Battesimo e diritto UE
Introduzione: i fatti.
Il 9 gennaio 2025 la Corte d’appello di Bruxelles (Hof van beroep te Brussel) ha proposto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sottoponendo a quest’ultima alcuni quesiti interpretativi relativi alla cancellazione dal registro dei battezzati sorti in una controversia tra la Diocesi di Gand (Bisdom Gent VZW) e l’Autorità belga per la Protezione dei Dati Personali (Gegevensbeschermingsautoriteit o DPA). Quest’ultima aveva ordinato alla Diocesi di Gand di fornire riscontro alla richiesta inoltrata da un battezzato di essere cancellato dal registro parrocchiale dei battesimi. Secondo l’Autorità belga, infatti, la pretesa avanzata dal soggetto era legittima e tale da bilanciare l’interesse legittimo detenuto dalla Chiesa cattolica relativo alla registrazione dei dati battesimali. Nonostante l’espressa dichiarazione di volontà avente a oggetto la richiesta di cancellazione, la parrocchia si è limitata ad aggiungere nel registro battesimale una nota a margine con la quale dava atto della determinazione del soggetto privato, senza cancellarne i dati. Il richiedente si è quindi rivolto all’Autorità garante per la Protezione dei Dati Personali che, pur riconoscendo la sussistenza di un interesse legittimo in capo alla Chiesa, ne ha dichiarato la soccombenza rispetto agli interessi vantati dal ricorrente. Invero, la mancata cancellazione dal registro ha rappresentato secondo la DPA una misura, oltreché inidonea allo scopo perseguito (prevenire le frodi d’identità), sproporzionata, determinando la conservazione a vita dell’interezza dei dati del ricorrente e non solo quelli relativi al suo battesimo. Per queste ragioni l’Autorità belga ha ordinato alla Diocesi di Gand di ottemperare alla richiesta rivolta dal soggetto privato, provvedendo alla cancellazione delle informazioni relative al ricorrente dal registro.
La Diocesi di Gand ha pertanto impugnato il provvedimento emanato dalla DPA adendo la sezione specializzata della Corte d’appello in materia di diritto commerciale ed economico e della concorrenza (Markthof), che ha a sua volta sollevato la questione pregiudiziale del 9 gennaio 2025.
I quesiti presentati.
Nell’ambito del rinvio pregiudiziale il giudice belga ha formulato cinque quesiti relativi all’interpretazione dell’art. 17 del Regolamento n. 679/2016 (GDPR), rubricato Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»).
In particolare, il giudice rimettente si è interrogato sul fatto che il combinato disposto degli artt. 17 GDPR, 8 CDFUE (Protezione dei dati di carattere personale), 10 CDFUE (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione), 9 CEDU (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e degli artt. 19 e 21 della Costituzione belga (che sanciscono il principio di separazione tra Stato e Chiesa) possa interpretarsi nel senso che una persona che ha ricevuto il battesimo da minorenne disponga, una volta raggiunta la maggior età ed essendosi allontanata dalla Chiesa, di un diritto alla cancellazione dei propri dati personali dal registro dei battesimi.
Inoltre, il giudice a quo ha chiesto se l’interesse della Chiesa alla conservazione dei dati (che rappresenterebbe quindi un’estrinsecazione della libertà di organizzazione della confessione religiosa) determini una differenza nell’interpretazione delle disposizioni citate e se la natura digitale o cartacea del registro (con compilazioni anche sul retro, relative a dati di altri individui) rappresenti un dato degno di rilievo. Inoltre, il giudice ha evidenziato che il libro in questione rappresenta un artefatto storico che riporta dati non reperibili altrove, fungendo così da strumento di archiviazione nel pubblico interesse.
Infine, ammesso che il diritto alla cancellazione dei dati esista e che questo non sia sottoposto a deroghe o limitazioni, il giudice belga si è interrogato sull’idoneità dell’annotazione a margine del registro dei battesimi (che sostituisce quindi la cancellazione dei dati) a soddisfare il diritto stesso.
La normativa dell’Unione.
La questione pregiudiziale sollevata dal giudice belga si impernia, in primo luogo e soprattutto, sull’interpretazione della norma contenuta nell’art. 17 GDPR, ai sensi del quale il fedele gode del diritto all’oblio nel caso eserciti il suo ius poenitendi, ritratti cioè la sua adesione a una confessione religiosa, e del diritto alla cancellazione dei suoi dati personali, salvi i casi in cui il trattamento dei dati sia necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione (par. 3, lett. a), per l’adempimento di un obbligo giuridico previsto dal diritto Ue o dello Stato membro (par. 3, lett. b), per motivi di interesse pubblico nella sanità (par. 3, lett. c), ai fini di archiviazione nel pubblico interesse, ai fini di ricerca scientifica, storica o statistici (par. 3, lett. d) o per l’impiego in sede giudiziaria (par. 3, lett. e). In particolare, nell’ambito della questione sollevata assume rilevanza precipua il par. 3 lett. d dell’art. 17, dal momento che il giudice belga vi ha fatto esplicito riferimento nella formulazione del quarto quesito («il registro dei battesimi [è] una rappresentazione unica di fatti storici che non sono registrati altrove, motivo per cui il trattamento dei dati avviene anche a fini di archiviazione nel pubblico interesse, a fini di ricerca scientifica o storica»).
Inoltre, ai sensi dell’art. 21 par. 1 GDPR, il titolare del trattamento può continuare a impiegare i dati laddove dimostri che sussistono motivi legittimi cogenti che prevalgano sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato: in tal senso, quindi, a seconda dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia potrebbe ritenersi configurata una deroga al diritto sancito dall’art. 17 GDPR, laddove si considerasse sussistente e prevalente il diritto della confessione di continuare a trattare i dati per adempiere alle proprie finalità istituzionali (in tal senso, ad esempio, S. Attollino).
Inoltre, per evidenti ragioni di rilevanza tematica, il quadro normativo cui dovrà fare riferimento il giudice di Lussemburgo comprende altresì gli artt. 9 CEDU e 10 CDFUE, che tutelano la libertà di pensiero, coscienza e religione, nella forma e nei contenuti sia positiva sia negativa, nonché l’art. 8 CDFUE, che costituisce l’enunciazione di principio precedente al GDPR di riferimento in tema di protezione dei dati. Con l’entrata in vigore del Regolamento 679/2016 i postulati dell’art. 8 CDFUE si sono senz’altro riaffermati con maggiore vigore e pregnanza; nel caso del Belgio, la nuova disciplina eurounitaria ha sostituito (accompagnata dal parere n. 33/2018 della Commissione per la protezione della vita privata) la legge 8 dicembre 1992, nell’ambito della quale non figurava un vero e proprio diritto esplicito alla cancellazione dei dati come sancito dall’art. 17 GDPR. Infine, benché il giudice del rinvio non vi faccia riferimento nella formulazione dei quesiti, potrebbe assumere rilevanza in questo contesto anche l’art. 9, par. 2, lett. d del GDPR, ai sensi del quale il divieto di trattamento di dati sensibili (tra i quali figurano, evidentemente, anche quelli di natura religiosa) sancito dal par. 1 della stessa disposizione non opera laddove il trattamento riguardi dati di membri (o ex membri, per quel che qui interessa) appartenenti a un’associazione o organizzazione senza scopo di lucro che persegua finalità, tra le altre, religiose.
Profili di diritto e religione.
Il tema della non è nuovo ed è stato trattato in vari ordinamenti nazionali, quali evidentemente l’Italia, ma anche la Spagna, la Francia o la Polonia (per una disamina comparata, si veda M.C. Ruscazio; P. Kroczek).
La posizione della Santa Sede sul tema è molto chiara ed è stata ribadita, da ultimo, con una nota esplicativa del 17.04.2025 elaborata dal Dicastero per i Testi Legislativi. Nel documento è stato precisato che le uniche modiche apponibili ai registri riguardano le rettifiche di eventuali errori di trascrizioni, dal momento che si tratta di documenti che rappresentano il riscontro oggettivo di azioni sacramentali compiute, non risolvendosi in una mera lista di membri della Chiesa cattolica. Per coloro che vogliano abbandonarla, la nota sottolinea la possibilità di apporre una nota a margine del registro nella quale si dà atto della volontà dell’individuo. Inoltre, è stato ribadito anche il valore storico, sociale e demografico di questi documenti (R. Miccichè).
La presidenza della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (COMECE), inoltre, ha interloquito con il Pontefice proprio con riferimento al caso belga durante l’udienza del 23.05.2025, esprimendo il timore che alcuni giudici civili manipolino il diritto canonico per argomentare a favore della cancellazione, realizzando un’ingerenza degli Stati nella vita della Chiesa.
Il dibattito riguarda, in primo luogo, l’evoluzione che ha investito il diritto alla privacy da right to be let alone e, quindi, un generico diritto all’oblio, a diritto all’autodeterminazione informativa, vale a dire la capacità di modellare e pubblicizzare tutte e sole le informazioni personali che si ritengono coerenti con la propria personalità. Il GDPR ha rafforzato il potere di controllo sui propri dati, garantendo all’individuo il diritto di accesso, di rettifica, cancellazione e portabilità degli stessi. Questo diritto si interseca con il più tradizionale diritto di libertà religiosa, nella misura in cui le disposizioni eurounitarie la tutelano sia in forma positiva sia in forma negativa, laddove si esplichi dunque nella volontà di esplicitare la propria aderenza (o meno) a una confessione o nella volontà opposta di non manifestarla.
Allo stesso tempo, la questione della cancellazione dei dati dai registri sacramentali in generale (e di quelli battesimali in particolare) coinvolge la libertà religiosa – declinata in particolare nell’autonomia organizzativa – della Chiesa cattolica, che concepisce il battesimo quale fatto storico incancellabile. Più nello specifico, da più parti è stato evidenziato come gli effetti del trattamento dei dati del battezzato si esauriscano nell’ambito dell’ordinamento canonico e non abbiano alcun tipo di incidenza nell’ordinamento civile, sottolineando al contempo come la conservazione dei dati relativi al battesimo coinvolga, oltre evidentemente al battezzato, altri soggetti interessati ad altro titolo e aderenti alla confessione. In questo senso si potrebbero citare, ad esempio, i genitori del soggetto battezzato, che hanno a loro tempo esercitato il diritto ad impartire al figlio un’educazione religiosa, fruendo quindi in termini più generali della loro libertà religiosa. Si tratta, secondo una certa lettura, di dati definiti essenziali per la vita e l’organizzazione interna dell’istituzione confessionale: tale qualificazione varrebbe ad escludere il diritto di cancellazione dei dati ai sensi dell’art. 17 GDPR, trattandosi di registrazioni obbligatorie nell’ambito dell’organizzazione statutaria ecclesiale. Se si adottasse un’interpretazione particolarmente rigorosa dell’ordine di competenza della Chiesa e quindi si ritenesse che la conservazione dei dati nell’ambito dell’ordinamento canonico costituisca una questione di mera rilevanza interna allo stesso, la richiesta di cancellazione da parte dell’interessato non dovrebbe avere seguito. Un tale approccio interpretativo potrebbe altresì essere suffragato da una lettura congiunta dell’art. 9, par. 2, lett. d GDPR, dall’art. 21 par 1 GDPR, dall’art. 91 par. 1 GDPR (laddove si ritenga che il corpus normativo del diritto canonico sia conforme al regolamento stesso) e dell’art. 17 TFUE che prevede che, pur instaurando l’Unione un dialogo regolare con le confessioni e le organizzazioni religiose, essa si impegna rigorosamente a non pregiudicarne gli status.
D’altra parte, la Corte di Giustizia dell’Unione non potrà non tenere conto nella sua attività di bilanciamento tra i due interessi in gioco dell’asimmetria regolatoria che caratterizza il quadro europeo. Infatti, nei casi, ad esempio, di Polonia, Italia, Francia, Spagna o Irlanda (sulla base di argomentazioni differenti in ogni contesto) l’autorità statale ha riconosciuto la prevalenza dell’interesse della Chiesa a conservare i dati relativi al battezzato, consentendo a quest’ultimo la rettifica tramite annotazione sul registro o allegazione della richiesta inoltrata. In Belgio, invece, la questione potrebbe atteggiarsi in maniera differente sulla base della decisione assunta dall’Autorità belga, che ha ordinato alla Chiesa la cancellazione dei dati dell’interessato.
Infine, rilevante sembra il riferimento, da parte del giudice a quo, alla possibilità che il registro in questione possa rappresentare un reperto di interesse archivistico e quindi da conservare intatto nell’interesse pubblico. L’argomentazione è già stata spesa, sempre con riferimento ai registri battesimali, nell’ambito di un caso sloveno nel 2020 e di un caso francese nel 2024. In quest’ultimo caso è stato altresì sottolineato che il registro, tenuto in forma cartacea e non accessibile ai terzi, è destinato al versamento, trascorsi 120 anni, negli archivi storici della diocesi. Dal momento che i quesiti nr. 3 e 4 proposti dal giudice belga riguardano proprio, rispettivamente, la rilevanza delle modalità con cui è tenuto il registro (cartaceo e non digitale) e la rilevanza storica e archivistica dello stesso, c’è da aspettarsi che la Corte di Giustizia si pronunci anche su questo tema.
In definitiva, i giudici di Lussemburgo sono chiamati a pronunciarsi ricercando un delicato equilibrio tra il diritto di autodeterminazione informativa del singolo, chiaramente sancita dal Regolamento n. 679/2016, e l’autonomia confessionale della Chiesa cattolica. Da quanto finora delineato, infatti, la lettera delle disposizioni rilevanti non sembra fornire una risposta univoca al problema della cancellazione dei dati dai registri battesimali. Sarà necessario inserire gli artt. 17 e 21 GDPR nel più ampio quadro assiologico della Carta di Nizza e del TFUE, nonché della CEDU (nell’ambito della quale peraltro non sono ancora intervenute pronunce sul tema), per trarne una soluzione proporzionata e contestualizzata, rispettando comunque le prerogative dell’ordinamento statale, garantendo la tutela dei diritti fondamentali e non sacrificando l’autonomia confessionale, dando luogo peraltro a una decisione che travalicherà il caso belga per costituire un precedente rilevante in tutta l’Unione europea.


