Gli svizzeri non temono i giudici stranieri e dicono “no” all’iniziativa sull’autodeterminazione

Iniziative popolari e sovranismo in Svizzera

Il 25 novembre 2018, il popolo svizzero ha respinto l’iniziativa promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) “Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)” che voleva sancire nella Costituzione federale la prevalenza del diritto costituzionale sul diritto internazionale e l’obbligo per le autorità statali di adeguare e, all’occorrenza, denunciare i trattati internazionali che contraddicono la Costituzione. Il voto negativo ha prevalso in tutti i cantoni con una percentuale su scala nazionale del 66, 2% contro il 33, 8% dei sì. Lo stesso giorno è stata bocciata anche un’iniziativa di tutt’altro tenore (e assai curiosa), promossa da un contadino di montagna, Armin Capaul, “Per la dignità degli animali da reddito agricolo (Iniziativa per le vacche con le corna)” che proponeva d’introdurre all’art. 104 par. 3 lett. b) Cost. fed. un impegno finanziario in capo alla Confederazione a favore dei detentori di bovini e caprini non privati delle corna. Il testo è stato accolto in 5 cantoni ma respinto negli altri 18 e dalla maggioranza del popolo (54,7 no contro 45,3 sì); è stata invece approvata l’iniziativa che proponeva controlli più stretti contro gli abusi ai danni delle assicurazioni sociali, con 64,7% di sì, 35,3% dei no, 21 cantoni favorevoli e 2 contrari.

Il contenuto dell’iniziativa per l’autoderminazione è una chiara espressione del movimento sovranista che anche in Svizzera, come in numerosi altri Paesi europei, si oppone al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale a un organo internazionale, in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione.

Nella Confederazione elvetica il fenomeno è amplificato poiché gli specifici strumenti di democrazia diretta presenti nell’ordinamento svizzero consentono al popolo di esprimere in modo molto più incisivo che altrove le proprie istanze. Ci riferiamo in particolare all’istituto dell’iniziativa popolare che permette ai cittadini confederati di modificare in tutto o in parte la Cost. fed. e le costituzioni cantonali, secondo modalità disciplinate, rispettivamente nella Cost. fed. (artt. 138 e 139) e nelle singole costituzioni cantonali. L’utilizzo sempre più frequente di questo strumento per promuovere l’adozione di norme protezioniste, ha generato problemi complessi poiché spesso le disposizioni approvate dal popolo richiedono, per la loro attuazione, l’introduzione di norme contrarie agli obblighi internazionali precedentemente assunti dalla Confederazione. È quanto accaduto, in particolare, con l’iniziativa federale “Contro l’immigrazione di massa” (approvata il 9 febbraio 2014) e l’iniziativa cantonale ticinese “Prima i nostri” (approvata il 25 settembre 2016) che hanno codificato a livello costituzionale (rispettivamente, federale e cantonale) l’obbligo d’introdurre contingenti rispetto alla manodopera straniera e il principio della preferenza indigena, in palese contrasto, dunque, con l’accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) in vigore tra Svizzera e UE (su cui v. C. Sanna). Il governo federale si è dunque trovato nella difficile situazione di dover conciliare le richieste popolari con i vincoli convenzionali che legano la Svizzera all’UE e il governo ticinese, in aggiunta, con i limiti imposti dal riparto di competenze interne tra federazione e cantoni.

Più in generale, inoltre, nella Confederazione si è aperto un ampio e complesso dibattitto sulla difficoltà di gestire le iniziative popolari che impongono di modificare la posizione precedentemente assunta dalla Svizzera nelle relazioni internazionali e dunque sulla prevalenza o non della volontà popolare rispetto alle altre fonti del diritto. Quest’ultima, in sostanza, era la questione sottoposta al giudizio del popolo con l’iniziativa sull’autodeterminazione.

Il rango del diritto internazionale nell’ordinamento svizzero

La Svizzera fa parte degli Stati di tradizione monistica per cui il diritto internazionale acquisisce validità ed efficacia diretta sul piano interno. Ciò deriva dalle norme della Costituzione federale che impongono ai Cantoni di rispettare il diritto internazionale (art. 5 par. 4) il quale è determinante per tutte le autorità che applicano il diritto (art. 190) e dal fatto che una revisione della Costituzione federale non può violare le disposizioni cogenti del diritto internazionale (artt. 193 par. 4, 194 par. 2); nulla tuttavia viene detto riguardo alla eventuale gerarchia tra le disposizioni interne e quelle internazionali. Sul punto è intervenuto il Tribunale federale che, in via generale, ha riconosciuto il primato del diritto internazionale sul diritto interno fondandolo sulla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, in particolare sul principio pacta sunt servanda (art. 26), sull’inopponibilità di tutte le regole interne contrarie al trattato (art. 27) e affermando l’obbligo, ove possibile, d’interpretare il diritto svizzero in modo conforme agli accordi internazionali.

La prevalenza delle norme internazionali conosce, tuttavia, diverse eccezioni sia rispetto alle norme costituzionali, sia rispetto alle leggi federali. Quanto alle disposizioni costituzionali, pur in assenza di una giurisprudenza consolidata, la deroga sussiste, in principio: a) quando la disposizione costituzionale è posteriore alla norma di diritto internazionale; b) se il contrasto riguarda principi e contenuti essenziali dei diritti fondamentali o di altri valori fondamentali; c) se la disposizione costituzionale è posteriore alla norma di diritto internazionale e il potere costituente ha coscientemente violato il diritto internazionale.

Il primato del diritto internazionale sulle leggi federali, invece, viene meno quando il Parlamento federale deroga intenzionalmente, a posteriori, al diritto internazionale. In tal caso, i giudici sono vincolati alla volontà del legislatore in virtù del fatto che quest’ultimo è “fonte suprema del diritto interno” (c.d. prassi Schubert, DTF 99 Ib 39). Una deroga a tale dottrina viene però successivamente individuata dalla sentenza PKK (DTF 25 II 24) in cui è stata sancita la prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno, indipendentemente dal fatto che la norma di diritto interno sia stata emanata prima o dopo la norma di diritto internazionale, quando la norma di diritto internazionale è intesa a tutelare i diritti umani. E bene qui ricordare che il Tribunale federale ha ricondotto a tale deroga anche le norme dell’ALC, dapprima con riferimento al divieto di discriminazione e, successivamente, in relazione alle altre disposizioni dell’Accordo (DTF 136 II 241).

Nell’ambito di suddetto quadro giuridico, in caso di contraddizione tra un testo introdotto nella Costituzione con un’iniziativa popolare e un trattato internazionale, il governo, nella maggior parte dei casi, procede con una modifica di legge sottoponendola a referendum facoltativo. Ciò è avvenuto, ad esempio, con l’iniziativa contro l’immigrazione di massa e sull’espulsione degli stranieri che commettono reati.

Il testo dell’iniziativa per l’autodeterminazione e la sua (difficile) attuazione

L’obiettivo voluto dall’iniziativa sull’autodeterminazione di affermare il primato delle norme costituzionali su tutte le fonti del diritto, anche quelle internazionali, veniva enucleato in diverse disposizioni dal contenuto assai articolato. Così nell’art. 5 par. 4 Cost. fed. che alla prima frase afferma l’obbligo per Confederazione e Cantoni di rispettare il diritto internazionale, al secondo capoverso si sarebbe aggiunto il principio per cui “la Costituzione federale ha rango superiore al diritto internazionale e prevale su di esso, fatte salve le disposizioni cogenti del diritto internazionale” (ovvero, tra l’altro, i divieti della tortura, della pena di morte, del genocidio e della schiavitù). Il nuovo articolo 56a Cost. fed., inoltre, sotto la rubrica obblighi di diritto internazionale avrebbe affermato che “La Confederazione e i Cantoni non assumono obblighi di diritto internazionale che contraddicano alla Costituzione federale. In caso di contraddizione, adeguano gli obblighi di diritto internazionale alla Costituzione federale, se necessario denunciando i trattati internazionali in questione” (fatte salve le disposizioni cogenti del diritto internazionale). Queste previsioni sarebbero state applicabili anche retroattivamente ovvero “alle disposizioni vigenti e future della Costituzione federale e agli obblighi di diritto internazionale vigenti e futuri della Confederazione e dei Cantoni” (art. 197 n. 12 Cost. fed.).

Una carenza assai rilevante della proposta era l’assenza di ogni indicazione in merito all’autorità competente a stabilire quali trattati internazionali avrebbero dovuto essere rinegoziati o disdetti e se questa valutazione avrebbe dovuto avvenire in modo sistematico, a partire dall’eventuale approvazione dell’iniziativa, o solo in presenza di un contrasto nel contesto di un caso concreto. Tale difetto avrebbe generato un intervallo temporale di attesa sulle sorti di un obbligo derivante dal diritto internazionale durante il quale, comunque, il Tribunale federale, secondo le nuove disposizioni, avrebbe dovuto applicare (oltre alle leggi federali) i trattati internazionali, ma solo quelli il cui decreto d’approvazione è stato sottoposto a referendum (art. 190 Cost. fed.).

Ipotizzando il superamento del problema relativo all’individuazione dell’autorità competente a stabilire e gestire l’esistenza di una contraddizione tra il diritto costituzionale e il diritto internazionale, l’approvazione dell’iniziativa avrebbe con molta probabilità determinato la denuncia della CEDU con la quale risultano essere in conflitto alcune norme costituzionali, come l’automatismo dell’espulsione degli stranieri condannati per certi reati (art. 121 parr. 3-6) e il divieto di edificare i minareti (art. 72 par. 3). I singoli avrebbero così perso la possibilità di denunciare alla Corte EDU norme o prassi svizzere contrarie ai diritti fondamentali con una evidente diminuzione del loro livello di tutela giuridica, a maggior ragione se si tiene conto del fatto che le stesse garanzie eventualmente sancite nella Costituzione federale, non possono fungere da parametro di legittimità, poiché manca nel sistema elvetico un controllo di legittimità costituzionale affidato al Tribunale federale. Quest’ultimo, peraltro, non avrebbe neppure potuto invocare la deroga voluta dall’iniziativa di cui all’art. 190 Cost. fed. poiché la CEDU è stata ratificata dal Parlamento svizzero con decreto federale non sottoposto a referendum.

L’approvazione dell’iniziativa avrebbe avuto importati ricadute anche sugli accordi bilaterali in vigore con l’UE che, come già indicato dalla Commissione europea, possono essere messi in discussione, nel loro complesso, da un’eventuale denuncia dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. Il contrasto di quest’ultimo con l’art. 121 a (introdotto nella Costituzione dall’iniziativa contro l’immigrazione di massa) che obbliga il governo a contingentare l’ingresso in Svizzera degli stranieri (anche cittadini UE) secondo i bisogni dell’economia, è stato “sanato” dal Consiglio federale in sede di attuazione, con l’adozione di una legge federale (Legge stranieri e la loro integrazione, LStrI) compatibile con l’ALC. L’iniziativa, tuttavia, sanciva la prevalenza del diritto costituzionale sui trattati internazionali anche rispetto alle disposizioni vigenti: la Confederazione, dunque, non potendo rinegoziare l’Accordo, avrebbe dovuto denunciarlo, incrinando anche il complesso delle relazioni bilaterali con l’UE, e questo nonostante il popolo abbia votato a favore dell’ALC per ben tre volte.

L’approvazione dell’iniziativa avrebbe avuto conseguenze importanti anche sugli altri numerosi trattati internazionali conclusi dalla Svizzera (oltre 4.000), soprattutto quelli che prevedono dei sistemi di risoluzione delle controversie internazionali (ad. es. DSB OMC cui la Confederazione da ultimo, nel luglio 2018 si è rivolta per contestare dei dazi statunitensi su acciaio e alluminio) e giurisdizioni superiori poste a tutela dei diritti della persona (ad es. il Comitato ONU contro la tortura e il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia) cui la denuncia dei trattati avrebbe reso impossibile l’accesso.

Le iniziative popolari svizzere: uno stress test per i movimenti sovranisti?

A prescindere da valutazioni politiche e giuridiche sull’iniziativa per l’autodeterminazione, è indubbio che tale proposta normativa pone un problema di fondo: fino a che punto la volontà popolare deve prevalere su altre fonti del diritto?

La Svizzera, come già segnalato, offre ai propri cittadini degli strumenti di democrazia diretta difficilmente riscontrabili in altri Paesi e, dunque, l’opinione espressa su testi come quello qui oggetto di attenzione è significativa anche al di fuori dei confini elvetici. In tale senso, è bene ricordare che il popolo sarà a breve nuovamente chiamato a votare un’iniziativa protezionistica, in tema d’immigrazione, volta a denunciare l’ALC (“Per un’immigrazione moderata. Iniziativa per la limitazione”) ponendo dunque sotto esame la validità di una delle libertà fondamentali del sistema comunitario, oggetto di tensione anche diversi Paesi UE (su cui v. A. Lang). D’altro canto, è innegabile che questi tipi di iniziativa mettono a dura prova le relazioni esterne della Confederazione generando un clima di incertezza soprattutto rispetto a partner con i quali sono in corso dei negoziati. Ne è un esempio il dossier sulle questioni istituzionali (inteso ad introdurre l’adeguamento automatico del diritto svizzero al diritto UE nei settori coperti dagli accordi bilaterali e un sistema di controllo giurisdizionale comune sovranazionale) aperto con l’UE la cui conclusione sarebbe stata vanificata da un voto favorevole all’iniziativa sull’autoderminazione e sulla quale oggi pesa l’attesa del voto sull’iniziativa per la limitazione. Proprio l’incerta definizione dell’accordo sulle questioni istituzionali, a sua volta, è il motivo per cui il riconoscimento dell’equivalenza del quadro giuridico e di vigilanza applicabile alle borse valori in Svizzera (c.d. equivalenza borsistica che avviene in conformità della direttiva 2014/65/UE nei confronti di Paesi terzi), è stato valutato positivamente dalla Commissione europea a dicembre 2017 ma solo per un anno, sino al 31 dicembre 2018 (GUUE 23 dicembre 2017, n. L 344), mentre negli stessi giorni, all’Australia, alla regione amministrativa speciale di Hong Kong e agli Stati Uniti d’America, la Commissione ha riconosciuto l’equivalenza normativa senza indicare alcun limite temporale (GUUE 14 dicembre 2017, n. L 331). A poche settimane dalla scadenza del termine annuale, la Commissione non ha ancora rinnovato la valutazione positiva alle borse svizzere costringendo il Consiglio federale a ricorrere al diritto di urgenza (art. 184 Cost. fed.) adottando, il 30 novembre 2018, a titolo precauzionale e per tutelare il mercato finanziario interno, un’ordinanza sul riconoscimento dei centri di negoziazione esteri per la negoziazione di titoli azionari di società con sede in Svizzera. In breve, se mancherà entro fine anno il riconoscimento da parte della Commissione, dal 1° gennaio 2019, le sedi di negoziazione esterne alla Confederazione dovranno ottenere un riconoscimento dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) per negoziare titoli di partecipazione di società con sede in Svizzera.

Le iniziative protezioniste, al di là dei risultati, creano, dunque, un’incertezza giuridica che ha ricadute significative, spesso economiche, non precipite, almeno nell’immediatezza, dagli aventi diritto al voto rendendo urgente la necessità d’introdurre dei meccanismi correttivi agli istituti di democrazia diretta elvetici ma dal quale emerge anche un monito per i movimenti sovranisti a ponderare l’utilizzo di questi strumenti.


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