Tre anni dopo il voto “Contro l’immigrazione di massa”: ancora incertezze sulle relazioni tra Svizzera e Unione europea

La (non) attuazione dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”

Il 9 febbraio 2017 sono trascorsi esattamente tre anni dall’approvazione dell’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa” (qui). La norma costituzionale introdotta con questa votazione indicava tale data come termine ultimo per attuare il dispositivo di cui all’art. 121a Costituzione federale (Cost. fed.) ovvero limitare – mediante un atto di applicazione, non essendo l’articolo costituzionale direttamente applicabile – l’immigrazione in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli Svizzeri. Se ciò fosse avvenuto, l’accordo sulla libera circolazione delle persone (ALCP) tra Svizzera e UE non sarebbe più in vigore così come tutti gli altri accordi c.d. bilateri I (e probabilmente anche tutti gli altri accordi conclusi dalla Svizzera con l’UE), la manodopera comunitaria verrebbe sottoposta a contingenti e i lavoratori indigeni beneficerebbero della priorità nelle assunzioni.

Ma lo scenario è ben diverso. Nel corso di questi tre anni il governo elvetico ha cercato invano di conciliare l’inconciliabile ovvero la libera circolazione e i contingenti all’immigrazione, entrambi espressione di volontà popolare. È stato un periodo di estrema confusione e incertezza sul fronte bernese contrapposto ad un’Unione ferma nel non voler accettare compromessi sulla libera circolazione delle persone, complice, senza dubbio, le tensioni con il Regno Unito. Il risultato è una soluzione che non attua l’art. 121a Cost. fed. e che mira a preservare le relazioni con Bruxelles. Le Camere federali, infatti, il 16 dicembre 2016, hanno approvato talune modifiche da integrare nella legge stranieri (Legge stranieri e la loro integrazione, LStrI), ritenute compatibili con l’ALCP, rinunciando a fissare dei contingenti per i cittadini dell’UE. In sostanza, la LStrI prevede che nei settori in cui si manifesti una disoccupazione superiore alla media (la cui percentuale è tuttora indefinita e sarà meglio precisata nell’ordinanza di attuazione della LStrI), al momento delle assunzioni, i datori di lavoro devono annunciare i posti vacanti agli uffici regionali di collocamento (URP) e sentire alcuni candidati idonei proposti dagli URC, senza però alcun obbligo di assunzione. Qualora il datore di lavoro non dovesse adempiere agli obblighi di legge, sarà sanzionato con una multa. Poiché i cittadini dell’UE possono comunque, a determinate condizioni, iscriversi agli URP non subiranno una discriminazione rispetto ai cittadini svizzeri e pertanto la libera circolazione delle persone non dovrebbe subire particolari restrizioni. Una soluzione che da molti è stata definita “light” o “extra light” e che ha permesso lo stesso giorno, alle Camere federali di ratificare il Protocollo III estendendo l’ALCP alla Croazia, alla Svizzera di rientrare a pieno titolo in Horizon 2020, dal 1° gennaio 2017 e ha raccolto il plauso di Bruxelles. La LStrI potrebbe entrare in vigore già nella primavera del 2017; occorre tuttavia attendere l’esito della raccolta delle firme necessarie per sottoporre una legge federale al voto popolare (50.000 aventi diritto di voto devono sottoscrivere la domanda entro il termine di 100 giorni, ovvero, nel caso, il 7 aprile 2017), attualmente in corso ed, eventualmente, i risultati del voto che si svolgerebbe non prima del secondo semestre 2017.

La situazione non ha precedenti: per la prima volta il Parlamento svizzero approva una legge in applicazione di un articolo costituzionale voluto dal popolo nella consapevolezza di non rispettarne il contenuto. Per ovviare a tale situazione, il Consiglio federale intende presentare un controprogetto a due varianti quale alternativa al contenuto dell’iniziativa RASA («Raus aus der Sackgasse», fuori dal vicolo cieco) che è stata lanciata successivamente al voto del 9 febbraio 2014 e con la quale gli iniziativisti chiedono di revocare l’121a Cost. fed. La prima variante prevede la sostituzione dell’articolo 121a con una disposizione secondo cui l’immigrazione deve essere regolamentata nel rispetto degli impegni internazionali assunti dalla Svizzera e l’abrogazione dell’art. 197 n. 11 (disposizione transitoria relativa all’art. 121a che imponeva la negoziazione o la denuncia dei trattati internazionali incompatibili con i limiti posti dall’art. 121a entro tre anni), salvaguardando così la via bilaterale delle relazioni con l’UE. La seconda variante prevede solo l’abrogazione dell’art. 197 n. 11; l’art. 121a Cost. resta immutato. Tale soluzione non risolve nell’immediato il conflitto normativo ma lascia aperta la possibilità di intraprendere in un secondo tempo ulteriori passi per attuazione dell’art. 121a, eventualmente negoziando l’ALCP.

La strategia è assai rischiosa e l’esito del voto (di cui si saprà nel corso del 2017) è molto incerto.

Il quadro normativo attuale è dunque di fatto provvisorio. Innanzitutto, l’eventuale successo del referendum contro la LStrI vanificherebbe la strategia del Consiglio federale intesa a salvaguardare i bilaterali con l’UE; in assenza di disposizioni di attuazione, le restrizioni previste dall’art. 121a, stando alla disposizione transitoria (art.197 n. 9 Cost. fed.), dovrebbero entrare in vigore con ordinanza. L’impatto pratico sarebbe tuttavia problematico considerando che il Tribunale federale (TF) in una sentenza relativa all’applicazione del 121a, ha preannunciato che in caso di ricorsi, per i giudici prevarrebbe il rispetto dei bilaterali, approvati più volte in sede popolare (2C_716/2014).

Più complesse le possibili ricadute normative in relazione all’iniziativa RASA. Il successo del controprogetto andrebbe a sostegno del lavoro svolto nel triennio dal Consiglio federale mentre l’approvazione dell’iniziativa sarebbe un revirement della volontà popolare, possibile ma certo bizzarro considerando il successo di talune iniziative cantonali intese a limitare sul piano locale l’immigrazione, votate dopo il 9 febbraio 2014 (cfr. l’iniziativa Prima i nostri in Ticino già approvata e quella di tenore analogo, attualmente in fase di realizzazione, nel vallese e nel Cantone Neuchâtel). Il popolo potrebbe però anche rifiutare sia l’iniziativa che il controprogetto, confermando così il tenore dell’art.121a rispetto al quale il governo non potrebbe più soprassedere sostenendo la strategia sinora perseguita.

Le relazioni tra Svizzera e Unione europea dopo il 9 febbraio 2017: i problemi aperti

Chiuso, per così dire, “il triennio del 9 febbraio”, si apre dunque una nuova fase non meno ostica della precedente. Le questioni legate all’immigrazione, come si è visto, sono tutt’altro che definite. La Svizzera e l’UE, inoltre, stanno negoziando altri accordi bilaterali su diversi temi (elettricità, questioni istituzionali, partecipazione al programma dell’UE Europa creativa, sul commercio di emissioni agricoltura, sicurezza alimentare, sicurezza dei prodotti e sanità pubblica). Le questioni istituzionali, rivestono particolare rilievo tanto che Bruxelles fa una certa pressione e subordina la conclusione di tale accordo alla discussione sugli altri dossier. In effetti, i profili toccati dal negoziato sono altamente sensibili e riguardano l’adeguamento del diritto, la sorveglianza, l’interpretazione e la composizione delle controversie nei settori coperti dagli accordi bilaterali. Attualmente, infatti, la Svizzera è vincolata solo al diritto UE e alla giurisprudenza della Corte di giustizia (CG) esistente al momento della conclusione di ciascun accordo (carattere statico degli accordi). Gli sviluppi normativi successivi non vengono ripresi automaticamente ma rielaborati nell’ambito dei Comitati misti (composti da rappresentanti della Svizzera e dell’UE e istituiti uno per ciascun accordo bilaterale, tranne per quelli relativi alla fiscalità del risparmio e alle pensioni) prima di essere applicati in Svizzera mentre la giurisprudenza successiva della CG viene soltanto comunicata alla Confederazione e spetta poi al Comitato misto determinarne le implicazioni. La sorveglianza sull’esecuzione degli accordi avviene tramite gli strumenti giuridici disponibili in ciascuna delle parti contraenti, non essendo stati istituiti organi sovranazionali ad hoc. Rappresenta un’eccezione il rispetto delle norme sulla concorrenza nel settore del trasporto aereo: il controllo e l’attuazione di queste ultime competono infatti alla Commissione europea e alla CG (fatta eccezione per gli aiuti statali). Sempre nell’ambito dei Comitati misti vengono risolte le controversie fra le parti contraenti. I negoziati sulle questioni istituzionali sono intesi a garantire maggior uniformità al diritto e alla giurisprudenza nelle materie oggetto di accordi bilaterali, attribuendo fra l’altro nuove competenze alla CG e segnatamente, quella pregiudiziale in caso di difficoltà nella composizione delle controversie e nel caso sia necessario un intervento chiarificatore sull’interpretazione degli accordi. Ricordiamo che il TF, pur in assenza di obblighi convenzionali, ha adottato una strategia giurisprudenziale atta a garantire una situazione giuridica parallela tra gli Stati membri dell’UE e la Svizzera, allineandosi di fatto alle pronunce della CG successive alla conclusione degli accordi e discostandosene unicamente in presenza di fondati motivi. Ciò tuttavia senza mettere in discussione la propria indipendenza e dunque potendo in futuro procedere diversamente (DTF 136 II 5).

Già sin d’ora, peraltro, si prospettano dei possibili contrasti tra il contenuto del dossier sulle questioni istituzionali (che entrerà in vigore solo dopo il voto del popolo svizzero) e l’iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC) “Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)” che fra l’altro vuole sancita nella Cost. fed. la supremazia di quest’ultima sul diritto internazionale. Il contrasto fra norme costituzionali interne volute dal popolo e le relazioni bilaterali con l’UE è dunque un ambito che continua ad amplificare il dibattito interno alla Confederazione sul rischio d’incompatibilità fra le iniziative popolari e gli impegni internazionali esistenti e la riflessione sulla necessità d’introdurre dei meccanismi correttivi alla procedura attualmente vigente.

Conclusioni

Oggi più che in passato, il processo d’integrazione europea per poter avanzare deve accettare forme d’integrazione differenziata. Questo fenomeno, diversamente qualificato e disciplinato dai trattati, sinora è stato un duttile strumento, idoneo a conciliare la prosecuzione del progetto comunitario con l’esclusione di taluni Stati membri dal processo di armonizzazione normativa (più ampiamente qui). Numerose sono le sfide che l’UE è chiamata ad affrontare nel prossimo futuro, dalle questioni relative alle competenze in materia economica e fiscale alla gestione dei fenomeni migratori. In questo panorama sarà certo utile individuare nuovi modelli d’integrazione e di cooperazione che potranno scaturire dai negoziati sul Brexit ma anche, seppur con un peso diverso, da una rivisitazione delle intense relazioni bilaterali che l’UE intrattiene con la Svizzera.


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