggi di proroga automatica, in contrasto, come si è visto, con la direttiva medesima).
8. Non è dato sapere se la specifica vicenda, che ha dato luogo alla sentenza del TAR Lecce, avrà seguito o meno. Quel che appare certo è che l’impostazione seguita da tale TAR risulta in rotta di collisione con quella seguita dal Consiglio di Stato, non solo nelle citate sentenze dell’Adunanza Plenaria, ma anche in altre emesse successivamente (cfr., per tutte, Consiglio di Stato, sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, su impugnazione di altra pronuncia del TAR Lecce, sez. I, 29 giugno 2021, n. 981).
Significativa è anche l’ordinanza 6 settembre 2023 n. 8184 della sezione settima del Consiglio di Stato, che, nel rispondere ad una richiesta di chiarimenti della Corte di giustizia in relazione ad altra concessione balneare (causa pendente C-598/22), non ha perso l’occasione per precisare che si trattava comunque di concessione che «presenta un “interesse transfrontaliero certo” in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica».
Il braccio di ferro non è dunque destinato ad esaurirsi.