Il Protocollo 16 in vigore dal 1° agosto 2018: una nuova ipotesi di forum shopping tra le corti?
Introduzione
Lo scorso 12 aprile la Francia ha depositato il proprio strumento di ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa, consentendo l’entrata in vigore del Protocollo n. 16 al 1° agosto 2018. L’art. 8 del Protocollo, infatti, stabilisce che esso entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo ai tre che seguono la ratifica del decimo Stato, ovvero la Francia. Prima di detto Stato avevano ratificato Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina (v. l’apposita pagina del Consiglio d’Europa sullo stato delle firme e delle ratifiche). Il Protocollo sarà quindi in vigore ed applicabile, per quegli Stati che l’hanno ratificato, a decorrere dal 1° agosto 2018: sebbene per ora si tratti di un numero esiguo di Stati, rispetto alle Parti contraenti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali (CEDU), tale strumento comporta indubbiamente una significativa innovazione nel sistema, aprendo una nuova possibilità di dialogo tra le corti, su cui appare utile interrogarsi fin d’ora.
1. L’ipotesi di uno strumento consultivo di competenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e la genesi del Protocollo n. 16
La possibilità di uno strumento interpretativo di competenza della Corte EDU era già stata ipotizzata in passato: ad esempio, nell’Etude des questions juridiques et techniques d’une éventuelle adhésion des CE/de l’UE à la Convention Européenne des Droits de l’Homme del 2002, il Comité Directeur des Droits de l’Homme aveva proposto di introdurre, a completamento del sistema di ricorsi individuali, una sorta di procedura non contenziosa dinanzi alla Corte di Strasburgo, in virtù della quale la Corte di giustizia dell’Unione europea, ed eventualmente il Tribunale, avrebbero potuto richiedere un parere interpretativo alla Corte EDU, al fine di evitare le divergenze tra la giurisprudenza di quest’ultima e quella della Corte di giustizia (par. 77). In tale documento venivano al tempo stesso, sottolineati gli inconvenienti di tale procedura: il disequilibrio tra l’Unione e le altre Parti contraenti, le cui corti supreme non possono beneficiare di un simile sistema di rinvio; l’allungamento dei tempi della procedura; l’impatto negativo sul funzionamento della Corte EDU, nel caso di fissazione di termini perentori entro i quali pronunciarsi. In dottrina, l’opportunità di un sistema di rinvio pregiudiziale dalla Corte di giustizia alla Corte di Strasburgo in caso di adesione era stata ipotizzata, nel passato, apparendo utile l’introduzione di uno strumento che consentisse un dialogo prima dell’emissione della sentenza (G. Sperduti, Le rattachement des Communautés européennes à la Convention de Rome sur la sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentale, in Rev. Marché Commun Un. eur., 1980, p. 170 ss. e G. Gaja, L’Adesione della Comunità europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: obiettivi e problemi, in M. P. Pietrosanti Malintoppi, P. Ungari (a cura di), L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione di Roma, Roma, 1995, p. 29 ss.).
Il Protocollo n. 16 introduce ora un simile strumento, non già per la Corte di giustizia dell’Unione europea (tuttora estranea al sistema CEDU, stante la mancata adesione), ma per le giurisdizioni nazionali.
Già nel 2005, la Commissione di Saggi nominata dai capi di Stato e di Governo dei Paesi membri del Consiglio d’Europa in occasione della riunione tenuta a Varsavia (il 15-16 maggio 2005) con l’obiettivo di studiare riforme per il miglioramento del sistema, aveva analizzato la possibilità di creare un collegamento tra le più alte corti nazionali (tra le quali venivano menzionate in primis le corte costituzionali) e la Corte EDU, introducendo un’apposita procedura consultiva (cfr. parr. 76 -86).
La Conferenza di Smirne sul futuro della Corte di Strasburgo (26-27 aprile 2011), nella sua dichiarazione finale, invitava il Comitato dei Ministri a considerare l’opportunità di introdurre una procedura che consentisse alle più alte giurisdizioni nazionali di richiedere pareri consultivi alla Corte, relativamente all’interpretazione e all’applicazione della CEDU. Successivamente, nell’ambito della Conferenza di Brighton (19-20 aprile 2012), venne presentato un dettagliato documento di riflessione sulla possibilità di estendere la competenza consultiva della Corte, invitando il Comitato dei Ministri a redigere la bozza del testo di un protocollo in tal senso.
Nella 122ª sessione del Comitato dei Ministri (23 maggio 2012), veniva quindi stabilito che il Comité Directeur des Droits de l’Homme redigesse il testo richiesto.
Il progetto veniva poi definitivamente adottato durante la 1176ª riunione del Comitato dei Ministri.
Nella Dichiarazione di Copenaghen dello scorso 13 aprile, è stata accolta con favore l’entrata in vigore del nuovo strumento ed è stato osservato che, se nel breve periodo ciò comporterà un aumento del carico di lavoro della Corte, la prospettiva è di contribuire a ridurlo significativamente.
2. Le modifiche al sistema CEDU introdotte dal Protocollo n. 16
Il Protocollo n. 16, firmato il 2 ottobre 2013, è uno strumento di modifica del sistema CEDU che introduce la facoltà, per le più alte giurisdizioni nazionali, di effettuare un rinvio incidentale interpretativo alla Corte di Strasburgo. Nel Preambolo del Protocollo viene esplicitata la ratio di tale innovazione, in quanto si afferma che «l’estensione della competenza della Corte a emettere pareri consultivi permetterà alla Corte di interagire maggiormente con le autorità nazionali consolidando in tal modo l’attuazione della Convenzione, conformemente al principio di sussidiarietà». Dunque, l’obiettivo dichiarato è quello di incentivare il dialogo, al fine di garantire una migliore attuazione della CEDU a livello nazionale – nel rispetto del principio di sussidiarietà – e, conseguentemente, ridurre il contenzioso a Strasburgo. Ai sensi dell’art. 1, infatti, «le più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli», nell’ambito di una causa pendente. Il Protocollo rimette poi a ciascuno Stato la possibilità di designare, nell’ambito dello strumento di ratifica depositato, quali saranno le alte giurisdizioni abilitate a tale procedimento (art. 10).
Attraverso il nuovo strumento, le designate corti nazionali avranno la possibilità di richiedere alla Corte EDU pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli: dunque, spetterà alla corte nazionale decidere se e quando sottoporre la questione di principio alla Corte EDU. Il Rapporto esplicativo del Protocollo precisa che la locuzione «questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli» è ispirata dall’articolo 43, paragrafo 2, della Convenzione riguardante il rinvio dinanzi alla Grande Camera. In ogni caso, spetterà alla stessa Corte di Strasburgo interpretare questa nozione, nel momento in cui deciderà se dichiarare o meno ricevibile la domanda di parere.
Nel rinvolgere il quesito alla Corte EDU, l’autorità giurisdizionale nazionale deve tenere presente quanto indicato nelle apposite Linee Guida. Non deve trattarsi di una questione ipotetica, ma il quesito deve trarre origine da una controversia pendente davanti all’autorità giurisdizionale nazionale, e l’interpretazione della CEDU e/o dei suoi Protocolli deve essere necessaria per decidere la controversia innanzi ad essa.
Il quesito sarà inizialmente sottoposto ad un collegio di cinque giudici della Grande Camera che delibererà circa la ricevibilità del quesito. Ove il giudizio sia favorevole, si pronuncerà nel merito la Grande Camera. Ove invece il quesito non sia ritenuto ricevibile, vi sarà un diniego motivato del collegio dei cinque.
Ai sensi dell’art. 3 del Protocollo, il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e lo Stato cui appartiene l’autorità giudiziaria che ha richiesto il parere hanno il diritto di presentare osservazioni per iscritto e di prendere parte alle udienze. Vale però anche la regola generale di cui all’art. 36, par. 2, CEDU, di cui l’art. 3 replica sostanzialmente il contenuto, in virtù della quale il Presidente della Corte può, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia, invitare anche altre Alte Parti contraenti o persone a presentare osservazioni per iscritto o a prendere parte alle udienze.
I pareri consultivi sono motivati. Essi, tuttavia, non sono vincolanti, nemmeno per l’autorità che li ha richiesti: tale soluzione non può non suscitare perplessità.
3. La posizione dell’Italia
Lo strumento di ratifica dell’Italia non è ancora stato depositato. Nel corso della precedente legislatura, in data 30 dicembre 2014, il Governo aveva presentato un disegno di legge (n. 2801), riguardante la ratifica e l’esecuzione dei Protocolli n. 15 e n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il Protocollo n. 15 è anch’esso un protocollo di modifica della CEDU, che potrà entrare in vigore solo quando sarà stato ratificato da tutti gli Stati Parte alla Convenzione, il quale apporta alcune innovazioni quali la menzione del principio di sussidiarietà e del margine di apprezzamento nel Preambolo della CEDU, un limite di età per i giudici al momento della nomina (65 anni) e abbrevia il termine di decadenza per il deposito del ricorso alla Corte EDU (da 6 a 4 mesi).
Il disegno di legge, di soli quattro articoli, prevedeva inizialmente l’autorizzazione alla ratifica (art. 1) e l’ordine di esecuzione (art. 2) con riferimento a detti protocolli. L’art. 3 del disegno di legge, in attuazione dell’art. 10 del Protocollo n. 16, indicava poi le giurisdizioni nazionali che possono presentare alla Grande camera le richieste di parere consultivo, ovvero la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, introducendo a tal fine una nuova ipotesi di sospensione facoltativa. Nella seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati del 26 settembre 2017, era poi stato approvato un emendamento per inserire, all’art. 3, il comma 3 del seguente tenore: «[l]a Corte costituzionale può provvedere con proprio regolamento sull’applicazione del Protocollo di cui al comma 1 in conformità agli articoli 14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87», in modo da lasciare alla Corte costituzionale la scelta se partecipare al dialogo con la Corte di Strasburgo. A questo proposito, occorre ricordare che è stata espressa in dottrina (v. il contributo di Pollicino) fin da subito, un’opinione favorevole all’inclusione della Corte costituzionale tra le autorità giurisdizionali abilitate a tale strumento, in coerenza con quanto già effettuato da altri Paesi, nonché al fine di sviluppare un dialogo tra le Corti sui principi, “emancipando” la Corte di Strasburgo dalla soluzione del caso concreto e consentendo un impatto di maggiore portata delle sue pronunce sugli ordinamenti nazionali. Non si può che condividere tale posizione e auspicare una decisione in tal senso della Corte costituzionale italiana. Occorrerà, in ogni caso, attendere l’avvio della nuova legislatura per conoscere il futuro dell’iter per la ratifica italiana.
4. Un’ipotesi di forum shopping sull’interpretazione dei diritti fondamentali?
Già nel contesto del parere circa la compatibilità con i Trattati dell’Unione europea del previsto accordo di adesione dell’Unione alla CEDU (il parere 2/13) era stata esaminata la questione circa la possibile creazione di un forum shopping, a causa dell’applicazione del Protocollo n. 16, tra tale procedura e il rinvio pregiudiziale, con il rischio di elusione di quest’ultimo, “chiave di volta” del sistema giurisdizionale e istituzionale dell’Unione. La Corte di giustizia, nel proprio parere, aveva, infatti, censurato il previsto accordo di adesione, poiché esso non conteneva alcuna previsione di “raccordo” tra i due strumenti, considerando che, ad adesione avvenuta, questo avrebbe potuto rappresentare, come detto, un “pericolo” per il rinvio pregiudiziale: in effetti, nel momento in cui la CEDU, per effetto dell’adesione, diventasse parte integrante del diritto dell’Unione ex art. 216, par. 2, TFUE, un quesito alla Corte EDU con riferimento all’interpretazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla CEDU potrebbe, in linea di principio, sostituire il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
Occorre ricordare in proposito che, nella propria presa di posizione,l’avvocato generale Kokott, con riferimento a tale questione, sottolineava che, anche in assenza di adesione dell’Unione europea alla CEDU, non si può escludere che tale Protocollo possa incidere in qualche modo sulle competenze della Corte di giustizia: secondo Kokott, infatti, «anche senza la prevista adesione dell’Unione, i giudici di Stati membri che abbiano ratificato il Protocollo n. 16 possono sottoporre alla Corte EDU questioni attinenti ai diritti fondamentali, ai fini dell’interpretazione della CEDU, anziché sollevare dinanzi a questa Corte questioni equivalenti nella sostanza, in vista dell’interpretazione della Carta dei diritti fondamentali» (cfr. presa di posizione, par. 139).L’avvocato generale ritiene che per la soluzione di tale problema basterebbe riferirsi all’art. 267, terzo comma, TFUE che impone ai giudici di ultima istanza l’obbligo di rinvio pregiudiziale, prevalendo sul diritto nazionale e, dunque, anche sugli obblighi internazionali eventualmente assunti dagli Stati membri mediante la ratifica del Protocollo n. 16: secondo Kokott, quindi, «i giudici di ultima istanza degli Stati membri – laddove chiamati a decidere su una controversia rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione – devono sottoporre eventuali questioni attinenti ai diritti fondamentali prioritariamente a questa Corte e prioritariamente conformarsi alle decisioni di quest’ultima» (par. 141).Occorre, a tal proposito, rilevare che, se una simile ipotesi di concorrenza tra strumenti non pare del tutto irrealizzabile, potendosi, ad esempio, verificare questioni di rilevanza comunitaria, riguardanti diritti della Carta dei diritti fondamentali coincidenti con quelli della CEDU, è pur vero che detti strumenti hanno ambiti di applicazione e meccanismi di funzionamento molto diversi. In primis, il parere ai sensi del Protocollo n. 16 può essere richiesto solo dalle più alte giurisdizioni nazionali, mentre il rinvio pregiudiziale è accessibile a tutti gli organi giurisdizionali nazionali. Inoltre, il “rinvio” alla Corte EDU riguarda l’interpretazione di previsioni con finalità di carattere generale, mentre il rinvio pregiudiziale è diretto alla soluzione di un caso concreto. Infine, mentre il parere della Corte EDU non è vincolante, la sentenza emessa dalla Corte all’esito del rinvio pregiudiziale vincola il giudice a quo ed è suscettibile di creare un precedente anche al di là del processo nell’ambito del quale è stata sollevata la questione.
Conclusioni
A partire da agosto 2018, dunque, il Protocollo n. 16 sarà in vigore e consentirà ai Paesi che l’hanno ratificato di utilizzare il nuovo strumento interpretativo. Al di là di ogni preoccupazione circa la possibile, per così dire, concorrenza con il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che ad oggi pare priva di fondamento, occorre interrogarsi sull’utilità di un tale strumento nel sistema attuale. Pare lecito, infatti, chiedersi se un tale strumento possa davvero contribuire ad assicurare una migliore applicazione della CEDU presso le corti nazionali e conseguentemente ridurre il contenzioso presso la Corte EDU. Come ricordato, infatti, tale strumento consente di sottoporre unicamente “questioni di principio” relative all’interpretazione della CEDU e dei suoi protocolli alla Corte di Strasburgo. Occorre chiedersi, innanzitutto, se le corti nazionali sapranno sottoporre alla Corte questioni di questo tipo, dimostrandone la natura non ipotetica, ma legata alla soluzione del caso di specie, in modo da superare il filtro del collegio dei cinque. In secondo luogo, occorre chiedersi se la Corte di Strasburgo saprà rispondere a tali quesiti, in maniera utile per il caso di specie, in quanto tale compito non potrà che implicare una radicale trasformazione del ruolo della Corte stessa, tradizionalmente giudice del caso concreto e del distinguishing. Inoltre, come già evidenziato in dottrina (per tutti si rimanda ai contributi raccolti in E. Lamarque (a cura di), La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, Milano, 2015), il limite più significativo riguarda il carattere non vincolante di detti pareri della Corte: le autorità giudiziarie nazionali, infatti, potranno disattendere l’interpretazione della Corte. Evidentemente, in tale ipotesi, la Corte EDU non potrebbe che sanzionare lo Stato, in un eventuale successivo ricorso individuale, ma ciò si tradurrebbe in un’ulteriore allungamento dei tempi per ottenere l’attuazione dei diritti della CEDU in capo al ricorrente. Peraltro, non si può trascurare il fatto che, riservando tale facoltà alle sole giurisdizioni più alte, si rinvia all’ultimo grado di giudizio la possibilità di avere una corretta attuazione della CEDU, con pregiudizio del ricorrente. Da ultimo, occorre chiedersi che impatto avrà la nuova procedura sui tempi dello stesso processo presso la Corte EDU e se non sia opportuno introdurre una procedura ad hoc, per consentire una pronuncia in tempi brevi, sebbene ciò potrebbe avere l’effetto di compromettere i lavori della Corte ed il sistema di trattazione delle cause in ragione dei criteri di priorità.
Al netto di tali perplessità, non potrebbe che accogliersi favorevolmente la possibilità che la Corte costituzionale italiana si inserisca in un tale dialogo, soprattutto in ragione della svolta verso l’affermazione del «predominio assiologico della Costituzione» rispetto alle fonti sovranazionali dimostrata da tale giudice nelle recenti sentenze 49/2015, con riferimento alla CEDU, e 269/2017 con riferimento al diritto dell’Unione europea.