AGCM e imposizione di prezzi eccessivi ed iniqui per i farmaci: il caso Aspen

Se osservato dall’angolazione prospettica da cui è originato l’istituto, potrebbero apparire quantomeno singolari la scarna applicazione pratica e la generale ritrosia teorica che hanno contraddistinto l’applicazione, all’interno del diritto della concorrenza dell’Unione europea, di un istituto di così antico retaggio qual’è il cd. “abuso per excessive o unfair price, ovvero l’«imporre direttamente o indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita o altre condizioni di transazione non eque» (ex art. 102, lett. a, TFUE).

Il patrimonio culturale che vi è a fondamento ha radici storiche assai remote. Tracce infatti di un generale concetto di punibilità per imposizione di prezzi iniqui sono rinvenibili nei codici dei sumeriHurukagina (2400 a.c.) e, in tema di onoranze funebri,Hammurabi (1800 a.c.) (M. T. Roth, Law Collections from Mesopotamia and Asia Minor, Scholar Press, 1995, pag. 71 ss.); stando a quanto riportato dallo scrittore pseudo-Crisostomo, l’episodio della cacciata dal tempio dei mercanti del Vangelo di Matteo si dovrebbe interpretare proprio alla luce del principio in esame, in quanto i mercanti avrebbero deturpato il luogo sacro con l’attività di vendita di beni i cui prezzi non rispecchiavano l’effettivo valore apportato dal venditore, facendo quindi cattiva mercatura e conseguente ingiusto profitto. (L. Arnaudo, R. Pardolesi,Sul giusto prezzo, tra Aquino e Aspen, inMCR, 2016, p. 480 ss.).

Stante questa vetustà dell’istituto, che farebbe pensare a ricchezza di contenuti dottrinali e numerose applicazioni, seppure fosse stato previsto fin dal testo originario dell’art. 86 del Trattato Istitutivo della Comunità europea – il quale non ha mai negato la possibilità di determinazione dei prezzi bensì esclusivamente quel medesimo esercizio, da parte di una o più imprese detenenti una posizione dominante, quando volto a collocarli ad un livello iniquo – i casi comunitari riguardanti la pratica abusiva dell’imposizione di prezzi eccessivi ed iniqui sono solamente quattro: General Motor United Brands; British Leyland; Deutsche Post.

Di questi i primi due sono stati annullati in sede di riesame. Diversamente, a livello nazionale, nonostante l’attenzione fosse stata maggiormente incentrata sulle dinamiche dell’exclusionary abuse, la casistica del diverso exploitative, dato anche l’impatto, per così dire, più diretto che i costi hanno nei mercati nazionali, è sicuramente più folta.

Il settore farmaceutico e la contrattazione dei prezzi dei farmaci

Il destro per l’analisi di una materia tanto affascinante quanto complessa ci viene offerto dal crescente attivismo, emerso negli ultimi anni, che ha visto protagoniste le autorità antitrust nazionali nel settore farmaceutico e ha avuto ad oggetto proprio una serie di presunte condotte abusive volte all’imposizioni di prezzi eccessivi e non equi (Aspen, Spagna, febbraio 2017; Actavis, UK, marzo 2017;Pfizer/Flynn Pharma, UK, dicembre 2016). Tra questi si può riportare il recente caso Aspen – che ha avuto un’ampia eco testimoniata dal recente (15 maggio) comunicato stampa rilasciato dalla Commissione europea, nel quale il Commissario europeo per la concorrenza Vestager ha dichiarato di aver aperto un’indagine formale nei confronti di Asphen Pharmacare poiché l’impresa avrebbe abusato della propria posizione di dominanza “by charging excessive prices for a number of medicines”; l’indagine si estenderebbe a tutti i paesi Ue, esclusa l’Italia – , esitato dal Provvedimento dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), adottato il 29 settembre 2016, n. 26185, procedimento A480 (M. COLANGELO,
Farmaci, prezzi iniqui, concorrenza: il caso Aspen, MCR, 2016, p. 539 ss.). Nello specifico, le società Aspen Pharma Trading Ltd., Aspen Italia s.r.l., Aspen Pharma Ireland Ltd., Aspen Pharmacare Holdings Ltd sono state oggetto di una sanzione superiore ai 5 milioni di euro a seguito della violazione dell’art. 102, lettera a) del TFUE per la condotta abusiva di fissazione, relativamente ad una serie di farmaci oncologici (Purinethol, Tioguanina, Leukeran e Alkeran, rispettivamente a base dei principi attivi mercaptopurina, tioguanina, corambucile, melfalan), di prezzi considerati eccessivi ed iniqui. L’analisi di questa vicenda ci permetterà di “decrittare” quei punti sintomatici delle asperità della materia, in un settore in cui i profili si complicano ulteriormente per l’intensa pervasività dell’autorità regolatoria sulla disciplina dei prezzi dei farmaci. La pubblica amministrazione infatti, al fine di assicurare l’accesso universale ed equo da parte dei malati ai medicinali essenziali, si pone come soggetto-arbitro dei meccanismi stessi di funzionamento del mercato; ma vi è di più, data l’incidenza del bene pubblico “salute”, il mercato si caratterizza per un regime di monopsonio, ossia un monopolio della domanda in cui l’Amministrazione, dopo aver fissato ed imposto proprie condizioni le quali, in definitiva, rappresentano un elemento di neutralizzazione delle regole tradizionali dello “scambio”, acquista i farmaci. Così facendo lo Stato mira a garantire ai pazienti la possibilità di accedere ai farmaci essenziali senza doverne sostenere direttamente il costo, in quanto la gratuità dovrebbe consentire un abbattimento di quelle barriere esistenti tra i pazienti e il SSN. La formazione dei prezzi dei farmaci rimborsati dal SSN, pertanto, non è rimessa al mercato (risultandone largamente inibiti i normali meccanismi di autoregolazione), ma è affidata alla contrattazione tra l’industria farmaceutica e l’AIFA. Questa Agenzia (coadiuvata dal Comitato Prezzi e Rimborsi e dalla Commissione Tecnico Scientifica), essendo il soggetto a cui, ex art. 48, comma 33, l. n. 326/2003, è affidata la contrattazione con le aziende farmaceutiche del prezzo dei farmaci rimborsati dallo Stato, aveva provveduto, secondo l’iter ed i criteri individuati dalla Delibera CIPE n. 3/2001, ad inserire i farmaci Cosmos nella classe A-RNR (Ricetta Non Ripetibile), ovvero soggetta a rimborso del SSN − fatta salva la possibilità per le Regioni di introdurre delle quote di compartecipazione alla spesa, cd. ticket − e nella classe H ove, a differenza della prima, vengono inclusi i farmaci essenziali che possono essere somministrati esclusivamente in ambito ospedaliero o strutture assimilabili.

L’indagine dell’AGCM

L’indagine dell’AGCM, partita a seguito della segnalazione dell’associazione Altroconsumo sulla scarsa reperibilità dei farmaci Cosmos presso le farmacie, muove dalla richiesta avanzata nell’aprile 2013 da parte della società farmaceutica all’AIFA di delisting dei regimi di rimborsabilità dei farmaci, cioè il passaggio dalle classi analizzate verso la classe C, in cui i prezzi sono liberamente determinati dalla impresa produttrice ed il cui costo viene posto a totale carico del paziente. Alternativamente a tale richiesta (considerata senza precedenti all’interno del panorama dei farmaci antitumorali), la società richiedeva la revisione dei prezzi che, promossa a fronte della necessità di allineare i prezzi di mercato con quelli più elevati applicati nel resto della zona UE sarebbe dovuta servire a garantire la sostenibilità del prezzo e l’adeguatezza della fornitura messe a rischio dal commercio parallelo; non è stato tuttavia fornito alcun riferimento di natura economica o analisi dei mutamenti concorrenziali a sostegno di tali richieste.

Preme fin da ora osservare che innanzitutto i prodotti oggetto di analisi sono stati definiti sia dagli esperti interni all’AIFA, sia da eminenti oncologi appartenenti alla Fondazione GINEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) quali medicinali antitumorali salvavita utilizzati, data l’elevata tollerabilità ed assenza di tossicità, per la cura di gravi patologie croniche che colpiscono soprattutto i pazienti più deboli, come anziani e bambini; viene inoltre evidenziato dagli esperti che questi farmaci sono scarsamente sostituibili per via della loro composizione farmaceutica in compresse che ne permette la somministrazione al di fuori dell’ambito ospedaliero; infine, come sottolineato anche dall’Autorità, «nel caso di farmaci antitumorali, un ruolo chiave è giocato dalla “continuità terapeutica”, che determina una forte rigidità della domanda anche in presenza di alternative terapeutiche» (Provvedimento n. 26185, cit., par. 76). In secondo luogo è rilevante evidenziare, per motivi che verranno in seguito esposti, che i diritti di commercializzazione di tali farmaci, facenti parte del portfolio cd. Cosmos, dal momento in cui erano stati acquistati nel 2009 dalla società sudafricana dalla multinazionale GlaxoSmithKline (GSK), legittimavano Aspen, in quanto unica Marketing Authorization Holder dei medicinali, alla commercializzazione in territorio Ue dei suddetti farmaci. Di conseguenza, come testimoniato del resto dalla natura di buy and sell caratterizzante l’intera attività aziendale, i farmaci oggetto di indagine non sono stati frutto di un processo innovativo condotto dalla società Aspen, bensì erano stati originati quarant’anni prima nei laboratori di società terze. Con riferimento alla prima osservazione svolta, questa permetterebbe di comprendere su quali basi sia stata posta la contrattazione tra l’azienda farmaceutica e l’AIFA; infatti, nonostante quanto è stato accennato riguardo alla contrattazione sul prezzo, si deve aggiungere che in ogni caso perdura una certa potestà contrattuale in capo all’azienda farmaceutica, ovvero residua una possibilità per l’impresa di far pesare le qualità del proprio prodotto sulla determinazione della trattativa, con conseguente capacità di monetizzare tale potere contrattuale. Difatti, come si evince dalla lettura della sentenza della Corte di giustizia Sot. Lélos kai Sia (punto 61) «il controllo esercitato dagli Stati membri sui prezzi di vendita o sulle tariffe di rimborso dei medicinali non sottrae interamente i prezzi di tali prodotti alla legge della domanda e dell’offerta». Dunque risulta chiaro che l’insieme di condotte che hanno portato alla condanna dell’autorità muovono proprio dal nesso di causalità intercorrente tra l’indispensabilità dei farmaci per i pazienti ed il ricatto operato dall’azienda farmaceutica: l’indagine da conto di una strategia aggressiva e pressante nei confronti di AIFA che Aspen avrebbe tenuto durante l’intera fase di negoziazione. Afferma l’Autorità che la società ha tratto vantaggio dalla specifica conformazione dei mercati rilevanti, identificabili con ciascun prodotto, che non presentano sostituti ai prodotti Cosmos; ciò è dovuto per la contestuale presenza, da una lato della particolare barriera all’ingresso identificabile nell’impossibilità per i concorrenti di generare profitti in mercati così ristretti, dall’altro degli ostacoli di natura temporale che si renderebbero necessari, qualora potenziali aziende concorrenti volessero avviare il lungo e costoso iter burocratico previsto per il conseguimento dell’AIC (autorizzazione all’immissione in commercio) di nuovi farmaci. Diversamente da quanto sostenuto dalla società, la condotta di Aspen – alla luce della normativa di settore che non riconosce un potere inibitorio di AIFA a fronte della volontà di un operatore di procedere al ritiro dal mercato dell’AIC − avrebbe rappresentato «l’assenza di un potere negoziale di AIFA nei confronti di Aspen». Quanto detto trova conferma in una comunicazione dell’azienda che se AIFA non avesse provveduto al più presto alla richiesta di riclassificazione in fascia C o, eventualmente, di rideterminazione del prezzo in fascia di rimborsabilità, «la scrivente procederà tempestivamente ai sensi di legge a comunicare l’interruzione della commercializzazione in Italia dei prodotti, a far data da gennaio 2014. Nella suddetta evenienza, la scrivente si adopererà per rendere reperibili i medicinali per i pazienti italiani attraverso i mercati di altri paesi di area UE al prezzo ivi vigente.». A seguito della determina del 17 marzo 2014, AIFA ha approvato nuovi prezzi (sia ex factory sia al pubblico)delle specialità medicinali in esame, riconfermando per tutte il rimborso a carico dello Stato (classe A). Tale condotta avrebbe permesso ad Aspen di ottenere elevati incrementi di prezzo, compresi tra il 300% e il 1500% dei prezzi iniziali. Altrettanto limpida appare la dimostrazione della posizione di dominanza nel mercato rilevante, rilevando in particolare una comunicazione dell’azienda stessa che, ai fini della riclassificazione di cui poc’anzi, ha riportato i pareri dei propri esperti in ordine all’insostituibilità dei propri farmaci.

L’analisi dell’iniquità dei prezzi.

Innanzitutto per stabilire tali ingenti aumenti di prezzo, e la loro iniquità, l’indagine del AGCM ha dovuto basarsi su di un impianto metodologico rigoroso e, soprattutto dal punto di vista della disciplina economica, solido, all’interno del quale, come si spiegherà in seguito, la capacità (non)-innovativa dell’impresa ha giocato un ruolo determinante.

La ricostruzione operata, muovendo dalla consapevolezza di dover maneggiare un concetto polisenso di equità (G. Amato, R. Pardolesi, A. Nicita, C. Osti, P. Sabbatini, Tavola rotonda su J.B. Baker e S.C. Salop, Antitrust, politica della concorrenza e disuguaglianza, in MCR, 2016, p. 480 ss.), non ne fornisce − correttamente, per mancanza di appigli pre-normativi − una definizione, ma, sulla base dei 4 casi precedenti oggetto dello scrutinio della Commissione UE, lo innesta all’interno di una metodologia versatile in quanto neutrale rispetto ai fini (V. Meli, Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante mediante imposizione di prezzi “non equi”, Milano, 1989, p. 91 ss.). Seguendo l’impostazione delineata dalla Corte di Giustizia nel caso United Brands (par. 252 ss.), il metodo dovrebbe constare di due distinte fasi: la prima atta a valutare «se vi sia un’eccessiva sproporzione tra il costo effettivamente sostenuto ed il prezzo effettivamente richiesto», da cui risulterebbe l’entità del margine di profitto; questa prima operazione viene compiuta mediante duplice rilevazione: ovvero da una parte si valuta la sproporzione fra i prezzi ed i costi, misurandola attraverso il margine di contribuzione lorda(cd. gross margin o gross profit se positivo, è dato dalla differenza tra le revenues, cioè il valore netto delle vendite, e il costo del venduto o COGS − cost of good sold − di un determinato prodotto o dell’insieme dei prodotti di un’azienda) fornito da ogni prodotto e raffrontando tale margine al complesso dei costi fissi e indiretti sostenuti da Aspen (par. 142 e ss.); dall’altra parte si utilizza una metodologia che mette a confronto i ricavi ed il cost plus; in particolare quest’ultimo viene calcolato dall’autorità attraverso la stima non solo dei costi direttamente sostenuti per la produzione del farmaco (costo del venduto), ma si utilizza anche una «quota delle spese operative affrontate dall’impresa, non integralmente imputabili al prodotto, in quanto aventi carattere orizzontale, poiché relative ad attività che interessano più linee di prodotto o più mercati geografici», e infine si fa rientrare in tale calcolo anche una congrua remunerazione dell’attività d’impresa poiché «è ragionevole concedere che il prezzo applicato per un determinato prodotto consenta all’impresa una congrua remunerazione della propria attività, non potendosi assumere che la stessa operi senza un obiettivo di ragionevole profitto» (par. 156 e ss.).

La Corte di giustizia, nella sentenza sopra vista, continua la sua analisi affermando che «nel caso in cui sia accertata l’esistenza di un’eccessiva sproporzione, è necessario poi stabilire se sia stato imposto un prezzo non equo, sia in assoluto sia rispetto ad eventuali prodotti concorrenti.».

Nel caso di specie, eccedendo i ricavi di Aspen maturati nel mercato italiano i costi complessivi in misura variabile tra il +300% a +1500%, l’analisi descritta da quindi conto di un eccessivo rincaro dei prezzi.Pertanto l’Autorità procede ad accertare se gli stessi prezzi siano «privi di qualsiasi ragionevole rapporto» rispetto al valore economico della prestazione, e, dunque, iniqui ai sensi dell’art. 102 lett. a), TFUE. A tal fine elenca determinati fattori che sono stati presi in considerazione: «il confronto tra nuovi e vecchi prezzi; l’assenza di giustificazioni economiche per un aumento di siffatte dimensioni; eventuali fattori di carattere qualitativo relativi ai prodotti; la natura dei prodotti oggetto di esame; le caratteristiche e il modello di business del gruppo Aspen; l’aggravio della spesa sanitaria pubblica» (par. 189). Analisi di tal tipo non sono esenti da critiche e ostilità provenienti sia dagli ambienti giuridici sia da correnti economiche. Non mancano coloro che dubitano che tale disciplina giuridica possa raggiungere livelli di efficienza sufficienti; infatti, sul presupposto che, se da una parte un operatore economico avrebbe sì la possibilità di sfruttare prezzi eccessivi sul breve periodo, dall’altra ciò non gli consentirebbe di conseguire vantaggi sul lungo periodo poiché l’aumento dei prezzi richiamerebbe all’interno del mercato maggiori spinte concorrenziali che riporterebbero i prezzi a livelli fisiologici, vengono preferiti orientamenti i quali, sulla scorta della disciplina d’oltreoceano, escludono tale interventismo da parte delle autorità antitrust o lo confinano a situazioni del tutto marginali(v. Geradin). Ciò spiega solo in parte i dubbi e le singolarità espresse in apertura. Le maggiori problematicità sorgerebbero infatti intorno alla concreta applicazione dell’istituto in esame: in particolare i dubbi si sono concentrati attorno alle difficoltà di individuare i costi effettivamente sostenuti dall’impresa in condizioni di mercato cd. dinamiche, ovvero dove i maggiori costi fissi e quelli marginali scontano ingenti apporti per l’innovazione. In particolare nel settore merceologico esaminato, «dal momento che i costi sostenuti dall’impresa farmaceutica non si esauriscono necessariamente negli investimenti direttamente effettuati per la ricerca e lo sviluppo della molecola o della specialità medicinale in esame ma, al contrario, possono includere “sunk costs” relativi ai tentativi falliti per la scoperta di nuovi farmaci, il prezzo emergente ad esito della prima negoziazione è un prezzo che sconta la necessità di recupero di tali spese essenziali al processo di innovazione» (AGCM, Provvedimento n. 26185, par. 48). Tuttavia il calcolo di questi costi è di complessa applicazione pratica; si pensi al solo caso in cui il prodotto innovativo derivi da un colpo di genio: in tal caso non appare comunque efficiente l’applicazione di tetti massimi di profitto derivanti da costi di R&D che sono, in tal caso, ininfluenti. Ancora, vi sono situazioni in cui, stante la presenza di costi fissi elevati, i costi marginali possono risultare invece molto bassi poiché l’impresa ha deciso di licenziare il proprio prodotto (v. Geradin). Anche in questo caso l’analisi dei costi potrebbe apparire fuorviante (v. Paulis). Ma i medesimi profili di complessità riguardano anche i profitti; sussiste anche qui uno iato tra economie dinamiche e statiche; profitti nel margine del 1000% potrebbero essere maggiormente giustificati in mercati altamente competitivi, come quello farmaceutico, dove la concorrenza si svolge proprio sul piano dell’innovazione, «Data la vita attesa del prodotto, il suo primo prezzo è determinato a un livello che renda remunerativo l’investimento sostenuto dall’impresa per la sua scoperta e il suo sviluppo» (AGCM, Provvedimento n. 26185, par. 48). Di conseguenza forzare le imprese a ridurre i propri margini di profitto potrebbe rappresentare un disincentivo all’innovazione. (v. Geradin). Tuttavia, nel caso di specie, come accennato precedentemente, a fronte dell’acquisizione dei farmaci costituenti il pacchetto Cosmos da un’altra società, è indubbio che tali problematiche non siano rilevanti. Inoltre un considerevole supporto nell’analisi è stato offerto dall’utilizzo dei dati contabili interni dell’azienda stessa, reperiti durante le indagini. Concludendo sembra, sperando ciò non appaia semplicistico, che proprio la mancanza di detto profilo di complessità abbia sottratto l’impianto metodologico dell’Autorità da molte delle critiche che si sono qui esaminate. Aspen ha tuttavia impugnato tempestivamente il Provvedimento, pertanto l’esito della vicenda in sede nazionale è tutt’ora in attesa di giudizio davanti al giudice amministrativo; il Tar per il Lazio ha infatti fissato la prima udienza per la discussione del ricorso in data 7 giugno 2017 (stante il rigetto delle richieste dell’impresa in sede cautelareconsiderato che, nel bilanciamento con l’interesse pubblico, le esigenze della parte ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito”). Foriera di indicazioni rilevanti sarà sicuramente anche la pronuncia della Commissione europea.


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