Tre nuove questioni pregiudiziali in materia penale alla Corte di giustizia

Sulla GUUE di ieri sono stati pubblicati tre nuovi rinvii pregiudiziali di interpretazione presentati alla Corte di giustizia tra aprile e maggio 2015.

Il primo, sollevato dal Tribunale civile di Roma, investe nuovamente il giudice di Lussemburgo sulla questione inerente alla mancanza nel nostro ordinamento di un sistema generalizzato di indennizzo delle vittime di reato (causa C-167/15, X c. Presidenza del Consiglio dei Ministri). In particolare, il giudice a quo interroga la Corte circa l’interpretazione dell’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE, chiedendo (1) se esso osti ad una legge nazionale di recepimento (ovvero il d. lgs. 6 novembre 2007, n. 204) che, rinviando per l’erogazione delle elargizioni a carico dello Stato alle previsioni di leggi speciali a favore della vittima di reato, non riconosca alla vittima del reato violento “comune” l’accesso ad un sistema sostanziale tendenzialmente generale di indennizzo e disciplini soltanto gli aspetti procedurali, per i profili transfrontalieri, di accesso al sistema stesso; e (2) se esso, quindi, imponga un sistema sostanziale tendenzialmente generale di protezione da parte dello Stato o comunque avente un contenuto minimo e, in questo caso, quali siano i criteri per determinare quest’ultimo. Come già ricordato in questa Rivista, di fatto sulla stessa questione la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese (causa C-601/14), sostenendo che l’Italia – avendo omesso di adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio – è venuta meno all’obbligo di cui l’art. 12, par. 2, della direttiva in parola.

Trattandosi di procedimenti di natura differente, non potranno essere formalmente riuniti ex art. 54 del Regolamento di procedura della Corte di giustizia (RP CG), ma nulla esclude – ed anzi è ragionevole credere – che la Corte disporrà una udienza di discussione comune per le due cause, secondo quanto consentito dall’art. 77 del suo RP.

Il secondo rinvio pregiudiziale in ordine di tempo è stato presentato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (causa C-217/15, Procedimento penale a carico di Massimo Orsi) e con esso la Corte di giustizia è di fatto chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla portata dell’art. 50 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, interpretato alla luce dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in particolare da ultimo nelle pronunce Grande Stevens c. Italia e Nykänen c. Finlandia. Dichiarata irricevibile una questione interpretativa analoga nella causa C-497/14, Procedimento penale a carico di Stefano Burzio, non rientrandosi nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (cfr. ordinanza del 15 aprile 2015), il giudice del Kirchberg è ora richiesto di verificare se sia sostanzialmente conforme alle disposizioni testé menzionate l’art. 10 ter del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nella parte in cui consente di procedere alla valutazione della responsabilità penale di un soggetto che, per lo stesso fatto (omissione del versamento dell’IVA), sia già stato destinatario di un accertamento definitivo da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, con irrogazione di una sanzione amministrativa nella misura del 30 % dell’imposta non versata.

Infine, con il terzo quesito pregiudiziale, sollevato dal giudice rumeno (causa C-241/15, Procedimento penale a carico di Niculaie Aurel Bob-Dogi), la Corte è chiamata, ancora una volta a pronunciarsi sull’interpretazione della decisione quadro 2002/584/GAI, sul mandato d’arresto europeo (MAE) e le procedure di consegna tra Stati membri. In particolare, essa deve stabilire (1) se, ai fini dell’applicazione dell’art. 8, par. 1, lett. c), della citata decisione quadro, con l’espressione «esistenza di un mandato d’arresto» debba intendersi un mandato d’arresto nazionale – interno – emesso secondo le norme di procedura penale dello Stato membro emittente, e pertanto distinto dal MAE, e (2), in caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’inesistenza di un mandato d’arresto nazionale – interno – possa costituire un motivo di non esecuzione implicito del MAE.


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