Adottato il Meccanismo di risoluzione unico, “secondo pilastro” dell’Unione bancaria: prime considerazioni

La notizia dell’adozione del Meccanismo di risoluzione unico delle banche in dissesto si ripropone da mesi, a dimostrazione dell’importanza politica e della risonanza mediatica della questione. Sotto la Presidenza greca, il 20 marzo 2014, è stato raggiunto un accordo politico in sede di trilogo, successivamente confermato, il 15 aprile 2014, dall’approvazione in prima lettura del testo da parte dell’ultima plenaria del Parlamento europeo prima del cambio di legislatura.

Il 14 luglio 2014, all’alba quindi del semestre di Presidenza italiano, il Consiglio ha ufficialmente adottato il regolamento (UE) n. 806/2014, istitutivo del Meccanismo di risoluzione unico delle banche in dissesto (Single Resolution Mechanism; seguendo il più noto acronimo inglese, d’ora in avanti SRM). L’adozione è avvenuta come punto A all’ordine del giorno – senza quindi bisogno di alcuna, ulteriore, discussione.

Il contesto normativo: l’Unione bancaria

Insieme al Meccanismo unico di vigilanza (in seguito, ancora secondo l’acronimo inglese, SSM), questo regolamento costituisce le fondamenta dell’Unione bancaria, a cui dovrebbe aggiungersi il terzo ed ultimo elemento, ovvero uno schema europeo comune di garanzia dei depositi. Il condizionale è d’obbligo dopo la recente adozione della direttiva 2014/49/UE, che armonizza i singoli sistemi nazionali di garanzia dei depositi, e che pare, al momento, aver “congelato” i negoziati per l’istituzione di un meccanismo comune anche in tale settore.

Il regolamento SRM si pone in stretta interazione con la direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione delle banche, anch’essa appena pubblicata. Anche questo settore, infatti, è fedele alla struttura bipartita, o a cerchi concentrici, che caratterizza l’Unione bancaria, al fine di intensificare ulteriormente l’integrazione economico-monetaria solo tra quei Paesi resi particolarmente interdipendenti dall’adozione della moneta unica.

Pertanto, mentre la direttiva 2014/59/UE si trova sul cerchio più esterno, essendo rivolta a tutti gli Stati membri dell’Unione, il regolamento SRM, che presuppone l’esistenza di regole comuni dettate dalla prima, vincola i soli Stati parte dell’Eurozona, gli altri rimanendo liberi di aderirvi su base volontaria. In particolare, esso istituisce un quadro istituzionale e finanziario comune, a livello europeo, al fine di agevolare al massimo la piena attuazione del corpus di regole dettato dalla direttiva 2014/59/UE che, per gli Stati non partecipanti al regolamento SRM, viene invece attuato dalle sole autorità nazionali (operanti, al più, in modalità congiunta, in caso di crisi transfrontaliere, senza subire il ruolo egemonico del Comitato di cui subito si dirà).

La struttura del regolamento SRM

Il Meccanismo di risoluzione unico è formato da due elementi: (a) il “Comitato di risoluzione unico” e (b) il “Fondo di risoluzione unico”.

(a) Il Comitato di risoluzione unico

Il primo è un organo decisionale centrale, comune a tutti gli Stati partecipanti, incaricato di avviare e, in seguito, gestire i procedimenti di risoluzione delle crisi degli enti creditizi, anche attraverso l’utilizzo delle risorse finanziarie del Fondo.

Gli enti creditizi suscettibili di gestione in caso di crisi, da parte del Comitato, sono i medesimi su cui la BCE esercita funzioni di vigilanza ai sensi del regolamento SSM, ergo i gruppi bancari significativi ai sensi dell’art. 6, par. 4, del regolamento SSM (ivi compresi, dunque, gli enti che la BCE decide spontaneamente di controllare anche se formalmente “meno rilevanti”). Per tutti gli altri rimangono competenti le autorità nazionali di supervisione – chiamate in ogni caso ad attuare le decisioni del Comitato (art. 28), che altrimenti può impartire ordini direttamente alla banca in dissesto (art. 29) – a meno che la risoluzione non necessiti l’intervento del Fondo. In tal caso, infatti, la gestione della crisi è comunque competenza del Comitato.

Quest’ultimo, a dispetto del nome, è un’agenzia dell’Unione europea (art. 42) che avrà sede a Bruxelles (art. 48): l’assenza di decentramento – caratteristica quasi sempre ricorrente, forse anche fondamentale, del fenomeno di agencification – è un chiaro segno della volontà di tenere il nuovo organismo ben “agganciato” al tessuto istituzionale dell’Unione. Ulteriore profilo innovativo consiste nel fatto che la composizione del suo organo esecutivo (il “Comitato in sessione esecutiva”) non riflette direttamente meccanismi di compromesso intergovernativo, attingendo invece da quelle logiche più puramente manageriali che mai erano state applicate – o quanto meno enunciate – a livello di Unione europea con altrettanto vigore: il Presidente e gli altri quattro membri, infatti, vengono «designati in base ai meriti, alle competenze, alla conoscenza delle questioni bancarie e finanziarie, nonché all’esperienza in materia di vigilanza e regolamentazione finanziaria e di risoluzione bancaria. [Essi] sono scelti sulla base di una procedura di selezione aperta, che rispetta i principi di equilibrio di genere, esperienza e qualifica» (art. 56).

Per le operazioni di risoluzione che richiedono oltre 5 miliardi di capitale o 10 miliardi di sostegno alla liquidità, il Comitato decide però in sessione plenaria, cioè anche con la presenza dei rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali che, secondo il combinato disposto dell’art. 3, par. 1, n. 3 del regolamento SRM e dell’art. 3 della direttiva 2014/59/UE, potrebbero anche essere autorità indipendenti quali, ad esempio, le banche centrali. Si noti, peraltro, che il potere di scelta dei rappresentanti non viene attribuito alle autorità nazionali stesse, come accade nelle agenzie competenti per la vigilanza finanziaria, ma agli Stati membri, ex art. 43, par. 1, lett. c). Sarà interessante, dunque, osservare se realmente i governi nazionali riusciranno ad imporre alle proprie autorità di risoluzione determinate nomine per la rappresentanza della stessa a livello europeo. Commissione e BCE partecipano in ogni caso attraverso un osservatore permanente ciascuna.

Il potere decisionale spetta principalmente al Comitato, come subito si dirà; questo accentramento di competenze – e, parallelamente, la compressione del ruolo della Commissione rispetto a quanto previsto dalla stessa nella sua proposta iniziale – è avvenuto anche in seguito alla pronuncia della Corte di giustizia nella causa C-270/12, che, respingendo un ricorso del Regno Unito contro l’attribuzione di (incisivi) poteri decisionali all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati nel settore delle vendite allo scoperto, ha fugato i dubbi di molte delegazioni nazionali sulla scelta della base giuridica (nel caso di specie, l’art. 114 TFUE) e sulla possibilità di usare quest’ultima per delegare poteri decisionali al Comitato.

Il procedimento di adozione delle decisioni di risoluzione

In estrema sintesi, il processo decisionale può esser così descritto: spetta alla BCE, nelle sue funzioni di vigilanza ai sensi del regolamento SSM, segnalare al Comitato gli istituti di credito in crisi (per quanto, in caso di inattività della prima, il secondo possa anche agire motu proprio, ex art. 18, par. 1); il Comitato può adottare una decisione di risoluzione, che entra in vigore in 24 ore; il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su proposta della Commissione, può muovere obiezioni, bloccandone l’entrata in vigore, per contrarietà all’interesse pubblico (sulla cui nozione, v. art. 18, par. 5). Il coinvolgimento del Parlamento europeo non è previsto nel corso delle operazioni di risoluzione, ma è garantito in forme piuttosto incisive al di fuori di tale ambito, attraverso un potere di controllo ex ante ed ex post che può assumere la forma di relazioni annuali, audizioni presso le commissioni parlamentari competenti, quesiti ed interrogazioni (che possono essere poste, curiosamente, anche dal Consiglio) nonché discussioni orali riservate, a porte chiuse, con il presidente ed i vice-presidenti delle commissioni parlamentari competenti (art. 45). Ancora una volta innovativo, se comparato con quanto accade rispetto alle altre agenzie dell’Unione, è il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo delle attività del Comitato (art. 46).

Non è chiaro se, alle votazioni del Consiglio relative ad eventuali opposizioni a decisioni del Comitato, prenderanno parte anche gli Stati non partecipanti al Meccanismo di risoluzione unico – rectius: non è chiaro in che termini essi permetteranno che, a decidere su questioni essenzialmente relative alla sola Eurozona, ma che ben potrebbero celare o attuare scelte politiche di più ampio respiro, siano i soli Stati afferenti a tale area. Da un lato, infatti, è ovvio che per sua natura il Consiglio è l’organo rappresentativo di tutti gli Stati membri dell’Unione europea, che quindi non possono vedersi esautorati del proprio diritto di voto garantito dai trattati. Dall’altro, però, va rilevato che, dai documenti preparatori delle riunioni del Consiglio, emerge come sia stato negoziato un accordo intergovernativo ai sensi del quale gli Stati non partecipanti si dovranno impegnare a non rovesciare la decisione presa dalla maggioranza degli Stati partecipanti: d’altronde, al netto di possibili strumentalizzazioni politiche, l’attività del Comitato rimane pur sempre relativa ai soli enti creditizi dell’Eurozona (per quanto, evidentemente, la dimensione di certi gruppi bancari superi agevolmente i confini di quest’ultima).

Tale accordo, però, non è ancora stato pubblicato e, pertanto, non sono noti i termini di siffatto, eventuale, “impegno” preso dagli Stati non partecipanti; il regolamento SRM, dal canto suo, non prende posizione esplicita sul punto. La questione merita di essere seguita con attenzione, perché ciò potrebbe essere il segno di un rafforzamento, seppur lieve, dell’Eurogruppo – fino a quando non parteciperanno all’Unione bancaria anche Paesi la cui moneta non è l’euro – all’interno della struttura istituzionale dell’Unione.

Infine, il Comitato, in sessione esecutiva, istituisce una Commissione di ricorso, «composta da cinque persone di elevata reputazione […] e in possesso di comprovate conoscenze pertinenti e di esperienza professionale», competente a pronunciarsi contro i ricorsi di persone fisiche e giuridiche, ivi comprese le autorità nazionali di risoluzione, avverso decisioni del Comitato stesso (art. 85). Secondo uno schema ben noto nel panorama delle agenzie, le decisioni della Commissione di ricorso sono poi impugnabili ai sensi dell’art. 263 TFUE dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione. Quest’ultima è competente – oltre che per le azioni in carenza, espressamente previste dall’art. 86, e relativamente ai mezzi di ricorso di cui agli artt. 267 e 277 TFUE, pur nell’assenza di espliciti richiami nel regolamento SRM, giusta previsione pattizia – anche in materia di responsabilità extracontrattuale (art. 87). Anche in tal caso, il regolamento SRM segue la prassi invalsa nella quasi totalità dei regolamenti istitutivi delle altre agenzie dell’Unione, con un’interessante peculiarità: gli Stati membri non partecipanti hanno ottenuto, attraverso un accordo intergovernativo separato su cui subito si tornerà, un sistema di indennizzo delle spese eventualmente a carico del bilancio dell’Unione in ragione di risarcimenti per responsabilità extracontrattuale del Comitato o di istituzioni dell’Unione operanti ai fini del regolamento SRM.

(b) Il Fondo di risoluzione unico

Fondamentale per la stabilità del sistema bancario e la credibilità del Meccanismo stesso è, infine, la creazione di un quadro finanziario comune, avvenuta tramite l’istituzione di un fondo capace di finanziare a medio termine le operazioni della banca in dissesto durante la fase di risoluzione.

Il Fondo di risoluzione unico, di proprietà del Comitato, sarà finanziato interamente dalle banche degli Stati partecipanti, in ossequio a uno dei principi cardine dell’Unione bancaria, ovvero quello di spezzare il circolo vizioso tra crisi finanziaria, fallimento degli enti creditizi e aumento del debito sovrano. Ogni banca contribuirà in misura proporzionale all’ammontare delle sue passività, esclusi i fondi propri e i depositi protetti, e delle passività aggregate di tutti gli enti autorizzati nei territori di tutti gli Stati membri partecipanti (sempre esclusi i fondi propri e i depositi protetti: v. art. 70). L’obiettivo è di raggiungere una cifra pari almeno all’1% della somma dei depositi protetti di tutti gli enti creditizi autorizzati in tutti gli Stati membri partecipanti; a regime – il Fondo, infatti, è da istituirsi in un arco di tempo di 8 anni – la dotazione finanziaria dovrebbe ammontare a circa 55 miliardi di euro. Sebbene, inizialmente, i contributi saranno tenuti distinti per comparti nazionali, già dal primo anno il 40% degli stessi verrà mutualizzato in un comparto comune; il secondo anno il processo continuerà per un ulteriore 20%, fino ad arrivare al totale dei contributi nei sei anni successivi, secondo una progressione lineare. Le norme relative al trasferimento e alla mutualizzazione dei contributi che finanzieranno il Fondo sono contenute – insieme, come già accennato, ad alcune disposizioni in materia di tutela giurisdizionale e, segnatamente, di responsabilità extracontrattuale – in un accordo intergovernativo. Esso attribuisce alla Corte di giustizia, secondo la possibilità prevista dall’art. 273 TFUE, la competenza a conoscere dei ricorsi sull’interpretazione dello stesso accordo, che riveste un ruolo fondamentale di attuazione del regolamento SRM per quanto attiene il finanziamento del Fondo.

Curiosamente, l’accordo intergovernativo è stato siglato non dai soli Stati membri partecipanti al Meccanismo, né da tutti gli Stati membri dell’Unione, ma da solo 26 di essi; tra l’altro, i due mancanti, Regno Unito e Svezia, non sono neanche esattamente i medesimi che non sono vincolati al Fiscal Compact, a dimostrazione del proliferare di forme di integrazione differenziata non sempre pienamente coerenti tra loro. L’applicazione dell’accordo agli Stati contraenti la cui moneta non è l’euro è subordinata, in ogni caso, non solo al deposito dell’atto di ratifica, approvazione o accettazione, ma anche alla partecipazione ai regolamenti SSM e SRM.

Ancora mancante, invece, è un sistema comune di meccanismi di protezione finanziaria del Fondo (backstops). Infatti, sebbene solo in casi eccezionali, potrebbero servire risorse aggiuntive, pubbliche, per garantire un ulteriore “paracadute finanziario” al Fondo e, di conseguenza, aumentare la credibilità dell’intero sistema di risoluzione. Di tutte le somme pubbliche erogate, in ogni caso, dovrebbe poi essere garantita la restituzione da parte del settore bancario. I negoziati a tal fine sono ancora in corso e, probabilmente, porteranno all’adozione di un ulteriore accordo intergovernativo.


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