Il riconoscimento di misure alternative alla detenzione cautelare adottate da altri Stati membri diventa possibile: l’Italia recepisce la decisione quadro 2009/829/GAI
Con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 marzo 2016, l’Italia ha provveduto a recepire la decisione quadro 2009/826/GAI del Consiglio sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.
In tal modo, scaduto abbondantemente il regime transitorio per gli atti del terzo pilastro che, come è noto, è venuto meno con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona (v. C. Amalfitano, in questa Rivista), il Governo italiano, facendo leva sulla legge didelegazione europea 2014, ha scongiurato la possibilità di veder introdotta una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
La ratio della decisione quadro ed il suo ambito di applicazione
La decisione quadro, approvata dal Consiglio nell’ottobre 2009, si fonda sui c.d. capisaldi del Consiglio europeo di Tampere e si inserisce nell’alveo tracciato dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. Lo scopo perseguito è quello di rafforzare la cooperazione giudiziaria in materia penale rendendo possibile un bilanciamento tra l’interesse degli Stati alla sicurezza ed all’effettiva repressione dei reati, con il diritto alla libertà e alla presunzione di innocenza dei sospettati.
L’intervento del legislatore europeo trae origine dalla constatazione, evidenziata dalla Commissione europea nella sua proposta, che nella pratica, soprattutto laddove il sospettato sia straniero, le autorità giurisdizionali sono più propense a ricorrere alla detenzione cautelare.
Ebbene, tralasciando talune ricadute negative in tema di eccessivo affollamento delle carceri, tale tendenza rischia di determinare una disparità di trattamento tra sospettati cittadini dello Stato membro procedente e sospettati aventi cittadinanza di un altro Stato membro, in quanto, a parità di situazioni, solo i primi potrebbero beneficiare di un trattamento cautelare meno restrittivo; inoltre, l’applicazione di misure cautelari limitative della libertà personale nei confronti di sospettati non cittadini potrebbe risultare sproporzionata rispetto al fine da tutelare ed eccessivamente gravosa per i destinatari del provvedimento, quand’anche la misura scelta dovesse essere una semplice limitazione della libertà personale (come l’obbligo di presentazione in ore stabilite presso l’autorità designata dallo Stato procedente) e non la custodia in carcere. In ogni caso, infatti, i destinatari della misura cautelare si troverebbero comunque esposti al rischio di dover rinunciare agli affetti abituali lasciati nel differente Stato di stabilimento oltre che, eventualmente, e ad esempio, alla perdita dell’occupazione.
In tale contesto, la decisione quadro 2009/829/GAI, facendo leva sul ben noto principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, si prefigge di consentire che il provvedimento cautelare diverso dalla detenzione adottato da una autorità giurisdizionale di uno Stato membro possa trovare esecuzione nello Stato membro di residenza abituale del sospettato, ovvero nel diverso Paese da egli eventualmente indicato, garantendo contestualmente il regolare corso della giustizia e la comparizione dell’indagato al processo (art. 2).
Per quanto concerne il suo ambito applicativo, la decisione quadro si limita a precisare, al considerando n. 13, che riguarda tutti i reati e non è circoscritta a quelli di una data tipologia o gravità, pur evidenziando che le misure cautelari alternative alla detenzione dovrebbero di norma applicarsi ai reati meno gravi. Conseguentemente, resta in capo alle autorità degli Stati membri la valutazione dell’opportunità e, se del caso, l’individuazione, secondo le norme nazionali, della misura cautelare più opportuna, eventualmente scegliendo tra quelle per le quali la decisione quadro intende garantire il riconoscimento.
L’abbandono del requisito della doppia incriminazione per i reati di cui alla c.d. lista positiva
Sulla scorta dell’esperienza maturata in tema di mandato di arresto europeo, la decisione 2009/829/GAI individua, all’art. 14, un catalogo di reati – per la maggior parte reati caratterizzati da un particolare disvalore sociale ed oggetto di una quanto meno parziale armonizzazione a livello europeo (tra questi, ad esempio, quello di partecipazione ad una organizzazione criminale, oggetto dell’azione comune 98/773/GAI, quelli di criminalità organizzata oggetto della posizione comune 1999/235/GAI, ovvero, ancora, quelli connessi al traffico illecito di stupefacenti, oggetto dell’azione comune 96/699/GAI, della decisione quadro 2004/757/GAI e della proposta di direttiva che modifica, per quanto riguarda la definizione di “stupefacenti”, la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti), per i quali il riconoscimento della decisione cautelare da parte dello Stato di esecuzione prescinde dalla verifica della sussistenza della punibilità del reato anche in quell’ordinamento, purché il fatto sia punibile nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni.
Per tutti i reati non presenti in elenco, invece, la decisione quadro riconosce agli Stati membri la possibilità di subordinare il riconoscimento della decisione cautelare alla condizione che i fatti per i quali è stato avviato il procedimento nello Stato di emissione siano costitutivi di reato anche nello Stato di esecuzione.
A tal proposito, è utile evidenziare che, in sede di trasposizione, il Governo italiano ha ritenuto opportuno fare uso di tale facoltà e, pertanto, l’art. 10, comma 1, lett b) del d.lgs. n. 36/2016, con riguardo ai casi in cui il reato non rientri tra quelli codificati al successivo art. 11 (sostanzialmente riproduttivo dell’elenco di cui all’art. 14, par. 1, della decisione quadro), ha inserito, tra le condizioni previste per il riconoscimento di una decisione cautelare emessa da un’autorità di un altro Stato membro da eseguirsi in Italia, il previo esperimento positivo del test della doppia punibilità.
Le misure cautelari contemplate
L’art. 8, par. 1, della decisione quadro individua una serie di misure cautelari che, laddove adottate dall’autorità di uno Stato membro, possono trovare esecuzione, salvo i casi di rifiuto di cui si dirà, in un altro Stato. In particolare, in aggiunta al generale obbligo di comunicare alle autorità dello Stato di esecuzione ogni cambio di residenza, sono enumerate una serie di prescrizioni che possono essere imposte alla persona sottoposta a procedimento e che, in buona sostanza, sono riassumibili nell’obbligo o nel divieto di frequentare determinati posti o determinate persone ovvero nell’obbligo di rimanere o di presentarsi in determinati posti in determinate ore.
Il par. 2 del medesimo articolo lascia, poi, aperta la possibilità agli Stati membri, in sede di attuazione della decisione quadro o anche in un momento successivo, di comunicare la disponibilità a riconoscere delle ulteriori misure tra cui, a scopo meramente esemplificativo, sono elencati il divieto di esercitare particolari attività o professioni, il divieto di guidare veicoli, l’obbligo di sottoporsi a trattamenti terapeutici o di disintossicazione ovvero quello di depositare una somma di denaro a titolo di garanzia.
Il Governo italiano ha fatto uso di tale facoltà, dichiarandosi disponibile a riconoscere ed applicare, oltre alle misure cautelari indicate dal par. 1 dell’art. 8 della decisione quadro, anche l’eventuale divieto temporaneo dell’esercizio di talune attività professionali (cfr. art. 5, lett. f) del d.lgs. n. 36/2016).
Ciò detto, per quanto la decisione quadro 2009/829/GAI individui delle specifiche misure cautelari suscettibili di essere riconosciute ed eseguite in uno Stato membro dell’Unione, non è da escludere a priori la possibilità che possano manifestarsi delle incompatibilità tra la decisione adottata dallo Stato di emissione ed i principi costituzionali dello Stato di esecuzione. Proprio per scongiurare l’ipotesi che tali contrasti possano indurre lo Stato di esecuzione a rifiutare il riconoscimento di una decisione cautelare emessa dall’autorità di un altro Stato membro, la decisione-quadro contempla, all’art. 13, la possibilità di adattare la misura cautelare con altre equipollenti applicabili nello Stato di esecuzione, con l’espresso divieto di modifiche peggiorative per il soggetto destinatario di siffatte misure e fermo restando il diritto dell’autorità dello Stato di emissione di revocare il provvedimento, purché la sorveglianza nello Stato di esecuzione non abbia ancora avuto inizio.
Tale possibilità di adattamento è stata puntualmente contemplata dal legislatore italiano che, all’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 36/2016 espressamente attribuisce alla Corte di appello, individuata come autorità giudiziaria competente a pronunciarsi sul riconoscimento di una decisione straniera, il potere di procedere «ai necessari adattamenti, con le minime deroghe necessarie rispetto a quanto previsto dallo Stato di emissione», previa preventiva comunicazione alle competenti autorità di quest’ultimo.
I motivi del rifiuto del riconoscimento
L’art. 15 della decisione quadro, il cui contenuto è riprodotto nell’art. 13 del d.lgs. n. 36/2016, individua talune ipotesi in cui è fatta salva la possibilità per lo Stato di esecuzione di rifiutare il riconoscimento della decisione cautelare emessa dall’autorità di un altro Stato. Tale facoltà non è certo una novità in quanto altri esempi si rinvengono sia in ambito civile, nel regolamento Bruxelles I bis, sia in quello penale, in primis nella citata decisione quadro sul mandato di arresto europeo (e poi in tutte le decisioni quadro sul reciproco riconoscimento delle decisioni penali, di fatto modellate sullo strumento di cooperazione giudiziaria del 2002).
Ciononostante, la ratio sottesa ai motivi di rifiuto contemplati dalla decisione quadro 2009/829/GAI sembra rispondere ad esigenze differenti. Se, infatti, il diniego di riconoscimento di un mandato d’arresto europeo è idoneo a scongiurare illegittime compressioni del diritto alla libertà del destinatario del provvedimento di cattura, il rifiuto opposto al riconoscimento di una decisione sulle misure cautelari alternative alla detenzione potrebbe condurre a risultati di segno opposto. Difatti, è verosimile immaginare che l’autorità procedente dello Stato di emissione, vedendosi negato il riconoscimento del proprio provvedimento, ovvero anche solo prefigurandone il rifiuto, preferisca trattenere in custodia preventiva l’indagato fino alla definizione del procedimento a suo carico.
Conseguentemente, la decisione quadro 2009/829/GAI, limita la possibilità di rifiutare il riconoscimento a poche ipotesi, sostanzialmente circoscritte alla sussistenza di un vizio del certificato a corredo della decisione ovvero a una potenziale violazione del principio del ne bis in idem,ovvero ancora alla sussistenza di una causa di immunità o di non punibilità del destinatario della misura idonee a pregiudicarne la concreta esecuzione, nonché all’ipotesi in cui sussista un motivo che, in caso di violazione delle prescrizioni cautelari, possa impedire la consegna del sospettato in ottemperanza ad un eventuale mandato di arresto.
In ogni caso, al fine di scongiurare ricadute negative sul destinatario della misura cautelare, la decisione quadro prevede l’obbligo, per l’autorità dello Stato di esecuzione di comunicare preventivamente e senza indugio la possibilità del rifiuto all’autorità dello Stato di emissione che, eventualmente, potrà modificare la misura ovvero sostituire o completare il certificato.
Il recepimento in Italia
Con il d.lgs. n. 36/2016, oltre a rendere applicabile la decisione quadro 2009/829/GAI nel nostro ordinamento, il legislatore nazionale ha provveduto a definire taluni aspetti sostanziali e procedurali fondamentali.
In particolare, è stato riconosciuto in capo al Ministero della giustizia un fondamentale ruolo di supporto e di assistenza per le autorità nazionali che dovessero emettere un’ordinanza cautelare da eseguirsi in un altro Stato membro ovvero ricevere una analoga richiesta da parte della competente autorità di un altro Paese.
Ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 36/2016, infatti, sarà il Ministero della giustizia a provvedere alla trasmissione e alla ricezione delle misure cautelari e del connesso certificato laddove, secondo quanto si dirà infra, non possa provvedere direttamente l’autorità giurisdizionale competente.
Per quanto concerne la trasmissione all’estero di una misura adottata dall’autorità nazionale, l’art. 5 del d.lgs. n. 36/2016 attribuisce al Pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento il compito di svolgere le operazioni connesse alla trasmissione. Quest’ultima, ai sensi del successivo art. 7, dovrà essere effettuata al Ministero della giustizia per la traduzione nella lingua dello Stato di esecuzione ed il conseguente inoltro alle competenti autorità di quest’ultimo. Laddove, però, la traduzione dovesse essere garantita dall’autorità di emissione, la trasmissione potrà essere effettuata direttamente all’autorità competente per l’esecuzione, dandone, comunque, comunicazione al Ministero della giustizia.
Sempre al Pubblico Ministero il d.lgs. n. 36/2016 attribuisce la facoltà di ritirare il certificato laddove l’autorità dello Stato membro di esecuzione abbia comunicato l’esistenza di un’incompatibilità della durata della misura cautelare con l’ordinamento nazionale.
Per quanto concerne, invece, l’esecuzione in Italia di una misura cautelare emessa dall’autorità di un altro Stato membro, il d.lgs. n. 36/2016 attribuisce la competenza a pronunciarsi sul riconoscimento alla Corte di appello nel cui distretto il destinatario del provvedimento ha la residenza abituale ovvero ha dichiarato di volerla trasferire ai fini dell’esecuzione della misura.
Laddove, tuttavia, la Corte di appello dovesse riscontrare la propria incompetenza provvederà, ai sensi dell’art. 9, comma 2, a dichiararla con ordinanza, disponendo la contestuale trasmissione degli atti alla Corte di appello competente e provvedendo ad informare, anche per il tramite del Ministero della giustizia, l’autorità di emissione. Avverso la decisione della Corte di appello, ai sensi dell’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 36/2016, è comunque esperibile il ricorso per Cassazione la cui proposizione determina la proroga di trenta giorni del termine – normalmente di dieci giorni decorrenti dalla ricezione della richiesta e dei documenti allegati – entro cui deve normalmente intervenire la decisione sul riconoscimento.
Riflessioni conclusive
Per quanto sia prematuro valutare le ricadute pratiche per l’ordinamento nazionale del recepimento della decisione quadro 2009/829/GAI, certamente non possono sottacersi talune aspettative positive per un innalzamento della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini sospettati di aver commesso un reato in uno Stato membro diverso da quello della propria residenza abituale. Nelle more del processo, infatti, essi potrebbero ritornare nel loro Paese subendo l’assoggettamento ad una misura cautelare meno drastica rispetto alla carcerazione preventiva.
Inoltre, l’applicazione della decisione quadro in parola potrebbe determinare effetti positivi anche nel caso in cui il reo dovesse essere ritenuto, all’esito del processo, responsabile del reato ascrittogli. Difatti, la constatazione del rispetto delle prescrizioni imposte con l’ordinanza cautelare potrebbe indurre l’autorità giurisdizionale ad infliggere una sanzione alternativa alla detenzione ovvero a concedere la sospensione condizionale della pena con il contestuale assoggettamento a misure meno restrittive della libertà personale che, in virtù della decisione quadro 2008/947/GAI, anch’essa recentemente recepita nel nostro ordinamento (v. in questa Rivista, A. Maffeo), potrebbero trovare esecuzione nel differente Stato di residenza abituale del condannato.
Infine, non è da escludere che l’applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI possa determinare effetti positivi anche per l’ormai cronico e più volte sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sovraffollamento delle carceri.
Infatti, per quanto l’applicazione del meccanismo di cooperazione di cui alla decisione quadro in commento non potrà certo risolvere l’ormai annoso problema (in tema v. E. Dolcini, in Diritto Penale Contemporaneo), atteso che una rilevante percentuale dei detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane ha cittadinanza di Stati terzi, ed è pertanto sottratta dall’ambito di applicazione dello strumento in commento, ciò non toglie che un congruo numero di detenuti aventi cittadinanza europea potrà essere trasferito in altri Stati membri con il duplice vantaggio di ridurre la popolazione carceraria nazionale, da un lato, e consentire ai sospettati in attesa di giudizio di beneficiare di misure alternative alle detenzione, dall’altro lato.