UberPop è un servizio di trasporto: la prima pronuncia della Corte di giustizia

1. Anche soltanto da un punto di vista meramente quantitativo il fenomeno economico, sociale e culturale Uber si candida, da un punto di vista giuridico, a rappresentare una vera e propria saga. Pur senza considerare le pronunce di merito che si sono occupate a vario titolo del c.d. servizio Uber, nel solo ultimo anno è doveroso ricordare:

a) la sentenza n. 265 del 15 dicembre 2016 della nostra Corte costituzionale che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della Legge Regionale del Piemonte n. 14 del 6 luglio 2015, che riservava il trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea ai taxi e al servizio di noleggio con conducente (NCC), per contrasto con l’art. 117, 2° comma, lett. e) della Costituzione;

b) il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE presentato nel mese di giugno 2017 dal Bundesgerichstshof nella controversia Uber BV c. Richard Leipold al fine di stabilire se un’impresa, che in collaborazione con altra impresa di autonoleggio autorizzata al trasporto di persone, metta a disposizione un applicazione per smartphone volta a consentire agli utenti di prenotare autoveicoli da noleggio con conducente, eroghi un servizio di trasporto ai sensi dell’art. 58, par. 1 TFUE e dell’art. 2, par. 2, lett. d) della direttiva 2006/123;

c) le Conclusioni presentate dall’Avvocato generale Szpunar in data 4 luglio 2017 nella controversia Uber France c. Nabil Bensalem relativa alla possibilità di considerare la norma di diritto francese che sanziona penalmente l’organizzazione di un sistema che mette in contatto clienti con persone che esercitano l’attività di trasporto su strada di passeggeri a titolo oneroso senza essere né imprese di trasporto su strada autorizzate né taxi come una regola tecnica relativa ai servizi della società dell’informazione soggetta all’obbligo della notifica alla Commissione per essere opponibile ai terzi;

d) infine, la pronuncia della Corte di giustizia del 20 dicembre 2017 nella causa C-434/15Asociación Profesional Elite Taxi c. Uber Systems Spain SL relativa alla qualifica del servizio di intermediazione offerto da Uber (UberPop) come servizio nel settore dei trasporti ex art. 58, par. 1 TFUE, e come tale (allo stato ancora) riservato alla competenza legislativa degli Stati membri, oppure come servizio di intermediazione e come tale soggetto all’art. 56 TFUE, alla direttiva 2006/123 (c.d. direttiva servizi) e alla direttiva 2000/31 (c.d. direttiva sul commercio elettronico).

2. Uno degli aspetti che rendono particolarmente significativa la prima sentenza della Corte di giustizia sul servizio Uber è rappresentato dalla straordinaria diffusione di tale servizio nella società contemporanea, con conseguenti ed inevitabili ricadute in termini economici, ma anche sociali. Da un punto di vista meramente pratico (giuridicamente, invece, il discorso è più complesso, come si vedrà tra un attimo) Uber può essere considerata una piattaforma che permette di prenotare un’auto con conducente via smartphone utilizzando un’apposita applicazione. I servizi di trasporto offerti da Uber si suddividono in diverse categorie a seconda della qualità del conducente e della tipologia del veicolo. Nello specifico, il servizio UberPop consente di mettere in contatto, dietro retribuzione, conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo privato con persone che intendono effettuare uno spostamento; laddove, invece, l’attività di Uber si avvale di autisti professionisti, la principale differenza tra i vari servizi offerti riguarda la tipologia del veicolo utilizzato: ad esempio, UberBlack mette a disposizione berline nere di lusso; Uber SUV mette a disposizione auto di lusso per gruppi di persone; UberGreen mette a disposizione auto ibride o elettriche. Nel caso di UberPop, le principali critiche si sono da sempre appuntate sul fatto che, in pratica, viene offerto un servizio molto simile a quello dei taxi da soggetti privati, che taxisti non sono, e come tali non soggetti alle normative previste per il servizio taxi. Nel caso, invece, dei servizi Uber offerti avvalendosi di autisti professionisti, sembra più corretto parlare di una forma moderna e tecnologica del più tradizionale servizio di noleggio con conducente (NCC). Anche al fine di ponderare compiutamente gli effetti della sentenza della Corte di giustizia è importante sottolineare sin d’ora che la sentenza della Corte di giustizia riguarda soltanto il servizio UberPop.

3. La vicenda decisa dalla Corte di giustizia ruota intorno alla corretta qualifica del servizio UberPop secondo le categorie del diritto dell’Unione europea. Come sottolineato dall’Avvocato generale, infatti, il servizio UberPop costituisce un servizio misto, nel senso che una parte di tale servizio avviene per via elettronica (la messa in contatto di un conducente con il potenziale passeggero attraverso un’applicazione per smartphone), mentre un’altra parte del servizio (l’effettiva realizzazione del trasporto richiesto) viene chiaramente realizzata in modo tradizionale (non per via elettronica). Ed è proprio questa doppia anima del servizio UberPop che solleva un delicato problema di interpretazione del diritto dell’Unione europea ricco di importanti ricadute in termini di disciplina applicabile. E ciò in quanto ai sensi dell’art. 58, par. 1 TFUE in materia di trasporti, la libera circolazione dei servizi è regolata dalle disposizioni del Titolo VI (artt. 90 – 100) e, in particolare, dall’art. 90 TFUE secondo cui, in materia di trasporti, l’obiettivo della libera prestazione dei servizi è realizzato nel quadro di una politica comune dei trasporti. Sennonché, il settore dei trasporti rientra, ai sensi dell’art. 4, par. 2 TFUE, nel novero dei settori nei quali l’Unione europea dispone di una competenza concorrente con quella degli Stati membri. Ciò significa, quindi, che in materia di trasporti sia l’Unione europea sia gli Stati membri possono legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti, fermo restando che gli Stati membri possono esercitare la loro competenza soltanto nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Ebbene, dato, che ad oggi l’Unione europea non ha ancora adottato norme comuni in materia di servizi di trasporto non collettivi nelle aree urbane, tali servizi continuano a rientrare nella competenza legislativa degli Stati membri. Per contro, al di fuori del settore dei trasporti, il principio della libera prestazione dei servizi risulta enunciato e sancito da diverse norme di diritto europeo: innanzitutto, dall’art. 56, par. 1 TFUE che vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea; in secondo luogo, dalla direttiva 2006/123 relativa ai servizi nel mercato interno che istituisce un quadro giuridico generale a vantaggio di un’ampia varietà di servizi, con la sola eccezione dei settori espressamente esclusi (tra cui figurano i servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani e i taxi); in terzo luogo, dalla direttiva 2000/31 finalizzata ad assicurare che il commercio elettronico possa beneficiare pienamente del mercato interno e, quindi, della libera prestazione dei servizi.

4. Il problema giuridico affrontato dalla Corte di giustizia, quindi è stato quello di classificare il servizio UberPop come servizio di intermediazione assoggettato alla disciplina prevista per i servizi della società dell’informazione ovvero come semplice servizio di trasporto. Nella propria disamina la Corte di giustizia non può che constatare che il servizio UberPop è certamente un servizio di intermediazione che, attraverso un’applicazione per smartphone, consente di mettere in contatto, dietro retribuzione, conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare uno spostamento all’interno dell’area urbana. E ciò in quanto, da un lato, per servizio della società dell’informazione si intende un servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi, proprio come avviene nel caso di UberPop; dall’altro lato, in quanto non v’è dubbio che il servizio di intermediazione reso possibile dall’applicazione creata da Uber è altro rispetto al servizio di trasporto, ossia nello spostamento fisico di una persona da un luogo ad un altro. Sennonché, dopo aver qualificato il servizio UberPop come servizio di intermediazione, la Corte di giustizia sottolinea che tale servizio non costituisce soltanto un servizio di intermediazione in quanto Uber (vale a dire il fornitore del servizio di intermediazione) non si limita a fungere da intermediario, ma crea al contempo un’offerta di servizi di trasporto urbano cui è possibile accedere attraverso quella stessa applicazione che consente l’intermediazione tra domanda ed offerta. Inoltre, Uber organizza l’intero funzionamento del servizio di trasporto in questione: seleziona i conducenti; dota questi ultimi dell’applicazione senza la quale non potrebbero offrire quel particolare servizio di trasporto; fissa il prezzo massimo della singola corsa; incassa le somme versate dal cliente per poi versarne una parte al conducente; controlla la qualità dei veicoli e dei conducenti e la loro condotta. In tale contesto, pertanto, ad avviso della Corte di giustizia il servizio di intermediazione offerto da Uber non rappresenta il tutto, ma è soltanto una parte di un servizio complessivo più ampio nel quale l’elemento principale è rappresentato, non già dall’intermediazione, ma proprio dal servizio di trasporto. E ciò è tanto più vero se si considera che in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia la nozione di servizio nel settore dei trasporti ricomprende non soltanto i servizi di trasporto in quanto tali, ma anche ogni altro servizio intrinsecamente connesso ad un atto fisico di trasferimento di persone o beni da un luogo ad un altro tramite un mezzo di trasporto.

5. Cercando di formulare qualche considerazione di sintesi sui possibili effetti della sentenza della Corte di giustizia emerge un chiaro dato oggettivo: la sentenza ha dato ragione ai taxisti spagnoli e torto al colosso di San Francisco. Ciò detto, ad un’analisi men che acritica non può sfuggire l’anomalia sia dei toni trionfalistici dei vincitori, sia del forzato ridimensionamento della pronuncia da parte degli sconfitti. La vittoria dei taxisti non è certamente una vittoria di Pirro, ma è senz’altro una vittoria fuori tempo massimo. Il servizio UberPop, infatti, è sparito dalla gamma dei servizi offerti da Uber da alcuni anni e in gran parte dei paesi europei. Resiste ancora (ma dopo la sentenza della Corte di giustizia le sue probabilità di sopravvivenza risultano ridotte ai minimi termini) in alcuni Stati dell’Est come Romania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Basti pensare che in Italia il servizio UberPop era stato considerato illegale sin dal 2015 con la nota ordinanza del Tribunale di Milano del 2 luglio. In modo del tutto speculare, l’ostentata indifferenza di Uber nei confronti della sentenza della Corte di giustizia appare a tutto concedere fuori luogo: se è vero che la pronuncia interviene in relazione ad un servizio oramai marginale e fuori dal core business di Uber, alcuni passaggi della sentenza potrebbero imporre all’impresa di San Francisco talune modifiche della propria politica in materia di rapporti di lavoro. Qualificando il servizio UberPop come una vero servizio di trasporto e non come una semplice piattaforma che consente, per via elettronica, di fungere da intermediario tra la domanda e l’offerta, infatti, la Corte di giustizia ha escluso che la piattaforma possa essere considerata semplicemente come un mercato: essa, in realtà, è un operatore, al pari di altri, che opera sul mercato e come tale è assoggettato a tutte le regole che disciplinano tale mercato. Se a ciò si aggiunge il fatto che Uber è in grado di organizzare, controllare e condizionare gli elementi essenziali del servizio di trasporto offerto (accettando ed escludendo gli autisti, fissando il prezzo del servizio, valutando – ancorché indirettamente – la qualità del servizio offerto e, quindi, dell’autista), le implicazioni in termini giuslavoristici risultano evidenti. Come rilevato dall’Avvocato generale Szpunar, benché il controllo sui fattori ecnomicamente rilevanti del servizio di trasporto offerto nel quadro della piattaforma “non sia esercitato nel contesto di un classico rapporto di subordinazione gerarchica, non ci si deve tuttavia far ingannare dalle apparenze. Un controllo indiretto, come quello esercitato da Uber – fondato su incentivi finanziari e su una valutazione decentrata da parte dei passeggeri – permette una gestione altrettanto, se non addirittura più efficace, di quella fondata su direttive formali impartite da un datore di lavoro ai suoi dipendenti e sul controllo diretto del rispetto delle medesime”. Ovviamente né l’Avvocato generale né la Corte di giustizia affrontano nello specifico la questione della natura, autonoma o subordinata, del rapporto di lavoro che lega la piattaforma con i prestatori del servizio (di trasporto nel caso Uber, ma il discorso può essere esteso a tutte le varie piattaforme che costellano il mondo nella c.d. on demand economy) in quanto questione di competenza del diritto nazionale. E’ certo, però, che se tale aspetto già si poneva prima della sentenza della Corte di giustizia (London Employment Tribunal, Aslam, Farrar and Others v. Uber, 28 October 2016), dopo la qualifica della piattaforme come operatore del mercato e non già come semplice mercato (ossia luogo di incontro tra la domanda di un servizio e l’offerta di tale servizio da parte di terzi) gli aspetti connessi ai rapporti giuslavoristici delle piattaforme digitali potrebbero tornare alla ribalta, prospettando nuovi ambiti da studiare e vuoti legislativi da colmare. E’ ancora troppo presto per affermare con certezza che la sentenza Uber della Corte di giustizia ha scoperchiato il proverbiale vaso di Pandora. Ma alcuni segnali ci sono e non vanno sottovalutati.


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