A proposito del “disco verde” dato dall’Accademia della Crusca all’aggettivo unionale

Lo scorso 28 marzo, cogliendo l’occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, l’Accademia della Crusca ha voluto pronunciarsi (dando il via libera) sull’uso del termine unionale quale aggettivo relazionale derivato da dell’Unione, da molti contrastato (v. contributo già pubblicato sulla rivista Eurojus, 1.6.2015) e, ciononostante, utilizzato sempre più spesso dalle stesse istituzioni dell’Unione (da una ricerca sulla banca dati Eur-Lex, che raccoglie il diritto dell’Unione europea declinato nelle sue varie fonti, risulta che – solo nel 2017 – il termine è stato utilizzato 70 volte).

A questo proposito, si ritiene utile fare alcuni brevi rilievi.

La questione, ad avviso di chi scrive, non è, come ritiene l’Autore dell’articolo “Disco verde per unionale”, prof. Paolo D’Achille, chiedersi se l’aggettivo unionale sia, o non, “una parola mal formata”. Rileva piuttosto il fatto che unionale non è (e non può essere) riferito in modo specifico all’Unione europea, posto che lo stesso Trattato di Lisbona  ha sancito all’articolo 2 che, “nell’intero trattato”, i termini “la Comunità” o “la Comunità europea” siano sostituiti da “l’Unione”, e l’aggettivo “comunitario”, comunque declinato, da “dell’Unione”.

Se quindi, nella transizione definitiva dalla Comunità formata da tre pilastri all’Unione europea intesa come complesso giuridico unico, la corretta via (dal punto di vista linguistico) è stata già chiaramente indicata dal legislatore dell’Unione, la questione deve ritenersi risolta, e ogni considerazione o riflessione sull’accettabilità del terminale non è utile o addirittura è foriera di incertezze per l’operatore giuridico.

La “tendenza alla sintesi”, richiamata quale giustificazione principale per la ricerca di un derivato del sintagma dell’Unione, per quanto costituisca un’esigenza senza dubbio condivisibile, non può infatti, da sola, superare il dettato normativo.

E peraltro, anche a voler guardare se il termine sia, o non, “mal formato”, non pare che il riferimento al modello dell’inglese unional, ritenuto rilevante dall’Autore dell’articolo, possa portare alcun conforto alla tesi in questione. Rileva, piuttosto, sottolineare che, laddove la traduzione italiana di testi giuridici dell’Unione utilizza l’aggettivo unionale, la versione francese riporta “de l’Union”, e quella spagnola “de la Unión”.

Sarebbe quindi auspicabile “tornare al Trattato”, abbandonando una volta per tutte questo discutibile aggettivo, almeno per quanto riguarda l’Unione europea.


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Editore: Bruno Nascimbene, Milano
Rivista registrata presso il Tribunale di Milano, n. 278 del 9 settembre 2014


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