Effetti collaterali della crisi dei profughi siriani: il rilancio del processo di adesione della Turchia*

1. 2015: il rilancio del processo di adesione.

Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15 ottobre 2015 sulla migrazione, si legge: «L’UE e i suoi Stati membri sono pronti a rafforzare la cooperazione con la Turchia e a intensificare significativamente il loro impegno politico e finanziario entro il quadro stabilito. Occorre rilanciare il processo di adesione al fine di compiere progressi nei negoziati conformemente al quadro di negoziazione e alle pertinenti conclusioni del Consiglio» (punto 2, lett. a).

Non è al quadro della cooperazioni tra le parti nella risposta all’emergenza dei profughi siriani che si trovano in Turchia (EU-Turkey joint action plan, MEMO/15/5860) che saranno dedicate le righe seguenti, bensì al processo di adesione, per contribuire a comprendere perché languiva e aveva bisogno di un rilancio.

  1. 2. 1963-1999: dalla firma dell’accordo di Associazione al conferimento dello status di candidato.

La Turchia ha manifestato interesse per la Comunità economica europea sin dall’origine: nel 1959, a poco più di un anno dall’entrata in vigore del Trattato di Roma, essa chiese relazioni privilegiate, che si concretarono nell’accordo di associazione, firmato ad Ankara il 12 settembre1963 , in vigore al 1° dicembre 1964. L’unione doganale estesa alla generalità delle merci, che l’accordo di associazione mirava a istituire, fu realizzata soltanto nel 1996 (decisione n. 1/95 del Consiglio di associazione CE-Turchia ), a causa delle notevoli difficoltà, soprattutto di natura politica, che la sua attuazione incontrò.

La prospettiva dell’adesione della Turchia era comunque già espressa nell’accordo e accettata dalla Comunità stessa. Nel preambolo dell’accordo di Ankara si legge: «Riconoscendo che l’appoggio dato dalla Comunità Economica Europea agli sforzi del popolo turco diretti ad elevare il suo tenore di vita faciliterà ulteriormente l’adesione della Turchia alla Comunità»; e all’art. 28: «Quando il funzionamento dell’Accordo consentirà di prevedere l’accettazione integrale da parte della Turchia degli obblighi derivanti dal Trattato che istituisce la Comunità, le Parti Contraenti esamineranno la possibilità di adesione della Turchia alla Comunità».

La Turchia presentò formale domanda di adesione il 14 aprile1987 (Boll. CE, 1987, 4, p. 11 ss.); due anni dopo, la Commissione ritenne che non fosse opportuno avviare negoziati di adesione a breve termine né con la Turchia, né con alcun altro paese. Tale decisione era fondata sia su motivi generali, connessi all’opportunità di concentrare gli sforzi sull’attuazione dell’Atto unico europeo, sia su ragioni specifiche alla Turchia, di natura sia economica che politica (Boll. CE, 1989, 12, p. 86).

Nel 1993 il Consiglio europeo di Copenaghen diede avvio al quinto processo di allargamento e definì i criteri che gli Stati terzi dovevano soddisfare per aderire all’Unione. La Turchia non era esclusa da tale processo, ma, con suo disappunto, non fu coinvolta nei negoziati di adesione che iniziarono nel 1998, con Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia, e nel 2000, con Romania, Slovacchia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Malta. L’atteggiamento dell’Unione era cambiato rispetto a quello manifestato dalla Commissione qualche anno primo, tanto che nel 1999, ad Helsinki, il Consiglio europeo affermò espressamente che «La Turchia è uno Stato candidato destinato ad aderire all’Unione in base agli stessi criteri applicati agli altri Stati candidati»(Boll. UE, 1999, 12, p. 8).

L’attribuzione dello status di candidato all’adesione segna l’avvio del processo di allargamento, che si concretizza nell’ assoggettamento al controllo, condotto annualmente dalla Commissione, sul rispetto dei criteri di Copenaghen, nella possibilità di beneficiare dei programmi comunitari e del sostegno finanziario alle riforme, sulla base di un programma concordato.

3. 1999-2005: dal conferimento dello status di candidato all’apertura dei negoziati.

Se il conferimento dello status di candidato è il primo passo politico per l’adesione, il secondo passo giuridico è dato dall’apertura dei negoziati di adesione. La relativa decisione è assunta dal Consiglio europeo quando lo Stato candidato rispetta il criterio politico di Copenaghen («L’appartenenza all’Unione richiede che il paese candidato abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze»), sulla base di una valutazione positiva della Commissione, confermata dal Consiglio. Nei primi anni, le valutazioni della Commissione non erano pienamente positive. Poi, nel 2002, sotto le pressanti insistenze turche, il Consiglio europeo accompagnò ai consueti vaghi incoraggiamenti una promessa: «Se il Consiglio europeo del dicembre 2004 deciderà, sulla base di una relazione e di una raccomandazione della Commissione, che la Turchia soddisfa i criteri politici di Copenaghen, l’Unione europea avvierà senza indugio negoziati di adesione con la Turchia» (Boll. UE, 2002, 12, p. 10).

Nel 2004, la Commissione pubblicava la raccomandazione per l’avvio dei negoziati. Essa affermava che le riforme intraprese dalla Turchia potevano essere ritenute soddisfacenti e che, se alcune proposte di legge fossero state adottate e applicate, e se si fosse perseguita una politica di “tolleranza zero” nei confronti della tortura, la valutazione avrebbe potuto essere positiva (Raccomandazione della Commissione europea sui progressi compiuti dalla Turchia sulla via dell’adesione, COM/2004/656).

Benché ancora alla vigilia del vertice alcuni Stati avessero espresso riserve sull’opportunità di una decisione positiva e si fosse temuto il veto, alla fine una decisione unanime è stata raggiunta. Il Consiglio europeo ritenne che il grado di rispetto del criterio politico di Copenaghen da parte della Turchia fosse sufficiente per consentire l’apertura dei negoziati il 3 ottobre 2005 (Conclusioni della Presidenza, 16/17-12-2004, par. 22), a condizione che fossero adottati o attuati i sei specifici atti legislativi individuati dalla Commissione (legge sulle associazioni, Codice penale, legge sulle corti d’appello intermedie, Codice di procedura penale, normativa che istituisce la polizia giudiziaria, legge sull’esecuzione delle condanne) e fosse perseguita la “tolleranza zero” nei confronti della tortura. Alla Commissione erano affidati i compiti di assicurarsi che il processo di riforme fosse irreversibile (par. 18), e di predisporre il quadro negoziale per definire le condizioni che avrebbero dovuto regolare lo svolgimento dei negoziati di adesione.

Il Consiglio europeo ribadiva che il paese sarebbe stato valutato sulla base degli stessi criteri applicati in passato. Nel corso delle consultazioni pre-vertice, si era discusso se porre ulteriori condizioni alla Turchia, segnatamente il riconoscimento di Cipro, la soluzione delle questioni relative ai rapporti di vicinato con la Grecia, il riconoscimento del genocidio degli armeni del 1915.

Il riconoscimento di Cipro (che, come noto, la Turchia non riconosce, sostenendo invece la Repubblica turca di Cipro Nord) è effettivamente la questione (o il pretesto) che condizionerà il processo di adesione. L’entrata in vigore nel 2004 del Trattato di adesione degli otto paesi dell’Europa centro-orientale, di Malta e di Cipro comportò la necessità di modificare gli accordi conclusi dalla Comunità e dagli Stati membri con i paesi terzi in modo che potessero essere applicati all’Unione allargata. La soluzione tecnica prescelta è quella della conclusione di un Protocollo all’accordo base, che deve essere accettato dalla Comunità, dai suoi Stati membri e dallo Stato terzo interessato. Il Consiglio europeo del 2004 non ne fece una condizione espressa per l’adesione e si limitò a esprimere rallegramenti «per la decisione della Turchia di firmare il protocollo relativo all’adattamento dell’accordo di Ankara, per tener conto dell’adesione dei dieci nuovi Stati membri. In tale contesto, ha accolto favorevolmente la dichiarazione della Turchia secondo cui  “il Governo turco conferma di essere disposto a firmare il protocollo relativo all’adattamento dell’accordo di Ankara prima dell’effettivo avvio dei negoziati di adesione e dopo aver concordato e finalizzato gli adattamenti necessari in considerazione dell’attuale composizione dell’Unione europea”» (Conclusioni della Presidenza, cit., par. 19). Di conseguenza, il riconoscimento formale non era richiesto, ma la firma del Protocollo comportava un riconoscimento, quanto meno de facto, di Cipro. Dall’altra, il rinvio della firma a data indeterminata, ma precedente l’avvio dei negoziati, evitava l’imbarazzo di iniziare i negoziati tra Stati membri e Turchia in una condizione in cui uno degli Stati membri non era riconosciuto dal candidato. La conclusione del Protocollo assurgeva però a condizione supplementare per l’avvio dei negoziati di adesione.

La Turchia adottò senza particolare difficoltà i sei atti legislativi richiesti; più complessa fu invece la conclusione del Protocollo all’Accordo di Ankara per tener conto dell’adesione del 2004.

Il Protocollo all’Accordo di Ankara fu concluso con uno scambio di lettere il 29 luglio 2005. Per evitare che l’approvazione del Protocollo fosse interpretabile come un riconoscimento implicito di Cipro, la Turchia rese una dichiarazione unilaterale per riaffermare di non riconoscere Cipro come Stato che esercita la sovranità sull’intera isola e, ribadendo il supporto ai negoziati condotti sotto l’egida delle Nazioni Unite per la soluzione della divisione dell’isola, di avere l’intenzione di intrattenere relazioni con lo Stato che sarebbe emerso dalla riunificazione. La Turchia inoltre affermava che l’entrata in vigore del Protocollo non avrebbe avuto l’effetto di aprire i suoi porti e aeroporti a navi e aeromobili provenienti dalla parte sud dell’isola, proprio in assenza di una normalizzazione dei rapporti con Cipro, trattandosi di prestazioni di servizi non disciplinate dall’accordo di associazione che si limita ai soli scambi di merci. La Commissione, al contrario, sosteneva che i servizi strumentali alla circolazione delle merci, quali dovevano essere considerati il trasporto di merci via mare o via aria, fossero comprese nell’ambito di applicazione dell’accordo.

La dichiarazione turca non fu gradita dagli Stati membri, che però erano divisi sulla posizione da tenere. Il compromesso raggiunto nel settembre del 2005 rese esplicita la condizione, fino ad allora sottaciuta, dell’applicazione integrale dell’Accordo per poter decidere l’avvio dei negoziati di adesione. La Comunità e gli Stati membri, infatti, deploravano la scelta della Turchia, ne ribadivano la natura unilaterale e l’assenza di effetto sugli obblighi previsti dal Protocollo, che doveva essere «attuato integralmente e in maniera non discriminatoria», eliminando «tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, comprese le restrizioni sui mezzi di trasporto». La mancata attuazione integrale del Protocollo avrebbe potuto ripercuotersi sull’andamento dei negoziati. Pur mancando un riferimento esplicito a Cipro, la Comunità e gli Stati membri affermavano che «il riconoscimento di tutti gli Stati membri è una componente necessaria del processo di adesione» (Comunicato stampa 12541/05, par. 5).

In questa fase l’apertura dei negoziati alla data prevista non era però stata messa in dubbio. Lo spettro si presentò alla vigilia della data fatidica, per l’incapacità del Consiglio dell’Unione (dovuta prevalentemente all’ostilità dell’Austria, che mai aveva nascosto la sua opposizione alla Turchia) di approvare il quadro dei negoziati. Lo stallo fu superato all’ultimo minuto, con la decisione di avviare anche i negoziati con la Croazia, che invece l’Austria caldeggiava, pur di fronte alla freddezza di altri Stati membri che non ritenevano che il paese balcanico collaborasse adeguatamente con il Tribunale penale per la ex Iugoslavia (Comunicato stampa della 2678ª sessione del Consiglio Affari generali, Lussemburgo, 3-10-2005, 12514/05).

Il quadro di negoziazione con la Turchia presenta alcuni elementi peculiari che è utile richiamare, e che non si ritrovano negli analoghi documenti adottati in relazione ad altri paesi candidati. Vi si afferma che i negoziati sono un processo aperto i cui risultati non possono essere garantiti in anticipo, ma che «pur tenendo conto pienamente di tutti i criteri di Copenaghen, inclusa la capacità di assorbimento dell’Unione, se la Turchia non è in grado di assumersi appieno tutti gli obblighi che incombono a un membro, occorre assicurare che la Turchia sia saldamente ancorata, con il legame più forte possibile, alle strutture europee»(par. 2). Solo per la Turchia è menzionata la possibilità che siano convenuti «periodi transitori prolungati, deroghe, disposizioni specifiche o clausole di salvaguardia permanenti, ossia clausole disponibili a titolo permanente come base di clausole di salvaguardia» (par. 12) a tutela degli interessi dell’Unione nei settori della libera circolazione delle persone, delle politiche strutturali e dell’agricoltura.

4. 2005-2006: dall’avvio dei negoziati alla sospensione parziale.

Secondo il quadro di negoziazione, la prima fase consiste nel c.d. screening, cioè nell’analisi del grado di conformità della legislazione del candidato all’acquis comunitario. Solo al termine di questa fase è possibile l’avvio dei negoziati veri e propri, che sono condotti separatamente per i 35 capitoli in cui è ripartito l’acquis. Quando un capitolo viene aperto, il Consiglio definisce i parametri per la chiusura provvisoria. L’apertura e la chiusura provvisoria sono oggetto di separate decisioni del Consiglio. La chiusura definitiva può avvenire solo dopo che tutti i capitoli sono stati provvisoriamente chiusi.

La prima conferenza di adesione con la Turchia in cui si è aperto un capitolo si è tenuta a metà del 2006 e ha riguardato il capitolo 25 (scienza e ricerca), che è stato anche provvisoriamente chiuso (cfr. comunicato stampa del Consiglio Affari generali del 12 giugno2006, 9946/06).

In parallelo, la perdurante controversia sulla piena applicazione dell’Accordo di Ankara nei rapporti con Cipro riprese vigore. La Turchia continuava a negare accesso ai propri porti e aeroporti alle navi e agli aerei battenti bandiera cipriota. Questa condotta suscitava la riprovazione dell’Unione. Infatti, ai sensi dell’art. 58 del citato Protocollo del 1970 la Turchia si è impegnata, nel campo di applicazione dell’accordo di associazione, a non introdurre discriminazioni tra Stati membri dell’Unione e tra i loro cittadini o società; e ai sensi dell’art. 5 della decisione 1/95 del Consiglio di associazione sopra ricordata sono vietate tra le parti le restrizioni quantitative all’importazioni di merci. Per parte sua, la Turchia ha ammesso la condotta contestata (pur rifiutando ogni legame tra riconoscimento di Cipro e negoziati di adesione), ma ne ha subordinato la modifica alla cessazione dell’isolamento di Cipro nord, al quale non si applica il diritto dell’Unione ai sensi del protocollo 10 all’accordo di adesione del 2003, e di fatto, in quanto entità non riconosciuta dagli Stati dell’Unione, priva di collegamenti diretti, marittimi o aerei, con Stati diversi dalla Turchia. L’Unione nel 2004 si era impegnata a promulgare misure per sostenere il nord dell’isola (dichiarazione del Consiglio del 26-4-2004), ma non ha compiutamente mantenuto le promesse, perché non ha adottato un regime per agevolare lo scambio delle merci provenienti dalla parte nord dell’isola. Comunque, l’ostinazione della Turchia nel rifiutare di applicare l’accordo a Cipro portò l’Unione a dar seguito alla minaccia ventilata l’anno precedente.

La Commissione presentò una raccomandazione che, constatato il persistere dell’inadempimento, suggeriva che, fintanto che la Turchia non avesse adempiuto i propri obblighi, non sarebbero stati aperti i negoziati su otto capitoli (relativi ad aspetti connessi alla controversia su Cipro) e che non sarebbero stati provvisoriamente chiusi i capitoli aperti, senza però ostacolare l’apertura degli altri, la cui preparazione fosse matura. Gli otto capitoli che non sarebbero stati aperti sono i seguenti: 1 (libera circolazione delle merci), 3 (diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi), 9 (servizi finanziari), 11 (agricoltura e sviluppo rurale), 13 (pesca), 14 (politica dei trasporti), 29 (unione doganale) e 30 (relazioni esterne) (IP/06/1652, 29-11-2006). Il Consiglio Affari generali fece propria la raccomandazione della Commissione (Consiglio Affari generali dell’11 dicembre2006, Comunicato stampa, 16289/06 p. 8 s. Il Consiglio europeo del 14/15 dicembre2006 approvò la decisione del Consiglio: cfr. Conclusioni della Presidenza, par. 10).

È interessante notare che nonostante il comportamento della Turchia fosse considerato una violazione degli obblighi previsti dall’Accordo di Ankara, non risulta che siano stati esperiti i meccanismi di soluzione delle controversie dall’accordo stesso previsti (o se sono stati esperiti, si è preferito non renderlo pubblico).

5. 2007-2015: il lento passo dei negoziati.

Il problema cipriota non è stato l’unico motivo di tensione nelle relazioni tra Unione europea e Turchia. Il rallentamento del processo di riforme interne e i progressi che ancora si attendono sul piano del riconoscimento e rispetto dei diritti umani sono stati stigmatizzati molte volte, sia dalle istituzioni, sia dagli Stati membri, ma non hanno prodotto conseguenze giuridiche. Il quadro di negoziazione prevede che i negoziati possano essere sospesi nel caso di gravi e persistenti violazioni dei principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto. La procedura ricalca quella di cui all’attuale art. 7 TUE, e comporta una raccomandazione della Commissione, su propria iniziativa o su richiesta di un terzo degli Stati membri, sulla quale il Consiglio si deve pronunciare a maggioranza qualificata, dopo aver ascoltato la Turchia, decidendo la sospensione dei negoziati e le condizioni perché possano riprendere. Nessuna decisione formale è stata assunta, ma il rallentamento dei negoziati è dovuto alla mancata decisione del Consiglio sull’apertura dei negoziati dei capitoli, anche qualora fossero tecnicamente pronti. Talvolta è mancata l’unanimità, altre volte è stato minacciato il veto. Se Cipro aveva comprensibilmente minacciato il veto più volte, in relazione alla controversia sull’applicazione dell’Accordo di Ankara, la Francia di Sarkozy aveva invece dichiarato che si sarebbe opposta all’apertura di quei capitoli relativi a questioni inscindibilmente legate all’adesione (Agricoltura, Politica economica e monetaria, Politica regionale e coordinamento degli strumenti strutturali, Disposizioni finanziarie e di bilancio, e Istituzioni) e estranee ad un regime privilegiato diverso dalla piena partecipazione all’Unione. Tale posizione esprime una contrarietà all’idea stessa che la Turchia possa aderire all’Unione, preferendo una soluzione diversa, che non è però mai stata presentata. Questa posizione è stata condivisa, con più o meno convinzione e con alterne vicende, da altri Stati membri.

In ogni caso, nel 2015 risultavano aperti quattordici capitoli, di cui solo uno provvisoriamente chiuso. I capitoli sono stati aperti in momenti diversi e con un ritmo diseguale. Come già ricordato, il primo capitolo fu aperto nel 2006. In seguito furono aperti i seguenti capitoli: nel 2007, i capitoli 18 (Statistiche), 20 (Imprese e politica industriale), 21 (Reti transeuropee), 28 (Tutela della salute e dei consumatori) e 32 (Controllo finanziario); nel 2008 i capitoli 4 (Libera circolazione dei capitali), 6 (Diritto societario), 7 (Proprietà intellettuale) e 10 (Società dell’informazione e media); nel 2009 i capitoli 16 (Fiscalità) e 27 (Ambiente); nel 2010 il capitolo 12 (Sicurezza alimentare, politica veterinaria e fitosanitaria); nel 2013, il capitolo 22 (Politica regionale).

In parallelo al relativo stallo dei negoziati di adesione, la Commissione aveva proposto e perseguito fin dal 2011 un rilancio delle relazioni con la Turchia «su una nuova base costruttiva che tenga conto di tappe concrete nei settori di comune interesse», quali «il dialogo e la cooperazione rafforzati su riforme politiche, visti, mobilità, migrazione, energia, lotta contro il terrorismo, l’ulteriore partecipazione della Turchia a programmi UE quali  “L’Europa per i cittadini”, i gemellaggi tra città, il commercio e l’Unione doganale», anche al fine di trovare una soluzione alle controversie commerciali in corso. «In parallelo ai negoziati di adesione, la Commissione intende approfondire la cooperazione con la Turchia a sostegno degli sforzi del paese nel realizzare le riforme e allinearsi con l’acquis, anche per quanto riguarda i capitoli su cui non è ancora possibile avviare negoziati di adesione» (COM/2011/666, p. 20).

In questo contesto è stato negoziato, pur tra molte difficoltà, l’accordo di riammissione, firmato ad Ankara il 16 dicembre2013 e in vigore dal 1° ottobre 2014. La Turchia avrebbe voluto che un accordo sulla facilitazione del rilascio dei visti (i cittadini turchi devono essere in possesso di un visto per attraversare le frontiere esterne, anche per soggiorni di breve periodo: allegato I al reg. 539/2001) fosse negoziato in parallelo all’accordo di riammissione, seguendo un’impostazione già replicata più volte dall’Unione. Tuttavia, la posizione dell’Unione, che vede la liberalizzazione dei visti con l’obiettivo da conseguire gradualmente e a lungo termine, ha finito per prevalere. Contestualmente alla firma dell’accordo di riammissione, è stato avviato il dialogo sulla liberalizzazione dei visti (IP/13/1259, 16-12-2013), accompagnato da una tabella di marcia per un regime di esenzione dei visti, nell’ambito del quale si cerca di orientare le modifiche che la Turchia deve apportare alla propria legislazione in cinque settori prioritari (sicurezza dei documenti, gestione delle migrazioni, ordine pubblico e sicurezza, diritti fondamentali e riammissione dei migranti irregolari) per allinearla al diritto dell’Unione, come premessa perché la Commissione proponga al Consiglio e al Parlamento l’esenzione dall’obbligo di visto. Nella prima relazione sull’attuazione della tabella di marcia, risalente al 2014, la Commissione esprime una valutazione complessivamente positiva dei progressi compiuti (COM/2014/646), tra l’altro mettendo in evidenza come si tratta pur sempre di un allineamento al diritto dell’Unione non estraneo da quello richiesto nell’ambito del processo di adesione. La tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti e il piano d’azione per far fronte alla crisi dei profughi siriani sono legati tra loro, nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15 ottobre 2015, perché l’attuazione del secondo potrà contribuire all’accelerazione del completamento della prima.

6. Verso il rilancio?

Il rallentamento dei negoziati di adesione con la Turchia appare evidente dalla cronologia riportata nel paragrafo precedente. Un’ulteriore frenata sembrava inoltre inevitabile, perché Juncker aveva fatto della “pausa nell’allargamento” uno dei punti programmatici sui quali la sua candidatura come presidente della Commissione era fondata. Egli non si limitava a questo, ma proseguiva affermando: «Per quanto riguarda la Turchia, il paese è chiaramente ben lontano dalla adesione alla UE. Un governo che blocca Twitter non è pronto per l’adesione». La Turchia era l’unico paese dell’allargamento espressamente citato e le parole usate non si prestavano a equivoci.

La crisi dei profughi siriani ha rimescolato le carte. Ma cosa significhi esattamente rilanciare il processo di adesione, ancora non è chiarito. Sarebbe auspicabile che fosse seguita la proposta che la Commissione aveva ventilato un paio di anni fa, non accolta dal Consiglio, consistente nell’apertura dei negoziati sui capitoli 23 (Sistema giudiziario e diritti fondamentali) e 24 (Giustizia, libertà e sicurezza), i più delicati, in modo da avere un foro nel quale discutere della situazione dei diritti umani in Turchia. Ma anche se il processo sarà rilanciato, rimane l’ambiguità di fondo: qual è il traguardo? L’adesione, come sembra logico, oppure qualcosa d’altro, come molte dichiarazioni degli Stati fanno presumere? E questo qualcosa d’altro, che forma potrà avere? Si tratta di domande che pretendono una risposta politica.

* Il presente commento rielabora il contenuto di una serie di cronache dell’autrice, dal titolo “Le procedure per l’allargamento dell’Unione europea”, pubblicate con cadenza annuale tra il 2001 e il 2015 su Diritto pubblico comparato ed europeo.


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