Il caso polacco (ancora) all’attenzione del Consiglio d’Europa

Il regime polacco è sotto osservazione da anni nelle principali organizzazioni europee (e non solo), dall’Unione europea all’OSCE e al Consiglio d’Europa, a seguito delle varie riforme, introdotte a partire dal 2015, che hanno inciso sui processi di nomina dei giudici, costituzionali e ordinari, sulle loro prerogative, sui poteri del Ministro della giustizia, determinando gravi lesioni dell’indipendenza della magistratura e dei principi fondanti dello Stato di diritto (cfr., tra gli altri, S. Moretti, La riforma del sistema giudiziario polacco e le risposte del Consiglio d’Europa: un quadro dal 2015 ad oggi, in Questione giustizia, 15-5-2021; sull’Unione europea, C Sanna, Dalla violazione dello Stato di diritto alla negazione del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno: le derive della “questione polacca”, in questa Rivista, 2021). Il conflitto in Ucraina, ed il notevole contributo di assistenza a questo paese fornito dalla Polonia, hanno per un certo tempo sopito il dissidio e resa più remota l’adozione di misure incisive nei confronti del paese, in particolare nell’ambito dell’Unione europea. Nel Consiglio d’Europa la questione, che ha fatto oggetto nel corso degli ultimi anni di prese di posizione di diversi organi (si vedano, tra le altre, le risoluzioni 2316 del 2020 e 2359 del 2021 dell’Assemblea parlamentare) rimane peraltro al centro dell’attenzione.

È del 9 novembre 2022 la pubblicazione di un Rapporto del Segretario generale del Consiglio d’Europa, Sig.ra Marija Pejčinović Burić (v. A. Buyse), sulle conseguenze delle pronunce K 6/21 e K 7/21 della Corte costituzionale della Repubblica di Polonia (la cui traduzione inglese è allegata al Rapporto). Il Rapporto è stato emanato all’esito delle risposte ricevute da parte del Ministro degli esteri della Repubblica polacca alle richieste avanzate dal Segretario generale in data 7 dicembre 2021 e 16 marzo 2022 (le une e le altre allegate al Rapporto), con le quali la Sig.ra Pejčinović domandava spiegazioni sui modi con cui l’ordinamento polacco garantisca il rispetto degli artt. 6 e 32 della CEDU, a seguito delle sentenze K 6/21 del 24 novembre 2021 e K 7/21 del 10 marzo 2022. Tali richieste erano inviate dal Segretario generale al Governo polacco in attuazione dell’art. 52 CEDU, secondo cui: “On receipt of a request from the Secretary General of the Council of Europe any High Contracting Party shall furnish an explanation of the manner in which its internal law ensures the effective implementation of any of the provisions of the Convention”. La norma, intitolata “Inquiries by the Secretary General”, configura una procedura di controllo politico-amministrativo sul rispetto della CEDU (cfr. P. Proli, Art. 52, in S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, CEDAM, 2012, p. 772 ss.) che ha attratto scarsa attenzione da parte della dottrina, pur potendo svolgere, con tutti i suoi limiti, una utile funzione complementare al controllo giudiziale della Corte europea dei diritti umani e ai poteri di verifica sull’esecuzione delle sentenze della Corte facenti capo al Comitato dei ministri, principale organo politico del CdE, sia in relazione a problemi che interessino trasversalmente gli Stati parti sia con riferimento a problemi di rispetto della CEDU riguardanti singoli ordinamenti. L’articolo è stato peraltro utilizzato poche volte dal Segretario generale, in alcune occasioni per richiedere a tutti gli Stati parti spiegazioni sulla tutela di un certo diritto o su una certa situazione avente implicazioni rilevanti sul rispetto della CEDU (l’ultima occasione riguardò, nel 2005, il fenomeno delle c.d. extra-ordinary renditions, messe in atto dagli Stati Uniti a partire dal territorio di alcuni Stati europei e con la complicità di questi); solo in tre occasioni precedenti quella attuale la procedura venne avviata nei confronti di uno specifico Stato parte: nel primo caso la Russia, nel 1999-2000, relativamente al rispetto di varie disposizioni della CEDU nel conflitto in Cecenia; nel secondo la Moldova, nel 2002, a seguito della sospensione di un partito politico (su tale prassi v. P. Proli, op. cit., pp. 773-774; W.A. Schabas, The European Convention on Human Rights: A Commentary, Oxford, OUP, 2015, p. 896 ss.); nel terzo una vera e propria inchiesta fu condotta in situ in Azerbaigian, nel 2015, a seguito dell’evidenziazione, da parte delle sentenze della Corte, di una situazione di applicazione arbitraria della legge nel paese, finalizzata a silenziare le voci critiche e limitare la libertà di parola (v. G. Epure; nel 2017 il Comitato dei ministri avrebbe poi avviato contro l’Azerbaigian la prima procedura di infrazione davanti alla Corte, ex art. 46 par. 4 CEDU: cfr. sentenza della Grande camera del 29 maggio 2019 nel caso Ilgar Mammadov c. Azerbaigian (ricorso n. 15172/13) e, in senso critico, K. Dzehtsiarou). Nel 2018 l’Assemblea parlamentare invitava il Segretario generale, peraltro al momento senza esito, ad utilizzare l’art. 52 per indagare sulle deroghe adottate dagli Stati parte in relazione a situazioni di emergenza (risoluzione 2209: l’invito sarebbe stato ribadito con la risoluzione 2238 del 2020 relativa all’emergenza Covid; G. Epure cit. e K. Istrefi).

Il Rapporto del Segretario generale prende avvio dalla mancata esecuzione da parte della Polonia di tre sentenze della Corte: la sentenza del 7 maggio 2021 nel caso Xero Flor w Polsce sp. z o.o c. Polonia (ricorso n. 4907/18), con cui la Corte accertava la violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU da parte della Polonia, in particolare del diritto ad un tribunale costituito per legge, per i vizi che intaccavano (come accertato dalla stessa precedente giurisprudenza della Corte costituzionale polacca) la nomina di uno dei giudici della Corte costituzionale che si erano pronunciati su reclamo costituzionale del ricorrente (nel 2015 tre giudici erano stati regolarmente eletti dalla Camera bassa del Parlamento in scadenza: essi però non si erano potuti insediare, perché dopo le elezioni la nuova maggioranza parlamentare aveva eletto in loro vece altri tre giudici, e questi ultimi avevano prestato giuramento davanti al presidente della Repubblica); la sentenza del 29 giugno 2021 nel caso Broda e Bojara c. Polonia (ricorsi n. 26691/18 e 27367/18), con cui la Corte accertava nuovamente una violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU da parte della Polonia, in particolare del diritto di accesso ad un giudice da parte dei ricorrenti, entrambi magistrati rimossi anzi termine dal Ministro della giustizia dalla loro carica di vicepresidenti di tribunale, senza motivazioni e in assenza di qualunque possibilità di rivolgersi ad un giudice per contestare tale provvedimento; la sentenza del 22 luglio 2021 nel caso Reczkowicz c. Polonia (ricorso n. 43447/19), in cui la Corte ancora una volta accertava una violazione da parte della Polonia dell’art. 6 par. 1 CEDU, in particolare del diritto ad un tribunale costituito per legge, in virtù del processo viziato di nomina dei giudici componenti la Camera disciplinare della Corte suprema (su raccomandazione del Consiglio nazionale del Potere giudiziario, organo difettante di indipendenza e imparzialità a seguito della riforma del 2017, essendo i suoi componenti pressoché interamente designati dal potere politico), la quale aveva comminato una sanzione disciplinare all’avvocata ricorrente. Similmente, nella sentenza dell’8 novembre 2021 nel caso Dolińska-Ficek e Ozimek c. Polonia (ricorsi n. 49868/19 e 57511/19), la Corte avrebbe accertato una violazione da parte della Polonia dell’art. 6 par. 1 CEDU in relazione all’analogo processo di nomina della Camera per la revisione straordinaria e gli affari pubblici della Corte suprema; nella sentenza del 3 febbraio 2022 nel caso Advance Pharma sp. z o.o. c. Polonia (ricorso n. 1469/20), la Corte avrebbe ulteriormente accertato una violazione della medesima norma in conseguenza dell’analogo processo di nomina dei nuovi giudici della Camera civile della Corte suprema: in tale occasione, la Corte avrebbe rilevato che il coinvolgimento generale del Consiglio nazionale del Potere giudiziario nelle nomine dei giudici avrebbe prodotto il perpetuarsi di una disfunzione sistemica, risultando potenzialmente in violazioni multiple del diritto ad un “tribunale indipendente e imparziale costituito per legge” e conducendo di conseguenza ad un ulteriore aggravarsi dello Stato di diritto in Polonia.

La mancata esecuzione delle sentenze in questione, come anche di una serie di altre sentenze della Corte europea su casi analoghi, era a sua volta l’effetto delle sentenze K 6/21 del 24 novembre 2021 e K 7/21 del 10 marzo 2022 della Corte costituzionale polacca, nella composizione alterata dalla presenza dei tre giudici eletti illegittimamente, le quali affermavano l’incostituzionalità, alla luce della Costituzione della Repubblica di Polonia, dell’art. 6 par. 1 CEDU: nella prima sentenza, nei limiti in cui il termine “tribunale” utilizzato in tale norma includa la Corte costituzionale polacca ed essa attribuisca giurisdizione alla Corte europea in merito al processo di selezione dei giudici costituzionali; nella seconda sentenza, nei limiti in cui il concetto di “diritti e obbligazioni di carattere civile” sia esteso a ricomprendere il diritto di un giudice ad occupare una carica amministrativa; e nella determinazione di un “tribunale costituito per legge” l’articolo consenta alla Corte europea ed ai tribunali interni di ignorare la Costituzione, le leggi e le sentenze della Corte costituzionale; abiliti la Corte europea ed i tribunali interni, nell’interpretazione della CEDU, a creare norme attinenti alle procedure di nomina dei giudici; dia potere alla Corte europea o ai tribunali interni di sottoporre a revisione le leggi relative al sistema giudiziario e la competenza delle corti, così come la composizione del Consiglio nazionale del Potere giudiziario, alla luce della compatibilità con la Costituzione e con la CEDU.

Nelle sue risposte al Segretario generale, il Ministro degli esteri polacco, pur manifestando l’impegno della Polonia per l’applicazione effettiva degli articoli 6 par. 1 e 32 CEDU ed il dialogo con le istituzioni di Strasburgo, non faceva altro che ribadire gli argomenti contenuti nelle sentenze della Corte costituzionale, tra i quali la supremazia della Costituzione polacca sulla CEDU e la natura ultra vires della deduzione dal testo dell’art. 6 par. 1, da parte della Corte europea, nel processo di interpretazione della Convenzione, delle “norme” ricordate sopra, valutate contrarie alla Costituzione e non comprese nel testo concordato dagli Stati parte all’atto della ratifica della CEDU e dei protocolli successivi.

Il Segretario generale nota che, alla luce dell’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, uno Stato parte della Convenzione non può invocare il proprio diritto interno come giustificazione del proprio mancato adempimento; che, nel divenire parte della CEDU, gli Stati contraenti hanno accettato la competenza della Corte di Strasburgo ad interpretare, e non solo ad applicare la Convenzione, ai sensi dell’art. 32 di quest’ultima, in base al quale la Corte ha giurisdizione per stabilire la portata degli obblighi assunti dagli Stati parte in virtù della Convenzione e dei protocolli. Ella rileva, tra l’altro, come gli Stati parte che dissentano dal contenuto di una sentenza emessa da una Camera della Corte abbiano la facoltà di richiedere il rinvio alla Grande Camera, e come questa costituisca la modalità più naturale di dialogo fra uno Stato parte e la Corte: opportunità, peraltro, non sfruttata dalla Polonia, che non ha richiesto il rinvio per nessuna delle sentenze di Camera emesse nei suoi confronti. Ella sottolinea, ancora, l’obbligo di esecuzione delle sentenze alla luce dell’art. 46 CEDU. Sulla base di queste considerazioni, il Segretario generale osserva come risulti dalle sentenze della Corte costituzionale polacca e dalle spiegazioni del governo che ad esse fanno riferimento che il diritto interno della Polonia le consente di rifiutarsi di applicare l’interpretazione della CEDU effettuata dalla Corte e dunque non è conforme all’art. 32 CEDU. Ciò determina anche un inadempimento da parte della Polonia dell’art. 1 CEDU, laddove esso impone agli Stati parte di garantire a tutte le persone sottoposte alla loro giurisdizione il diritto all’equo processo. L’obbligo di eseguire le sentenze della Corte non è rimosso dal fatto che una Corte costituzionale stabilisca che tali sentenze non sono vincolanti per lo Stato parte. La Polonia rimane dunque vincolata ad adottare tutte le misure generali e/o individuali di sua scelta per porre fine alle violazioni accertate dalla Corte, garantire rimedi adeguati e prevenire il ripetersi di violazioni simili.

In conclusione del Rapporto, il Segretario generale Pejčinović Burić rileva che la Polonia ha l’obbligo di assicurare che il suo diritto interno sia interpretato e, laddove necessario, emendato in modo da evitare la ripetizione delle violazioni accertate dalla Corte e che tale questione dovrà essere affrontata dal Comitato dei ministri in sede di verifica sull’esecuzione da parte della Polonia delle sentenze della Corte alla luce dell’art. 46 CEDU. La parte finale del Rapporto contiene quindi, al di là di un auspicio a che lo stesso possa servire da base per un dialogo costruttivo con le autorità polacche, teso al conseguimento della piena garanzia del diritto di tutti gli individui sottoposti alla giurisdizione della Polonia ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, una chiara richiesta al Comitato dei ministri di ricercare, in occasione della sua riunione del 6-8 dicembre 2022, dedicata tra l’altro all’esame dell’esecuzione delle tre sentenze della Corte riguardanti la Polonia ricordate all’inizio, una soluzione appropriata atta a garantire che il diritto ad un tribunale costituito per legge sia pienamente rispettato. Il Segretario sottolinea come il Comitato dei ministri, nel cui quadro tutti gli Stati parte esercitano una responsabilità collettiva per la salvaguardia del sistema convenzionale, costituisca l’ambito privilegiato per trovare una tale soluzione, a fronte di un problema sistemico che potrebbe rappresentare una minaccia per la futura efficienza dell’apparato convenzionale.

Come era prevedibile, il Comitato dei ministri, all’esito dell’esame relativo all’esecuzione delle tre sentenze summenzionate riguardanti la Polonia, ha adottato decisioni interlocutorie: nella decisione dell’8 dicembre 2022 (CM/Del/Dec(2022)1451/H46-24) relativa all’esecuzione della sentenza Xero Flor, esso ha, in particolare, richiamato la Polonia a porre in essere al più presto misure tese a porre rimedio alla situazione di incompatibilità con la Convenzione, garantendo che la Corte costituzionale sia composta di giudici regolarmente eletti e dunque ammettendo i tre giudici regolarmente eletti nel 2015 a far parte dell’organo, in sostituzione di quelli eletti successivamente in modo irregolare; nella decisione dello stesso giorno (CM/Del/Dec(2022)1451/H46-25) relativa all’esecuzione delle sentenze Reczkowicz e Broda e Bojara, esso ha ricordato come la composizione irregolare del Consiglio nazionale del Potere giudiziario (rinnovato nel maggio 2022, ma sempre sulla base delle regole viziate; né gli emendamenti del giugno 2022 avevano risolto la questione) pregiudichi la legittimità della nomina dei giudici che avviene su raccomandazione di tale organo ed ha invitato dunque la Polonia a garantire il diritto dei giudici di eleggere la componente togata del Consiglio (come avveniva in precedenza) nonché il diritto dei tribunali interni a valutare la compatibilità delle nomine dei giudici con la Convenzione (si veda a tal proposito anche la sentenza della Corte del 6 ottobre 2022 nel caso Juszczyszyn c. Polonia (ricorso n. 35599/20), su cui J. Finnerty) e a porre in essere misure tese ad offrire protezione ai presidenti e vicepresidenti dei tribunali dalla rimozione arbitraria. In entrambi i casi, il Comitato richiede allo Stato interessato di fornire informazioni sulle misure adottate per eseguire le sentenze entro il 15 marzo 2023, impegnandosi a riassumere l’esame di questi casi nella sua riunione del giugno successivo.

Il ruolo del Segretario generale del Consiglio d’Europa è limitato, ma costituisce, sperabilmente, un utile mezzo di pressione aggiuntiva, accanto a quelle esercitate dalla Corte e dal Comitato dei ministri, per indurre uno Stato parte a porre fine a pratiche che determinano un abbandono sistematico di precetti fondamentali dello Stato di diritto ponendolo in violazione permanente e grave della Convenzione. È auspicabile che il Segretario continui ad esercitare attivamente il suo ruolo “di inchiesta” in base all’art. 52, sia quale sollecitazione nei confronti dello Stato sia quale stimolo per l’attivazione del Comitato dei ministri, il quale naturalmente conserva una piena autonomia di valutazione e di azione. Realisticamente pare illusorio attendersi novità significative prima che abbia fine il conflitto in Ucraina.


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