ANGELA DI STASI, ANNA IERMANO, ALESSANDRA LANG, ANNA ORIOLO, ROSSANA PALLADINO, Spazio europeo di giustizia e applicazione giurisprudenziale del titolo VI della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2024, pp. 1-356
Non è un compito facile recensire un’opera collettanea, salvo in alcuni casi: lo è per il volume curato da Angela Di Stasi, il cui titolo, già di per sé, sollecita interesse. La lettura del volume, ed è questo il suo pregio, che facilita, appunto, chi ne vuole dare conto, è il filo conduttore che si snoda in cinque scritti di autori diversi (cui si aggiungono le conclusioni di chi ha diretto e curato l’opera) che potrebbero essere, invero, di un solo autore, grazie all’armonizzazione realizzata fra i contributi. Uno schema chiaro, quello dell’esame delle norme appartenenti al titolo VI della Carta dei diritti fondamentali, dedicato alla “Giustizia”, che le studiose-autrici appartenenti alle Università di Salerno e Milano Statale hanno studiato, commentato e approfondito.
Il volume si inquadra nelle attività di un laboratorio di ricerca, denominato “Osservatorio sullo Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia”, attivo dal 2012 nel raccogliere atti normativi e sentenze della Corte di giustizia in materia: una materia in cui il tema dei diritti fondamentali, della loro protezione, del controllo giurisdizionale attraverso la Corte e i giudizi nazionali (l’art. 19 TUE ne ricorda il ruolo), assume valore essenziale.
L’evoluzione della giurisprudenza, che interpreta ed applica le norme, tenendo conto degli orientamenti dei giudici nazionali e della Corte europea dei diritti dell’uomo, è la chiave di lettura del volume. Il c.d. diritto giurisprudenziale accompagna il lettore, lo studioso in particolare, fin dal capitolo introduttivo di Angela Di Stasi che compie una importante ricostruzione storica dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (un trinomio “principi-valori” non sempre omogeneo), della cooperazione giudiziaria in materia civile e penale, non mancando di sottolineare, con felice espressione, l’incidenza virtuosa della tutela dei diritti fondamentali nel completamento dello spazio. Il Trattato di Lisbona, in vigore ormai da quindici anni, ha avuto un’attuazione talora insoddisfacente, ma il processo di integrazione europea, malgrado le “insidie” da parte di alcuni Governi e partiti politici, continua.
Il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall’art. 47 Carta, è esaminato da Alessandra Lang; la presunzione di innocenza e i diritti della difesa, sanciti dall’art. 48 Carta, sono esaminati da Anna Iermano; i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, sanciti dall’art. 49 Carta, sono esaminati da Rossana Palladino; il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, sancito dall’art. 50 Carta, è esaminato da Anna Oriolo. Contributi di sicura qualità che accompagnano il lettore nell’approfondimento di temi che meritano grande attenzione.
Il diritto di difesa e all’equo processo non è certo un’esclusiva del diritto UE, non solo perché previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato dalla Corte EDU, ma perché è principio fondamentale comune alle costituzioni nazionali, oltre che previsto da atti internazionali di diritto umanitario. Il diritto di difesa è proprio di qualunque procedimento, civile, penale o amministrativo e gli scritti prima ricordati hanno l’occasione di affermarlo più volte, specie nell’affrontare il tema delle sanzioni applicate a seguito di un giudizio, anche quando le sanzioni non siano, formalmente, penali, ma sostanzialmente penali. Viene qui in rilievo la necessità di assicurare una “giustizia” sostanziale che si impone al giudice nazionale anche quando le definizioni nazionali sono diverse. Questa diversa definizione e configurazione è ancor più evidente quando si prendono in esame istituti penalistici, quali la legalità pura, l’irretroattività della legge penale, la proporzionalità dei comportamenti illeciti e relative sanzioni. Il medesimo rilievo vale nella disamina di portata e contenuto del principio del ne bis in idem, che assume significati non coincidenti nella giurisprudenza della Corte di giustizia e in quella della Corte EDU, e che riguarda non solo il settore penale, ma ogni diverso settore che possa comunque essere ricondotto, quanto a comportamento-sanzione, a quello penale.
Il lettore, soprattutto lo studioso del diritto che cerchi risposte alle domande sulla rilevanza e corretta applicazione delle norme ricordate, le trova negli scritti delle cinque studiose-autrici. Si renderà conto del significato della cooperazione civile e penale, necessaria all’integrazione fra sistemi giuridici diversi, espressa da poche norme di diritto primario, molte di diritto derivato, che hanno sollevato problemi di interpretazione da parte dei giudici nazionali attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Una domanda che, alla fine, ci si potrebbe porre, è se la tutela dei diritti fondamentali sia veramente, e sempre, assicurata nell’applicazione degli articoli 47-50 Carta, e se i giudici nazionali (non solo quelli del nostro Paese) si conformino a quel principio generale di leale cooperazione consacrato nell’art. 4 TUE. Ci si potrebbe, insomma, chiedere se la c.d. cross fertilization fra giudici nazionali ed europei si realizzi davvero, e non appartenga soltanto agli auspici di chi crede in una integrazione, in prospettiva, più stretta.