Il codice deontologico di un ordine professionale non può occuparsi del decoro dell’attività dei propri associati?
Si è conclusa con la sentenza n. 238 del 2015 del Consiglio di Stato, sez. VI, la controversia fra il Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, avente ad oggetto la correttezza di taluni contenuti del codice deontologico dei Geologi alla luce della disciplina antitrust. Il Consiglio nazionale dei Geologi aveva impugnato, davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, le delibere dell’AGCM con le quali veniva contestata un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 del TFUE, con conseguenti misure atte a porre termine all’illecito, nonché con la sanzione amministrativa pecuniaria pari a euro 14.254.
La condotta sanzionata dall’Autorità riguardava la predisposizione del codice deontologico, nella parte in cui questa si occupa della determinazione dei compensi dei geologi. La relativa disciplina è stata ritenuta tale da indurre i geologi a non assumere condotte autonome nell’individuazione dei compensi delle proprie prestazioni professionali, spingendoli, invece, a detta dell’Autorità, ad uniformare i rispettivi comportamenti economici mediante l’applicazione della tariffa professionale: così determinando, altresì, una restrizione della concorrenza, in violazione dell’art. 101 del TFUE.
In particolare, l’influenza del codice deontologico sui comportamenti dei geologi (quanto alla determinazione del compenso) è stata ravvisata dall’Autorità con specifico riguardo al richiamo esplicito ivi contenuto alle tariffe approvate con decreti ministeriali, che sono state qualificate come legittimo ed obiettivo elemento di riferimento nella determinazione dei compensi; e inoltre con riguardo all’obbligo di rispettare il decoro e la dignità nella determinazione del compenso, in applicazione (diretta o indiretta) dell’art. 2233, comma 2, del codice civile, ivi espressamente richiamato. L’Autorità ha così riscontrato la capacità di orientare il comportamento economico dei geologi, ai quali viene richiesto di fissare il proprio compenso in conformità a quanto indicato nella tariffa professionale, nonostante i vincoli normativi all’inderogabilità della tariffa siano stati eliminati dall’art. 2, comma 1, lettera a) del D.L. n. 223 del 2006. Infatti, il mero rinvio formale a detta norma, in forza dell’articolo 17 del predetto codice, non basterebbe a rendere chiara ai geologi la possibilità di commisurare le parcelle professionali sulla base del libero accordo fra le parti.
Il TAR Lazio, con sentenza n. 1757 del 25 febbraio 2011, ha respinto i ricorsi, pur ritenendo viziato il provvedimento dell’Autorità, nella parte in cui ha precisato che il riferimento al “decoro professionale”, contenuto nel codice deontologico e quale criterio di commisurazione del compenso, costituisca di per sé restrizione della concorrenza. Infatti, a detta del Giudice di primo grado, da un lato, l’indicazione della tariffa professionale come elemento di riferimento per la commisurazione di parcelle era idonea a indurre i geologi ad adattarsi a tale tariffa, ma, dall’altro lato, l’Autorità non aveva fornito elementi sufficienti per provare la tesi che detta restrizione della concorrenza scaturisse dal riferimento alla dignità professionale come elemento da prendere in considerazione nella commisurazione delle parcelle.
La sentenza è stata appellata davanti al Consiglio di Stato dal Consiglio Nazionale dei Geologi, parte sicuramente soccombente in primo grado. Ma la stessa è stata appellata anche dall’Autorità, nella parte in cui essa ha censurato la motivazione della delibera della medesima Autorità, che aveva disposto che il Consiglio doveva eliminare dal codice deontologico il parametro del decoro professionale.
Con ordinanza collegiale del 5 marzo 2012, n. 1244, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali che si possono suddividere in due distinte categorie: la prima riguarda la portata dell’articolo 267 del TFUE, per quanto concerne la competenza a scegliere e a riformulare le questioni sollevate da una delle parti nel procedimento principale, l’interpretazione dell’obbligo incondizionato di rinvio pregiudiziale rispetto al principio della ragionevole durata del processo, ecc. ed altri aspetti ulteriori; la seconda, riguarda semplicemente il merito del giudizio pendente, con particolare riferimento alle componenti di dignità e decoro professionale nella determinazione di compensi dei geologi, ritenuti quali requisiti che comportino effetti restrittivi della concorrenza professionale ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Con sentenza 18 luglio 2013, C-136/12, si è pronunciata la Corte di giustizia.
In ordine alle questioni pregiudiziali vertenti sull’art. 267, terzo paragrafo, TFUE, il Giudice dell’Unione ha richiamato i principi e i criteri determinabili dalla sua stessa giurisprudenza. Infatti, l’obbligo che discende da detto articolo non è un obbligo incondizionato, poiché, se è pur ver che, “in linea di principio, (il giudice di ultima istanza) è tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del Trattato” (cfr. sentenza del 4 novembre 1997, Parfums Christian Dior, C-337/95, punto 26), tuttavia, qualora la questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso non è rilevante, “vale a dire nel caso in cui una soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della controversia“, tale giudice non è tenuto a sottoporre la questione d’interpretazione (cfr. sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e altri, C-283/81, punto 10). In conclusione, la Corte ha giudicato che se vi è la necessità di ricorrere al diritto dell’Unione per risolvere la controversia, allora, in linea di principio, vi è un obbligo di sottoporre alla Corte “qualsiasi questione di interpretazione che venga in essere” (cfr. sentenza Cilfit e altri, punti da 11 a 20). Infatti, il sistema del rinvio pregiudiziale si inserisce nel rapporto tra giudici nazionali e Corte per garantire il più possibile un’uniformità nell’interpretazione del diritto dell’Unione.
La risposta data dalla Corte appare molto misurata, nonostante la pericolosità dei quesiti che potevano indurre la Corte medesima ad indicare condotte assai gravose per i giudici nazionali. E si tratta anche di risposta del tutto congrua, perché, legando l’obbligo di rinvio pregiudiziale alla rilevanza dei quesiti rispetto al giudizio pendente, la Corte ha conseguentemente escluso che possano essere proposti quesiti svincolati dalla materia del contendere, eventualmente pilotati dalle parti per esigenze ultronee ed inconferenti.
Per quanto riguarda, invece, le questioni vertenti sulla normativa dell’Unione in materia di concorrenza, la Corte ha sintetizzato anzitutto il quesito postole dal Giudice del rinvio, precisando che lo stesso “intende determinare se l’art. 101 TFUE osti all’adozione, da parte di un ordine professionale, come l’Ordine nazionale dei geologi in Italia, di regole deontologiche che prevedono come criteri di commisurazione delle parcelle, oltre alla qualità e all’importanza della prestazione del servizio, la dignità della professione, con la conseguenza che la commisurazione delle parcelle al di sotto di un certo livello, circostanza assimilabile al caso dell’istituzione di tariffe minime, possa essere sanzionata in ragione della violazione di dette norme“.
La Corte di giustizia, dunque, ha ritenuto preliminare esaminare se un’organizzazione professionale, quale quella dell’Ordine nazionale dei geologi in Italia, possa essere considerata un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101. paragrafo 1, TFUE, quando adotta disposizioni come quelle previste nel codice deontologico. Infatti, per l’applicazione delle norme sulla concorrenza elemento discriminante è se un ordine professionale debba essere considerato un’associazione di imprese o, invece, un’autorità pubblica in quanto la sua attività si ricolleghi all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri. Infatti, secondo giurisprudenza costante della stessa Corte, un’attività che, per sua natura, esuli dalla sfera degli scambi economici (cfr. sentenza 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre, punti 18 e 19, riguardante la gestione del servizio pubblico per la previdenza sociale) o si ricolleghi all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri (cfr. il controllo e la polizia dello spazio aereo sentenza 19 gennaio 1994, causa C-364/92, SAT Fluggesellschaft, punto 30 e la sorveglianza antinquinamento marittimo del 18 marzo 1997, causa C-343/95, Diego Calì & Figlio, punti 22 e 23) sfugge dall’applicazione delle regole della concorrenza (cfr. sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e altri/Portolese in Fazari e Meloni, punti 49 e 54; sentenza 28 febbraio 2013, causa C-1/12, OTOC).
La Corte sul punto ha giudicato che, quando adotta un atto come il codice deontologico (beninteso, nella parte in cui essa prevede criteri per la commisurazione delle parcelle), “un’organizzazione professionale come l’Ordine nazionale dei geologi non esercita né una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà, né prerogative tipiche dei pubblici poteri“. Per tali motivi, il Consiglio dell’Ordine dei geologi, nella determinata ipotesi alla base del giudizio a quo, non può che apparire come “l’organo di regolamentazione di una professione il cui esercizio costituisce per il resto un’attività economica” (cfr. sentenza del 19 febbraio 2002, C- 309/99, Wouters punto 58).
Chiarita l’applicazione dell’art. 101 al caso in esame, la Corte ricorda come può essere considerata violazione della concorrenza “una raccomandazione di prezzo, indipendentemente dalla sua precisa natura giuridica” (cfr. sentenza del 27 gennaio 1987, Verband der Sachversicherer/Commissione, C-45/85, punto 32). Ma ricorda anche che, perché vi sia violazione della normativa sulla concorrenza, l’intesa o la pratica abusiva deve pregiudicare il commercio tra gli Stati membri. Peraltro ha rilevato che un’ “intesa che si estende a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua stessa natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato” (Cfr, sentenze del 18 luglio 1998, Commissione/Italia, C-35/96, punto 48).
Dunque, poiché la normativa Italiana dispone l’appartenenza obbligatoria all’ordine professionale su tutto il territorio della Repubblica italiana, alla luce delle suesposte considerazione “si deve affermare che le regole deontologiche che indicano come criteri di commisurazione delle parcelle del professionista la dignità della professione nonché la qualità e l’importanza della prestazione sono idonee a produrre effetti restrittivi della concorrenza del mercato interno“.
Tuttavia, precisa la Corte, anche un’intesa (o una determinazione assunta da un’associazione di imprese) che abbia dette caratteristiche non è in ogni caso lesiva della concorrenza. Infatti, come già ricordato nella sentenza Wouters, ai fini dell’applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, si deve tener conto del contesto globale, nel cui ambito la decisione è stata adottata o spiega i suoi effetti e, più in particolare, degli obiettivi che la stessa si prefigge. Infatti, nel caso di specie, l’obiettivo era quello di fornire garanzie necessarie ai consumatori finali dei servizi propri dell’attività di geologo. Con la conseguenza che occorre di volta in volta “verificare se gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano ineriscano al perseguimento di detti obiettivi” (cfr. punto 53 della sentenza in commento e testualmente punto 97 della sentenza Wouters) e se detti obiettivi possano essere considerati legittimi alla luce della normativa europea (cfr. sentenza del 18 luglio 2006, Meca-Medina e Majacen/commissione, C-519/04, punto 47).
Tale valutazione è rimessa dalla Corte al Giudice del rinvio, che dovrà “valutare se l’esistenza del criterio relativo alla dignità della professione possa essere considerata necessaria al conseguimento di un obiettivo legittimo“. Si tratta di un aspetto fondamentale rimesso alla valutazione del Giudice nazionale, perché nella logica della sentenza della Corte – ove già sono stati forniti tutti i “punti fissi” entro cui inquadrare la fattispecie – tale profilo risulta dirimente ai fini della qualificazione della condotta come anticoncorrenziale o meno.
In conclusione, la Corte di giustizia ha ritenuto che, nel dettare regole come quelle previste dal codice deontologico dei geologi (e con i contenuti che sono stati precisati), l’ordine professionale assume le vesti di un’associazione d’imprese ai sensi dell’art. 101, par. 1 TFUE. Tuttavia, se nel caso concreto tali regole ledano la concorrenza spetterà al giudice del rinvio stabilirlo, verificando se esse, “in particolare quelle che fanno riferimento al criterio relativo alla dignità della professione, possano essere considerate necessarie al conseguimento dell’obiettivo legittimo collegato a garanzie accordate ai consumatori dei geologi“.
Alla luce della decisione della Corte e dopo la tempestiva riassunzione della causa, il Consiglio di Stato si è definitivamente pronunciato sulla questione in data 22 gennaio 2015, pedissequamente richiamando i principi sopra enunciati.
Partendo, dunque, dalle stesse parole della Corte, il Consiglio di Stato ha ritenuto superata la tesi difensiva del CNG, volta a rappresentare una netta distinzione tra concorrenza commerciale e professionale. Infatti, la nozione “comunitaria” di impresa non prevede una differenziazione rispetto all’esercente una professione liberale, “con la conseguenza che l’Ordine professionale può essere qualificato alla stregua di un’associazione di imprese dell’art. 101 TFUE“.
Se, quindi, dubbi interpretativi non vi possano essere su detta questione, ne rimangono, invece, per quanto riguarda l’iter logico seguito dal Consiglio di Stato, che ha ritenuto che l’obiettivo della norma di cui trattasi non fornisse garanzie necessarie ai consumatori dei servizi finali.
Il Supremo consesso amministrativo si è avvalso anzitutto dell’indagine conoscitiva svolta dall’Autorità, dalla quale “è emerso che l’obbligo contenuto nei codici deontologici di rispettare il decoro della professione nella determinazione del compenso induca di fatto, e per prassi consolidata, gli iscritti a ritenere vincolanti le tariffe professionali“. Il Consiglio di Stato giunge così alla conclusione che il solo fatto che vi sia tra i vari criteri di commisurazione delle parcelle anche quello del decoro professionale, si traduce in una “surrettizia reintroduzione dei minimi tariffari“. L’indagine demandata dalla Corte UE è stata svolta, dunque, partendo dal presupposto (di per sé discutibile) che con detto parametro (il decoro professionale) il codice deontologico avrebbe reintrodotto i minimi tariffari, arrivando così alla conclusione obbligata che detti minimi non siano ovviamente necessari per garantire l’obiettivo della tutela del consumatore. Infatti, riconduce la tutela del consumatore ad altri strumenti previsti dall’ordinamento nazionale, ritenendo che già i rimedi civilistici nei rapporti tra professionista e cliente siano adeguati allo scopo.
Tuttavia, seguendo questo iter logico, il Collegio tralascia di spiegare come il criterio del decoro professionale possa dispiegare effetti diversi rispetto ad altri criteri della commisurazione delle parcelle, strettamente collegati alla qualità del lavoro, quali l’importanza e la difficoltà del lavoro, nonché le conoscenze tecniche e l’impegno previsti.
Del resto non pare nemmeno sufficiente a giustificare il rigetto dell’appello del CNG il rilievo che vi sia già una copertura normativa nell’art. 2233, comma 2, cod. civ., che prevede espressamente che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione“. Se infatti sussiste già un preciso obbligo civilistico che le parti devono rispettare in ordine al “compenso professionale al decoro della professione”, come rileva giustamente il Consiglio di Stato, non si capisce come mai il richiamo di detto obbligo nel codice deontologico si debba tradurre per i geologi in un ritorno ai minimi tariffari.
Ne deriva che il carattere d’intesa, riscontrato e stigmatizzato dal Consiglio di Stato, non è dato tanto dal contenuto della norma deontologica (di per sé riproduttiva di quanto stabilito dall’art. 2233 cod. civ.), quanto dalla sua ricomprensione nell’ambito del codice deontologico, con le implicazioni in tema di controllo (da parte del CNG) che ne deriverebbero. Così argomentando, la sentenza pare discostarsi dai criteri indicati dalla Corte di giustizia, che sembrerebbero diretti alla disamina della norma in sé considerata (“se l’esistenza del criterio relativo alla dignità della professione possa essere considerata necessaria al conseguimento di un obiettivo legittimo“) e non del testo normativo che la ricomprende e che era dato per presupposto dalla medesima Corte di giustizia. Ora la norma in sé considerata non pare ultronea rispetto all’obiettivo legittimo indicato dalla Corte, anche perché, se così non fosse, occorrerebbe ritenere incompatibile col diritto europeo anche la richiamata norma del codice civile. E, inoltre, il richiamo alla dignità o al decoro professionale, sia pure a fini parcellari, non pare di per sé idoneo ad alterare le regole della concorrenza, almeno che non si dimostri che si tratta di un richiamo fittizio o che la posizione dei consumatori sarebbe meglio tutelata dallo svolgimento di un’attività priva di decoro e di dignità.
Questi argomenti non sono stati specificamente considerati, né comunque accolti. Sicché, il Consiglio di Stato ha concluso per l’accoglimento dell’appello dell’AGCM, con il conseguente rigetto di quello proposto dal CNG.
Quanto deciso dalla sentenza n. 238/15 del Consiglio di Stato non precluderà tuttavia in un futuro che la questione possa essere riconsiderata arrivando così ad un risultato diverso, proprio partendo dal criterio che, come stabilito dalla Corte, si debba valutare “caso per caso” (cfr. sentenze sopra richiamate Meca-Medina e Majcen/Commissione) se le restrizioni imposte da un organo come il Consiglio nazionale siano limitate a quanto necessario per il conseguimento di obiettivi legittimi. Del resto, già in precedenza la Corte di giustizia aveva giudicato che un ordine professionale (nello specifico quello degli Avvocati olandesi) non dovesse “essere considerato come un’impresa o gruppo d’intese ai sensi dell’art. 86 del Trattato” (cfr. sentenza Wouters, cit., punti 105, 110 e 111): e non è detto che simile giudizio non possa essere ripetuto con riferimento a casi analoghi.
Nel frattempo, tuttavia, è intervenuta un’ulteriore sentenza del TAR Lazio (Roma, sez. I, 16 febbraio 2015, n. 2688), che a prima lettura appare fortemente penalizzante per un altro ordine professionale (Ordine dei medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bolzano). Infatti pare prescindere dal test di concreta ed effettiva restrizione della concorrenza, pur previsto dalla Corte di giustizia nella sentenza relativa alla causa dei Geologi (cfr. punto 56), attendendosi così su criteri estremamente restrittivi.