I diritti di proprietà intellettuale post-Brexit: dall’armonizzazione a un TRIPs Agreement “rafforzato”

I profili di discontinuità nella disciplina della proprietà intellettuale dopo la Brexit

Già all’indomani del referendum del 2016 fu subito chiaro che la Brexit avrebbe assunto uno speciale rilievo per la proprietà intellettuale: sia perché gran parte dei diritti IP hanno una durata prolungata, quando non potenzialmente illimitata, cosicché la transizione da un regime giuridico a un altro presenta criticità sconosciute ad altri settori del diritto; sia perché il loro rilievo concorrenziale li ha imposti all’attenzione del diritto UE, che per impedire che diventassero strumenti di isolamento dei mercati nazionali ha prima enunciato il principio dell’esaurimento comunitario di questi diritti, poi ha emesso una serie di Direttive di armonizzazione, infine ha istituito titoli unitari per l’intero territorio dell’Unione.

I profili di discontinuità che la Brexit comporta cominciano proprio qui: in primo luogo, in materia di esaurimento le parti saranno libere di stabilire le proprie rispettive regole, cosicché non sussistono a carico del Regno Unito obblighi corrispondenti a quelli vigenti per i Paesi dello Spazio Economico Europeo, ai quali sono estesi gli effetti dell’esaurimento comunitario (e viceversa); in secondo luogo, i titoli di protezione che coprono l’intero territorio dell’Unione Europea (marchi UE e disegni e modelli comunitari, ma anche DOP, IGP e privative europee per le nuove varietà vegetali) si scindono in due: da un lato il diritto comunitario, che rimane in vigore, ma “amputato” della sua efficacia nel Regno Unito; dall’altro un diritto britannico “equiparabile” (ma non necessariamente con una disciplina coincidente), che, per i titoli concessi prima del 31 dicembre 2020, data di scadenza del regime transitorio (ma non per quelli allo stato di domanda, che andranno ridepositati, rivendicando la priorità del deposito UE), viene automaticamente rilasciato senza alcun riesame (mentre le licenze e i diritti di garanzia vanno ritrascritti), diventando “opponibile nel Regno Unito secondo il diritto di detto Stato” (art. 54.1 dell’Accordo di recesso) e dunque secondo le norme interne britanniche, che sono attualmente armonizzate a quelle degli altri Paesi UE, ma potranno non esserlo più in avvenire. La durata del diritto britannico così costituitosi è pari alla durata residua del corrispondente diritto europeo da cui deriva, ma ciò solo sino alla prima scadenza, dopo di che si seguiranno anche per la durata le regole locali (art. 54.4 dell’Accordo di recesso).

Analogamente per i diritti “unitari” che sorgono senza necessità di registrazione – il diritto sui generis sulle banche dati non creative e il modello comunitario non registrato – è previsto che venga mantenuto “un diritto di proprietà intellettuale opponibile nel Regno Unito” di durata “almeno pari a quella della tutela rimanente” rispettivamente in forza della Direttiva C.E. n. 96/9 e del Regolamento C.E. n. 6/2002 (artt. 58 e 57 dell’Accordo di recesso), anche qui però senza che sia previsto alcunché circa il contenuto di questi diritti.

Le linee guida degli accordi UE-UK: il downgrade dell’armonizzazione e i rischi di distorsioni sul commercio

Sotto questi profili la Brexit rappresenta dunque un caso anomalo di successione di leggi nel tempo, perché le norme britanniche che andranno a disciplinare per il territorio del Regno Unito questi diritti di proprietà intellettuale originariamente unitari (così come quelle relative ai diritti IP nazionali britannici che siano frutto del recepimento di Direttive) non sono, per il momento, sostanzialmente diverse dalle corrispondenti disposizioni comunitarie, ma scontano la possibilità che discrepanze vengano introdotte in avvenire, per effetto degli sviluppi, d’ora in poi separati, delle rispettive normative, con effetti potenzialmente distortivi sui rapporti commerciali del Regno Unito con l’Unione Europea: buona parte delle norme convenzionali adottate nel quadro degli accordi sulla Brexit relative alla proprietà intellettuale sono appunto dirette a prevenire, o comunque attenuare, queste distorsioni, che potrebbero rendere operanti le clausole di salvaguardia previste dagli stessi accordi.

Lo schema generale dell’intesa raggiunta è infatti quello di mantenere tra il diritto del Regno Unito e quello dell’Unione Europea un’armonizzazione superiore a quella di base prevista dal TRIPs Agreement, ma comunque meno intensa di quella delle Direttive attualmente vigenti, così da consentire a ciascuna parte un più ampio margine di evoluzione della rispettiva normativa. Nell’Accordo politico (al capitolo VII) Unione Europea e Regno Unito hanno infatti assunto, per la protezione interna dei diritti di proprietà intellettuale, solo generici impegni a “garantire la protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale al fine di stimolare innovazione, creatività e attività economiche, al di là di quanto previsto dalle norme dell’Accordo dell’OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio e dalle convenzioni dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, ove pertinenti” (art. 4.2), cioè assicurando una protezione più elevata di questi diritti rispetto allo standard minimo previsto dal TRIPs Agreement.

Un impegno a “salvaguardare gli attuali livelli elevati di protezione” è sancito dall’art. 4.3 dell’Accordo politico solo per “determinati diritti sanciti dalla normativa sul diritto d’autore” (art. 4.3), e segnatamente per il diritto sui generis sulle banche dati e per il diritto degli autori a conseguire una quota dell’eventuale maggior prezzo pagato per le loro opere nei passaggi di proprietà successivi. Qualcosa di simile, ma in termini meno vincolanti, è previsto per le indicazioni geografiche, dato che le parti sono obbligate a “cercare di introdurre disposizioni che garantiscano opportuna protezione alle rispettive indicazioni geografiche”, e ciò “in considerazione della protezione offerta nell’accordo di recesso alle indicazioni geografiche esistenti” (sempre art. 4.3 dell’Accordo politico), anche se ai diritti britannici derivanti dalla scissione di un corrispondente diritto europeo su una “denominazione di origine, specialità tradizionale garantita o menzione tradizionale per il vino” il Regno Unito è tenuto a “conferi(re) ai sensi del suo diritto almeno lo stesso livello di protezione garantito dalle disposizioni del diritto dell’Unione” (art. 54.2 dell’Accordo di recesso).

Sempre in via di diritto transitorio, è altresì previsto che le decisioni che dichiarino la nullità o comportino la revoca di un diritto comunitario di proprietà intellettuale o di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali, rese in esito a cause che siano ancora in corso alla data di scadenza del periodo transitorio producono i loro effetti anche sul corrispondente diritto del Regno Unito derivante da quello comunitario “a meno che i motivi di nullità o decadenza del marchio in UE non si applichino nel Regno Unito” (art. 54.3 dell’Accordo di recesso), dovendosi evidentemente fare riferimento al diritto comunitario per stabilire che cosa s’intenda per causa in corso.

Regole transitorie particolari sono previste per singole tipologie di diritti. Per i marchi, in particolare, si è escluso che il mancato utilizzo quinquennale nel Regno Unito nel periodo precedente alla scadenza del periodo transitorio comporti la decadenza del marchio britannico derivante dalla “scissione” di un marchio dell’Unione Europea, qualora quest’ultimo non sia soggetto a decadenza; ed anche la rinomanza già prodottasi nell’Unione continua a produrre i suoi effetti (e quindi a garantire una protezione allargata) per il Regno Unito, “purché la successiva rinomanza sia dovuta all’uso che ne è fatto nel Regno Unito” (art. 54.5 dell’Accordo di recesso): formula non scevra di ambiguità, ma che sembra indicare che, per l’avvenire, la tutela oltre il pericolo di confusione sarà riconosciuta nel Regno Unito solo se nel suo territorio ne sussistono i presupposti, il che pare del tutto logico, posto che anche nel diritto comunitario questa tutela è riconosciuta solo nei casi in cui l’uso di un segno eguale o simile da parte di un terzo non autorizzato sia idoneo a provocare un rischio di agganciamento al marchio, da valutare caso per caso.

L’accordo sugli scambi commerciali e l’importanza della cooperazione futura in materia di diritti IP.

Più vincolante – ma sempre molto limitato – appare il contenuto dell’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione, il cui Titolo V (artt. 219-275) è interamente dedicato alla proprietà intellettuale.

Esso infatti, nel dettare alcune regole inderogabili di protezione per le diverse categorie di diritti, realizza un’armonizzazione analoga a quella imposta dalle Direttive, ma molto meno intensa, specialmente in una materia di importanza sempre maggiore come i segreti commerciali; ed anche sulla protezione di diritto d’autore del design i giudici del Regno Unito non saranno vincolati alla nozione di opera protetta dal diritto d’autore oggi riconosciuta nell’Unione Europea, che – come ha ribadito da ultimo proprio in materia di design Corte Giust. UE, 12 settembre 2019, nella causa C-683/17, Cofemel – “costituisce … una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme”). Solo sull’enforcement gli scostamenti dalla Direttiva (CE) 2004/48 sono minimi ed anche per le misure alla frontiera sui prodotti contraffatorî (decisive per la circolazione delle merci) le possibilità di divaricazione dal sistema comunitario sono molto limitati.

Gli ultimi articoli dell’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione riguardanti la proprietà intellettuale sono infine dedicati alla collaborazione tra Regno Unito ed Unione Europea “al fine di favorire l’adempimento degli impegni e degli obblighi” in materia (art. 273), in vista della quale è stato anche istituito un Comitato commerciale specializzato per la proprietà intellettuale. Anche se si tratta di norme essenzialmente programmatiche, poiché gli impegni che le parti assumono sono estremamente generici, esse sono di importanza capitale, al fine di non disperdere (ed anzi di incrementare) il patrimonio di esperienze giurisprudenziali e di approfondimenti dottrinari, alla ricerca di soluzioni efficaci e condivise e di best practices nella difesa della proprietà intellettuale, che si è formato nel quasi mezzo secolo in cui il Regno Unito ha fatto parte della Comunità.

Dunque, alle immediate sfide del post-Brexit si aggiungono quelle che guardano al futuro dell’economia e delle nostre società, e quindi proprio della proprietà intellettuale, che dello sviluppo del mondo è sempre più l’asse portante. Sarà cioè necessario costruire insieme e non contro il Regno Unito regole cost-effective, che allo stesso tempo garantiscano una sufficiente certezza dei diritti, nonostante l’uscita di Londra dall’Unione Europea. Per questo un ruolo importantissimo competerà, prima ancora che ai Governi, ai giuristi europei, di qua e di là della Manica, che dovranno continuare a parlarsi e a cercare, anche dopo la Brexit, soluzioni condivise per problemi che restano in gran parte comuni.


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