Il Clean Industrial Deal e il collegato framework sugli aiuti di Stato alla prova delle sfide del mercato globale
Il contesto
Il 26 febbraio 2025 la Commissione ha presentato l’atteso Clean Industrial Deal, piano che ha il difficile compito di bilanciare le delicate esigenze di competitività dell’industria europea con i programmi di decarbonizzazione di cui l’UE è pioniera sul mercato globale, anche e soprattutto alla luce del mutato contesto geopolitico che minaccia di indebolire il mercato europeo in assenza di adeguati interventi. Infatti, il generale e costante rallentamento della produttività europea si è negli ultimi anni ancor più aggravato a causa della rapida crescita della concorrenza mondiale sulle imprese europee e di un contestuale minore accesso di queste ai mercati esteri, da ultimo con le annunciate politiche aggressive di Trump sui dazi. A ciò si deve aggiungere la messa in discussione dei vecchi assetti geopolitici e di alleanza, di cui l’Unione stessa ha beneficiato godendo del muro protettivo fornito dagli Stati Uniti, potendo concentrare quindi la propria spesa su settori diversi dalla difesa, ma che oggi inizia a mostrare le sue crepe e, infine, dalla perdita della Russia quale principale e più importante fornitore di energia per l’UE.
Il Clean Industrial Deal rappresenta il primo esito di un processo attivo, avviato dalla Commissione, al fine di indirizzare proprio queste preoccupazioni e fonti di inefficienza del mercato europeo, iniziato con l’affidamento a Mario Draghi e a Enrico Letta di un mandato per la predisposizione di due rapporti che puntualmente analizzassero i problemi legati alla competitività europea e che identificassero le aree di intervento entro le quali agire nel prossimo futuro. Il Rapporto Letta, che si concentra sull’evoluzione del mercato unico, è stato pubblicato il 17 aprile 2024, mentre il 9 settembre 2024, Mario Draghi ha presentato il rapporto sul futuro della competitività europea, anche chiamato Rapporto Draghi, nel quale si espone come l’UE, sin dall’inizio degli anni duemila, e pur disponendo delle basi e dei fattori adeguati ad essere un mercato competitivo, registra una ridotta crescita, imputabile ad un rallentamento della produttività. Nel Rapporto si avverte che, seppur fin ora questa sempre più marcata lentezza nella produttività dei mercati non sia stata percepita come un pericolo imminente, anche grazie a tutta una serie di condizioni geopolitiche favorevoli, oggi queste premesse sono venute meno e si rivela pertanto necessario intraprendere azioni concrete e rapide per ridurre le vulnerabilità, per chiudere il gap tecnologico con le altre grandi potenze economiche e – soprattutto – per farlo senza dover rinunciare a qualcosa. A pagina 5 del Rapporto si afferma, infatti, che “(i)f Europe cannot become more productive, we will be forced to choose. We will not be able to become, at once, a leader in new technologies, a beacon of climate responsibility and an independent player on the world stage. We will not be able to finance our social model. We will have to scale back some, if not all, of our ambitions.” Il Rapporto individua quindi tre macro-aree di intervento: (i) chiudere il cd. innovation gap, o divario di innovazione, nei confronti di Stati Uniti e Cina, in quanto ad oggi solo quattro delle prime cinquanta aziende ad alta innovazione tecnologica del mondo sono europee; (ii) ridurre i prezzi dell’energia, troppo elevati e forieri quindi di scarsa competitività delle aziende europee su un mercato globale in cui i competitor sostengono prezzi energetici nettamente inferiori, e parallelamente rafforzare le strategie di decarbonizzazione e (iii) prendere atto dei mutamenti del contesto geopolitico e investire in difesa e sicurezza, riducendo la dipendenza da altri paesi, anche tramite lo sviluppo di una forte politica economica estera europea.
Le risultanze del Rapporto sono state recepite dalla Commissione e poste alla base di un nuovo piano per la crescita sostenibile e la produttività del mercato europeo e coerentemente, a gennaio 2025, la stessa ha pubblicato la Competitiveness Compass, la prima iniziativa strategica volta a delineare un quadro generale entro il quale orientare le iniziative future dell’Unione, trasformando le indicazioni del Rapporto Draghi in una roadmap. La bussola identifica tre “transformational imperatives to boost competitiveness”, corrispondenti a decarbonizzazione, chiusura del divario di innovazione e riduzione dell’eccessiva dipendenza da attori stranieri potenziando difesa e sicurezza, oltre che cinque strumenti necessari per il raggiungimento di tali obiettivi, quali la semplificazione, la rimozione di barriere nel mercato unico, i finanziamenti mirati, il supporto alle competenze e ai lavori qualificati e la migliore coordinazione. Il nuovo Clean Industrial Deal si inserisce nel secondo imperativo identificato, quello della decarbonizzazione e contestuale rafforzamento della produttività, nella convinzione che, quando ben coordinate ed integrate, le politiche di decarbonizzazione possono funzionare come un importante driver di crescita e innovazione.
Il contenuto del Clean Industrial Deal
L’Accordo, che come anticipato si inserisce in un più ampio mosaico di iniziative per riacquisire competitività e assicurare prosperità sostenibile, si rivolge alle industrie ad elevato consumo energetico e al settore clean-tech, termine che si riferisce a tutti quei processi, soluzioni, prodotti, tecnologie e servizi innovativi che mirano ad ottimizzare l’uso delle risorse naturali ed in grado di ridurre l’impatto ambientale, migliorare l’efficienza energetica e abbattere le emissioni di CO2. L’obiettivo è quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e, contestualmente, di dare una spinta all’innovazione e alla competitività proprio trasformando la decarbonizzazione e l’efficientamento energetico in uno strumento di crescita per l’Europa, allo scopo individuando sei punti critici sui quali risulta decisivo un intervento a livello comunitario.
Innanzitutto, viene preso atto del fatto che i costi dell’energia sono troppo elevati e che ciò, di conseguenza, impatta sulla competitività delle imprese europee nel mercato globale, nel quale operano competitor che affrontano costi energetici nettamente inferiori, e ciò è tanto più vero per i mercati ad alta intensità energetica. Per contrastare questo squilibrio, viene predisposto l’Affordable Energy Action Plan, un piano strategico avente lo scopo di abbassare i costi dell’energia per cittadini ed imprese. Inoltre, il Clean Industrial Deal prevede di controllare la volatilità dei prezzi rendendo i contratti di acquisto di energia elettrica più appetibili per gli utenti industriali e di consumare più energia pulita prodotta a livello nazionale, ed è inoltre previsto un aumento del tasso di elettrificazione dell’economia dal 21,3% al 32% e l’installazione di 100GW di capacità elettrica rinnovabile ogni anno, fino al 2030.
Il secondo problema identificato nell’Accordo è quello dell’assenza di una domanda di mercato stabile e prevedibile per i prodotti clean-tech, e pertanto è prevista l’introduzione di criteri di sostenibilità, resilienza e preferenza europea negli appalti pubblici dell’UE per i settori strategici, al fine di favorire la domanda di prodotti clean realizzati in UE, con l’obiettivo di raggiungere il 40% di componenti chiave prodotti in Unione Europea per questi prodotti sul mercato interno. Allo stesso scopo si prevede l’introduzione di un’etichetta di prodotto che indichi l’intensità di carbonio, al fine di consentire alle imprese di ottenere un premio verde e informare correttamente i consumatori.
Un terzo ordine di problemi affrontato riguarda le inefficienze e gli ostacoli che circondano le materie prime, specialmente quelle critiche. L’industria europea, a fronte di una forte dipendenza da questo tipo di materiali, non riesce a sfruttare le risorse in modo competitivo e a gestirne in modo efficiente l’approvvigionamento: le materie prime non sono riutilizzate efficientemente, gli scarti di materiale utile e prezioso non vengono riutilizzati ma smaltiti e il mercato europeo fatica a reperire i materiali necessari alla transizione verde in un contesto geopolitico altamente competitivo, caratterizzato da una forte contesa di potenze economiche per l’accesso ai mercati, alle risorse e alle nuove tecnologie. In un recente discorso tenuto in apertura dell’European Industrial Summit, la Presidente della Commissione von der Leyen ha rilevato come un terzo di tutte le imprese che si occupano di tecnologia circolare sono europee e oltre il 50% di materiali come acciaio, zinco, ferro o platino in Europa siano derivati da scarti, ma che tuttavia, ad esempio, la Cina controlla l’80% del riciclaggio delle batterie a livello globale, con l’UE che spedisce in Cina un quantitativo enorme di materiali preziosi perché non in grado ad oggi di gestire questi scarti strategici. È per questo motivo che la Commissione ha previsto l’istituzione di un Centro europeo per le materie prime critiche per l’organizzazione di acquisti congiunti, allo scopo di garantire prezzi più bassi e maggior disponibilità delle risorse critiche e, contestualmente, con il New Circular Economy Act verrà ridotta la dipendenza del mercato dalle importazioni di materie prime critiche. Al fine di raggiungere questi obiettivi sono previste iniziative per aumentare il tasso di utilizzo di materiali circolari, dall’attuale 11,8% al 24% entro il 2030 e per garantire alle imprese europee un migliore accesso ai mercati stranieri, anche attraverso accordi commerciali e partenariati per il commercio e gli investimenti puliti e con il rafforzamento della cooperazione internazionale e multilaterale, con l’ambizione di assicurare la più elevata quota possibile di mercato globale riguardante le tecnologie pulite, per un valore di duemila miliardi di dollari, nel 2035.
Questi ambiziosi obiettivi sarebbero tuttavia vanificati senza una mirata semplificazione e senza la giusta quantità di investimenti a supporto della decarbonizzazione, elettrificazione e competitività dell’industria europea, ed è per questa ragione che, contestualmente alle iniziative di cui sopra, la Commissione ha previsto di potenziare l’Innovation Fund, ovvero il fondo per gli investimenti innovativi, attraverso la creazione di migliori e maggiori sinergie tra gli strumenti di finanziamento già esistenti, l’incentivazione di investimenti privati con modifiche all’InvestEU e, soprattutto, con la predisposizione di un framework semplificato sugli aiuti di Stato destinati a questi mercati, di cui si dirà nel dettaglio a breve, per garantire maggiore flessibilità agli Stati membri, stimando gli investimenti generati da tali iniziative a oltre cento miliardi di euro. Inoltre, verranno snelliti i processi normativi per facilitare le imprese e ridurre gli ostacoli burocratici che si frappongono tra imprese e innovazione e si prevede di migliorare il coordinamento tra le politiche nazionali e quelle comunitarie al fine di sfruttare al meglio la portata competitiva del mercato unico. Va da sé che, al fine di stimolare la crescita della produttività e competitività di un mercato altamente specialistico, è necessario – a monte – disporre di una forza lavoro all’altezza di queste ambizioni, soprattutto alla luce del fatto che solo nel 2024 in molti Stati membri è stata segnalata una carenza in tal senso. Nell’indirizzare questo punto critico, la Commissione ha disposto l’istituzione di una nuova Union of Skills, la quale garantirà una forza lavoro qualificata per i settori strategici, promuoverà la creazione di posti di lavoro e sosterrà i lavoratori in transizione.
Sebbene l’iniziativa sia stata generalmente accolta con favore, alcune perplessità e riflessioni sono emerse e altre, sorte nelle more della pubblicazione dell’Accordo, persistono. La principale di queste è senza dubbio la semplificazione legislativa: pur riconoscendo che una semplificazione burocratica possa essere di incentivo all’efficacia delle misure contestualmente introdotte e a un miglior recepimento di direttive e regolamenti, si segnala il rischio di approdare ad una “deregulation ambientale e sociale” (così Legambiente in un comunicato del 26 febbraio 2025) e di “compromettere gli standard di controllo e sicurezza, privilegiando lo svolgimento fluido dell’iter autorizzativo a discapito del mantenimento di rigorose valutazioni d’impatto ambientale e di tutela della salute pubblica” (così ISPI, nella sua newsletter del 20 settembre 2024), traducendo la velocità e semplificazione in un abbassamento degli standard. Queste preoccupazioni non paiono del tutto infondate se si considera che, lo stesso giorno della presentazione del Clean Industrial Deal, la Commissione ha presentato una proposta di semplificazione che consentirà, ad esclusione delle imprese di grandi dimensioni, ad oltre l’80% delle aziende europee di essere più libere e meno vincolate alla rendicontazione dell’impatto ambientale delle proprie attività. La Presidente von der Leyen, nello stesso discorso già citato, ha tuttavia difeso questa scelta sottolineando come le imprese esentate sono responsabili di meno dell’1% dei volumi di importazione e delle relative emissioni di carbonio, e che pertanto, a fronte di un impatto enorme in termini di semplificazione, prodromica ad una crescita in termini di produttività e competitività delle piccole e medie imprese, l’impatto ambientale resta minimo.
Il framework sugli aiuti di Stato che accompagna il Clean Industrial Deal
Accolta con prudenza è anche l’annunciata iniziativa di semplificazione sugli aiuti di Stato, che rischia di prestare il fianco a distorsioni della concorrenza interna, oltre che a spingere alla nazionalizzazione delle politiche industriali, rafforzando gli squilibri tra gli Stati che possono spingere le proprie imprese e quelli che invece non hanno lo stesso spazio di manovra, e questo oltre al rischio di controversie con i paesi che importano prodotti simili in UE.
L’11 marzo 2025 la Commissione ha pubblicato la bozza State aid Framework accompanying the Clean Industrial Deal, o CISAF, la cui adozione è prevista per giugno 2025 e che contiene la nuova cornice legale di semplificazione sugli aiuti di Stato già annunciata nella presentazione del Clean Industrial Deal, ad esso complementare. Il CISAF contiene infatti le norme che definiscono le modalità con cui gli Stati membri possono prevedere misure di aiuti di Stato per sostenere gli obiettivi del Clean Industrial Deal, sulla base dell’esperienza acquisita grazie alle disposizioni transitorie del Quadro Temporaneo di Crisi e Transizione, che verrà sostituito proprio dal CISAF, una volta adottato. Le misure considerate compatibili con il mercato interno, quando non foriere di distorsioni del mercato, dovranno avere un effetto incentivante sulle attività identificate, potranno essere erogate in qualsiasi forma e, tendenzialmente, potranno essere cumulate con altri aiuti di Stato o con gli aiuti de minimis e combinate con l’erogazione di fondi europei gestiti a livello centrale, purché tali misure riguardino costi diversi o purché il cumulo non superi l’importo più elevato applicabile. Inoltre, al fine di non frustrare l’intento “accelerativo” di queste iniziative sullo sviluppo dei settori individuati nel Framework, gli Stati membri dovranno assicurarsi che i progetti idonei siano implementati entro specifici archi temporali. Le misure contemplate nella bozza riguardano: (i) misure volte ad accelerare il rollout – ovvero l’implementazione e diffusione su larga scala – delle energie rinnovabili, autorizzando gli Stati membri a predisporre investimenti in questi mercati tramite procedure di gara semplificate e di più rapida implementazione e a concedere aiuti per tecnologie meno mature, come l’idrogeno verde, tramite procedimenti semplificati che non prevedono gara, oltre che a concedere aiuti, grazie a specifiche agevolazioni, per i meccanismi di capacità che supportano risorse flessibili non-fossili; (ii) misure che facilitano la decarbonizzazione industriale, permettendo agli stati membri di supportare investimenti nelle tecnologie serventi allo scopo, sia tramite procedure di gara, sia tramite il supporto diretto, entro certi limiti; (iii) misure volte ad assicurare una capacità produttiva adeguata nel settore clean-tech, autorizzando gli Stati membri a sostenere tramite investimenti la produzione di attrezzature per le tecnologie pulite, nonché i componenti chiave e le materie prime critiche necessarie alla produzione di tali attrezzature; (iv) misure volte a ridurre il rischio degli investimenti privati nelle energie rinnovabili, nella decarbonizzazione industriale, nella produzione di tecnologie pulite e in determinate infrastrutture energetiche. In aggiunta a specifici criteri e condizioni dettagliati nella bozza, gli Stati membri devono comunque dimostrare che il regime di aiuti si limita a sostenere investimenti che non avrebbero avuto luogo senza l’aiuto stesso, tenendo conto delle misure politiche e dei meccanismi introdotti per rimediare allo stesso fallimento del mercato. Inoltre, lo Stato membro deve garantire che gli aiuti siano assegnati attraverso una procedura chiara, trasparente e non discriminatoria sulla base di criteri oggettivi e i progetti devono garantire una riduzione complessiva delle emissioni di gas serra, e non limitarsi a spostare le emissioni dal settore industriale interessato al settore energetico. La proposta, che verrà comunque discussa con gli Stati membri, è attualmente al vaglio dell’opinione pubblica, e gli stakeholders possono presentare i propri commenti e contributi entro il 25 aprile 2025.