Dalla violazione dello Stato di diritto alla negazione del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno: le derive della “questione polacca”

«L’UE è una comunità di valori e di diritto che devono essere rispettati in tutti gli Stati membri. I diritti dei cittadini europei sanciti dai trattati devono essere tutelati, a prescindere dal luogo in cui vivono nell’Unione europea. […] Esamineremo nel dettaglio la sentenza del Tribunale costituzionale polacco e decideremo come procedere. La Commissione non esiterà ad avvalersi dei poteri ad essa conferiti dai trattati per salvaguardare l’applicazione uniforme e l’integrità del diritto dell’Unione»In questi termini si esprimeva, la Commissione europea (comunicato 21/5142), reagendo alla presentazione orale della sentenza K 3/21 del 7 ottobre 2021, in cui il Tribunale di Varsavia, ha considerato incostituzionali e quindi prive di effetti nell’ordinamento giuridico polacco, alcune norme del TUE (in particolare gli articoli 1, 4 e 19) con la conseguenza per i giudici nazionali di non poter far prevalere il diritto UE su quello interno. Una decisione che andava a consolidare la violazione del principio del primato già annunciata nella sentenza P7/20 del 14 luglio 2021 in cui il Tribunale costituzionale ha escluso l’effetto vincolante delle ordinanze della Corte di giustizia emesse ai sensi dell’articolo 279 TFUE (provvedimenti provvisori).

E proprio «a causa delle gravi preoccupazioni relative al Tribunale costituzionale polacco e alla sua recente giurisprudenza” la Commissione, durante la conferenza stampa del 22 dicembre 2021, ha annunciato l’avvio di una procedura d’infrazione contro la Polonia (INFR(2021)2261). Precisamente, come spiegato dal commissario all’Economia Paolo Gentiloni, l’esecutivo comunitario ritiene che le sentenze K3/21 e P7/20 violino il principio generale di autonomia, primato, efficacia e applicazione uniforme del diritto UE”, nonché l’articolo 19, par. 1, TUE che garantisce il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, dandone un’interpretazione indebitamente restrittiva e privando così i singoli dinanzi ai tribunali polacchi delle piene garanzie previste da tale disposizione. Inoltre, per Bruxelles la Corte Costituzionale di Varsavia “non ha più i requisiti di un tribunale indipendente ed imparziale, come richiede il TUE».

Il rigetto dei valori, principi e regole accolti nel proprio ordinamento con l’adesione all’UE, sono di fatto una deriva di quella che risulta essere una violazione ormai sistemica dello Stato di diritto in Polonia. La crisi ha inizio dopo le elezioni del 2015 quando il partito Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) ottiene, da solo, la maggioranza assoluta dei seggi e, una volta al governo, adotta una serie di leggi che riformano la magistratura e il sistema giudiziario smantellando progressivamente le garanzie d’indipendenza dei giudici e sottoponendo gli stessi al controllo politico (cfr. sulle riforme S. Moretti, La riforma del sistema giudiziario polacco e le risposte del Consiglio d’Europa: un quadro dal 2015 ad oggi, in Questione Giustizia, 15.5.2021).

L’infruttuoso dialogo con il governo polacco sulle riforme in atto, ha indotto, come noto, la Commissione ad attivare per la prima volta la procedura dell’articolo 7, par. 1, TUE contro la Polonia (cfr. la proposta di decisione del Consiglio sulla constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia del 20 dicembre 2017, COM(2017)835) ma la c.d. “opzione nucleare” è tutt’oggi in stallo non avendo il Consiglio trovato la volontà politica di mettere ai voti la questione.

Il fallimento del meccanismo sul rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE d’altro canto non dipende solo dalle lacune di carattere procedurale e dalla natura essenzialmente politica del controllo ma anche dalla possibile impasseistituzionale che si potrebbe determinare con l’avvio formale della procedura rischiando di essere compromessi gli equilibri dei vari gruppi politici del PE e il sorgere di tensioni all’interno del Consiglio (cfr. B. Nascimbene, Lo Stato di diritto e la violazione grave degli obblighi imposti dal Trattato UE, in questa Rivista, 24 ottobre 2017 e G. Di Federico, Il Tribunale costituzionale polacco si pronuncia sul primato (della Costituzione polacca): et nunc quo vadis?BlogDUE, 13.10.2021).

D’altro canto, neppure le censure della Corte di giustizia, intervenuta con sentenze di inadempimento, misure cautelari, ammende e penalità di mora, sono riuscite ad arginare l’azione involutiva del governo polacco che ha pressoché disatteso ogni indicazione (cfr. ordinanza del 20 novembre 2017, causa C-441/17 R, Commissione c. Polonia e sentenza del 17 aprile 2018, causa C-441/17, Commissione c. Polonia; sentenza del 24 giugno 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia (Indipendenza della Corte Suprema); sentenza del 5 novembre 2019, causa C-192/18, Commissione c. Polonia (Indipendenza dei Tribunali ordinari); ordinanza dell’8 aprile 2020, causa C-791/19 R, Commissione c. Polonia (Régime disciplinaire des juges) e sentenza del 15 luglio 2021, causa C-791/19, Commissione c. Polonia (Régime disciplinaire des juges); ordinanza del 14 luglio 2021 e del 6 ottobre 2021, causa C-204/21 R, Commissione c. Polonia; ordinanza del 21 maggio 2021 e del 20 settembre 2021, causa C-121/21 R, Repubblica ceca c. Polonia) evidenziando come i meccanismi di natura giurisdizionale messi a punto in ambito sovranazionale richiedono, per poter sortire effetti, la fattiva collaborazione degli Stati (A. Ruggeri, La crisi dello Stato di diritto in Europa e i suoi possibili, temibili sviluppi, in EUblog, 21.7.2021). Peraltro, conferma tale rilievo il parallelismo tra la reazione dalla Polonia rispetto alle decisioni della Corte di giustizia e l’atteggiamento della stessa rispetto alle decisioni della Corte EDU. Quest’ultima, infatti, investita di 57 ricorsi tra il 2018 e il 2021 sempre in relazione alla riforma del sistema giudiziario, ha constatato in diverse pronunce la violazione da parte della Polonia dell’art. 6, par. 1 CEDU (cfr. le sentenze 8 novembre 2021 Dolińska-Ficek et Ozimek c. Pologne, n. 49868/19 e 57511/19; 22 luglio 2021 n. 43447/19 Reczkowicz c. Pologne7 maggio 2021, Xero Flor w Polsce sp. z o.o. c. Polognen. 4907/18; 29 giugno 2021, Broda et Bojara c. Pologne n. 26691/18 et 27367/18) che garantisce, fra l’altro, il diritto a un processo equo, da parte di un “tribunale indipendente e imparziale” constatando, in sintesi, la predominate influenza politica nella nomina giudici e nell’azione giudiziaria degli stessi. La reazione della Corte Costituzionale polacca, sollecitata dal Ministro della giustizia Kaleta, avviene a pochi giorni di distanza dalla più recente fra le diverse decisioni sopra ricordate, affermando il 24 novembre 2021 (K6/21) l’incostituzionalità dell’art. 6 CEDU con il conseguente venir meno degli obblighi derivanti dalle sentenze emesse dalla Corte EDU in forza di tale norma (cfr. la reazione del Consiglio d’Europa, qui).

Neppure i rimedi pecuniari presenti nel sistema comunitario al momento hanno svolto funzione deterrente: né le penalità indicate dalla Corte di giustizia, totalmente disattese, né il blocco dei fondi del Next Generation EU, la cui elargizione è subordinata al rispetto dello stato di diritto (36 miliardi quelli previsti per Varsavia e il sito Ue https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it), né l’entrata in vigore (11 gennaio 2021) del regolamento 2020/2092 relativo a un regime di condizionalità per la protezione del bilancio (B. Nascimbene, Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La “condizionalità”, in questa Rivista, 3, 2021; F. Casolari, Tutela dello stato di diritto e condizionalità finanziaria: much ado about nothing?, in EUblog, 19 maggio 2021) rispetto al quale sono pendenti dinanzi alla Corte di giustizia due ricorsi di invalidità ex art. 263 TFUE presentati l’11 marzo 2021 da Ungheria e Polonia (cause C-156/21, Ungheria c. Parlamento e Consiglio e C-157/21, Polonia c. Parlamento e Consiglio) e la cui attivazione sembra comunque essere subordinata al previo perfezionamento della procedura di cui all’art. 7 TUE (E. Castorina, Stato di diritto e “condizionalità economica”: cui quando il rispetto del principio di legalità deve valere anche per l’Unione europea”, in Federalismi, 29/2020, 21 ottobre 2020).

Al di là delle possibili involuzioni o risoluzioni che avrà (cfr. i rilievi in P. Manzini, Verso un recesso de facto della Polonia dall’Unione europea?, in questa Rivista, 4, 2021), la questione polacca ha senz’altro il “pregio” di aver evidenziato le derive cui può concretamente condurre la violazione dei valori di cui all’art. 2 TUE che non solo rappresentano quegli elementi identitari che accomunano gli Stati membri dell’UE ma sono il cuore pulsante dello stesso processo d’integrazione europea. E se da un lato, a fronte di queste derive, non può che essere sollecitato il ricorso al meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 7 TUE dall’altro lato occorre anche prendere atto che la questione polacca non è un caso isolato ma è già in atto un pericoloso effetto domino (cfr. la sentenza della Corte costituzionale rumena del 25 dicembre 2021) che metterà a dura prova la capacità di tenuta dell’Unione europea nella salvaguardia della sua identità e dei caratteri distintivi delle democrazie costituzionali che l’organizzazione rappresenta.

 


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